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Il Veneto che amo

La condizione di colui che , per motivi di forza maggiore, si convince a spostarsi dalla sua "terra natia" a luoghi che meglio consentono la realizzazione della sua professione è comunque traumatica. Il mito delle radici, tanto enfatizzato, molto discutibile laddove gli orizzonti dell'esistere si devono slargare verso la mondialità, nel concreto agisce e "rallenta" parecchie scelte, spiega molte fasi umorali, forma, se così si può di re, un "sottofondo continuo di malinconia".

Dal lontano 1970 è questa la mia condizione. Lontano dalla mia Sicilia, da luoghi intimi ed amichevoli, che con nostalgia ho cercato di frequentare nei mei annuali periodi di ferie.

Sicilia: terra di forti contrasti, luogo ambivalente di facinosi spettacoli naturali e di ardite bellezze monumentali, di brutture abissali, dovute all'incuria degli abitanti e alle immanenti grinfie di forze oscure.

La terra d'adozione, il Veneto, mi ha dato l'occasione della realizzazione, mi ha accolto con varie e multiformi sembianze. L'ho conosciuta, negli anni '70, con il volto della gente più semplice, ancora priva di remore culturali, già pronta ad imbastire il "grande laboratorio" delle migliaia di microimprese, che avrebbero rappresentato la sua fortuna economica. Bella, con il verde delle sue campagne, con le morbidezze delle sue zone collinari, con la ricchezza delle sue acque, con lo spettacolo delle sue Dolomiti. Lontani ancora gli anni della occupazione delle terra agricola fino alla saturazione, mi restano impressi alcuni quadretti di memoria: i paesaggi del castello di Conegliano, delle mura di Marostica, la straordinaria bellezza di Misurina, le immense vedute del monte Civetta, la felice armonia dei colori dei paesi che si affacciano sul Garda.

Poi, l'incalzare del "progresso" (sic!) mi ha fatto conoscere diffidenze e, nel prosieguo, la barbarie di sentimenti ancestrali, che inneggiano al mito delle origini celtiche e degli antichi Veneti. L'impasto di questa "ostile primitività" con l'ossessiva pretesa della superiorità del modello imprenditoriale diffuso ha cementato il profilo "ributtante" del Veneto degli anni '90. Necessario, davanti a queste trasformazioni, cercare rifugio nella "mondialità" di Venezia, città al di sopra di qualsiasi comparazione, superba della sua superiorità.

Altro ristoro: la serena compostezza e la fresca, privata bellezza di certi parchi, soprattutto quelli che si è andati a recuperare attorno ad edifici a destinazione culturale. Meravigliosa compenetrazione di natura e cultura! Così è stato ieri, nella sala della biblioteca di Caerano S. Marco, attorniata da un parco piccolo, ma molto molto suggestivo. L'occasione: l'incontro con la giornalista Concita De Gregorio. Anche lei, felicemente amalgamata nel momento propizio. Giornalista combattiva e fiera, aperta e di grande comunicativa, ci ha intrattenuto con temi apparentemente comuni, in realtà di grande rilievo filosofico, pedagogico e politico.

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