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Il TAO DANCE THEATER conclude a Venezia il 17esimo Festival Internazionale di Danza Contemporanea

Spettacoli diversi, seguiti da un pubblico giovane, dagli addetti ai lavori, da persone che amano da sempre la danza.

(Foto Andrea Avezzù)

La compagnia cinese Tao Dance Theater è stata protagonista negli ultimi tre giorni della Biennale Danza 2023. Dapprima l’incontro pubblico, per ricevere il Leone d’argento, attribuito dal Direttore artistico Wayne McGregor, entusiasta della filosofia espressa dalla compagnia, e consegnato alla coppia d’arte e di vita Tao Ye, marito e Duan Ni, moglie, danzatori entrambi, anche coreografo Tao Ye, anche costumista Duan Ni. Ma a Venezia nessuno dei due ha danzato.

Secondo McGregor, la compagnia propone un genere di danza unico, esprimendo un’estetica di danza pura. Il corpo viene presentato come elemento da percepire, amplificato solo dalla luce e dal suono.

La compagnia è stata fondata nel 2008 a Pechino da Tao Ye, Duan Ni e Wang Dao. Tra i suoi concetti si segnala l’abito deve seguire il corpo, esplorando abbigliamento, musica, danza e immagine. Tecnicamente, la modalità espressiva segue la tecnica del Circular Movement System, il quale incoraggia le persone a esplorare le infinite possibilità del corpo, inteso come un caleidoscopio.

A Venezia il Tao Dance ha presentato tre spettacoli al teatro Malibran, tutti facenti parte delle Numerical Series. Ogni lavoro si intitola con un numero, che si riferisce ai ballerini interpreti, per non lasciare aspettative agli spettatori.

11, in prima italiana, risale al 2021 e dura 60 minuti. I ballerini sono tutti vestiti con abiti comodi completamente neri, tranne una striatura bianca, più o meno larga e lunga e, come si evince dal catalogo, “seguono una regola allo stesso modo liberatoria e limitante : i movimenti della parte inferiore del corpo sono coreografati rigorosamente, mentre quelli della parte superiore sono completamente improvvisati. “

Abbondano capriole e movimenti al ralenti, con la sensazione di assistere ad un allenamento di arti marziali. Dov’è la poesia?

13 e 14, tutti e due del 2023 e in prima europea, eseguiti entrambi nella stessa serata, durano 25 minuti il primo e 27 il secondo.

In 13 infastidisce una musica a volume troppo alto. I ballerini cercano il contatto fisico, spesso sono l’uno sopra l’altro a gruppi di 2, 3. Qualcuno cade a terra all’improvviso, altri si dilettano in movimenti acrobatici.

Rispetto a 11, i vestiti sono colorati, secondo il gusto di Tao Ye, anche se lui capi con simili colori non li indosserebbe mai, perché i colori preferiti, suoi e della moglie, sono il bianco e il nero. Quanto alla tecnica del movimento circolare, è stata scelta perché il cerchio è la misura più perfetta.

In ordine di tempo, i danzatori partono uniti in un tutto omogeneo, e poi gradualmente si scindono in forme diverse. Attraverso ritmi lenti, medi e veloci, i corpi si trasformano in acqua, montagne, rocce e ogni altra cosa.

14, tredicesimo capitolo delle Numeical Series, è un’esplorazione del ritmo e del cambiamento, secondo un’ideologia minimalista, in simbiosi con la musica.

Che cosa si può dire a commento di quanto visto?

Che il pubblico ha applaudito a lungo, con le consuete grida da “Concerti Rock allo stadio”. Eppure, non sono rimasti in tanti ad ascoltare il consueto dialogo con Elena Guzzo Vaccarino, una studiosa di danza (è appena uscito il suo libro Confini conflitti rotte. Geopolitica della danza, Scalpendi edizioni), che da anni coordina il momento intervistativo dopo lo spettacolo. Peccato che il pubblico non possa intervenire con delle domande.

Tao Ye ha spiegato che quando ha fondato la compagnia ha rinunciato a creare una narrazione con la danza. Mi interessa vedere come la danza può esprimere i sentimenti mediante i gesti.

(Foto Andrea Avezzù)

Andando a ritroso, mi è piaciuto MAM, “passo di montagna” in lingua gaelica, in prima italiana al teatro Malibran, della compagnia Teac Damsa, letteralmente il posto dove la danza succede, guidata da Michael Keegan-Dolan.

Fondata nel 2016, Teac Damsa realizza opere di danza e teatro che coltivano connessioni, profonde e eloquenti, con le tradizioni, la lingua e la musica dell’Irlanda.

In MAM, creato nel 2019 dopo l’incontro tra il Direttore artistico e lo specialista di concertina, uno strumento tradizionale, Cormac Begley, il mondo degli adulti, un racconto di amore e guerra, è visto attraverso gli occhi di una bambina (la figlia del coreografo, mentre la moglie fa parte del corpo di ballo).

Seduto in platea, sono trascorsi piacevolmente 85 minuti, senza mai guardare le lancette dell’orologio. Finalmente è la musica dal vivo a guidare la danza. Ottimo il settetto di musicisti berlinese s t a r g a z e, coordinato da Roman Bly. Ha impressionato la versatilità del batterista, che è passato, senza mostrare alcuna carenza, dai tamburi, alla tromba, al corno francese. Insomma, una danza gioiosa, per ricordare un Paese – come sottolineerà il regista/coreografo durante il dialogo post-spettacolo -, che è riuscito a cancellare culturalmente la leadership dell’Inghilterra, la quale, dal XVI°-XVII° secolo non permetteva all’Irlanda di suonare la sua musica tradizionale.

(Foto Camilla Grrenwell)

Uno spettacolo inquietante BLKDOG, in prima italiana al teatro alle Tese, del danzatore, coreografo e regista londinese Botis Seva, che opera nei campi della cultura Hip-Hop, del teatro fisico, della danza contemporanea, e guida la compagnia Far from the Norm, lontana da regole e convenzioni.

Sette danzatori avvolti da una nebbia, incappucciati, indossano delle pesanti felpe grigie, si ispirano parzialmente al libro “Shoot the Damn Dog” di Sally Brampton e a un senso personale di perdita e sofferenza, mentre per 64 minuti si diffondono suoni martellanti e cupi del produttore e musicista Torben Lars Sylvest. “Credo che il mio sia più un lavoro interiore – si legge nel catalogo -. Sono un introverso e parte della mia pratica emerge da uno spazio di introversione.

(Foto Andrea Avezzù)

Last but not least, PENDULUM, una installazione/performance di 42 minuti, in prima europea al teatro alle Tese, co-creata da due artisti australiani : la coreografa Lucy Guerin, fondatrice e direttrice artistica di LGI (Lucy Guerin Inc) e il compositore, percussionista e sound designer Matthias Schack-Arnott.

Il pubblico, seduto a scelta su piccole tribune, una di fronte all’altra, vede una distesa di 39 pendoli, in ottone, a forma di campana, dotato ciascuno di un altoparlante, di una luce interna, di un sistema di sensori che rispondono al tocco di sette danzatori e di un batacchio. I danzatori animano queste campane. Le scagliano, le afferrano, ne interrompono la rotazione, le schivano oppure ne assorbono la rotazione nella loro danza con la gravità e, sostenuti da una musica ben pensata, danno vita a una coreografia luminosa.

Il moto ipnotico del pendolo ha prodotto come una meditazione, con effetti positivi nel poco pubblico, penso, perché ci sono state otto rappresentazioni.

Concludo con le parole del musicista. Uso il suono come veicolo per creare stati di esperienza, con specifiche qualità energetiche, piuttosto che idee musicali specifiche guidate da schemi melodici o armonici, sebbene questi possano trovarsi nel mio lavoro in modo secondario.

Appuntamento al 2024, nuovi virus permettendo.

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