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Il Principe? Come Machiavelli può spiegarci Renzi

Non sempre si riescono ad analizzare le scelte politiche attraverso la lettura dei quotidiani e l'ascolto dei Tg. Talvolta è utile fare riferimenti che vadano oltre l'attualità, in modo da non rimanere ingabbiati all'interno di disegni e schemi precostruiti. Con questa "long read" proveremo ad inquadrare le ultime scelte di Matteo Renzi attraverso l'occhio di uno dei più rivoluzionari interpreti politici di sempre: Niccolò Machiavelli.

Esistono due modi di rapportarsi alle scelte politiche, ed esistono due anime che convivono in ognuno di noi, e che formano le nostre opinioni sui fatti dell’attualità e della quotidianità, opinioni che generalmente cambiano nel tempo in un modo così lento e progressivo che alla fine pensiamo di averle sempre avute, anche se in realtà inizialmente la pensavamo in maniera diversa.

Da una parte esiste la convinzione che Renzi, con la scelta di fare un governo senza passare dalle urne – legittimo, legale, ma un po’ scorretto, almeno per chi l’ha votato alle primarie – abbia perso quel connotato di coerenza “di principio” che fin qui l’aveva in qualche modo differenziato dai modi e dai mondi della politica tradizionale. Ed è questo, credo, ciò che ha fatto dire ai molti che credevano in Renzi “non farlo!”. Semplificando (ma non troppo) possiamo etichettare questo modo di concepire la politica come “idealista”. Questa concezione delle cose nasce un po’ dalla passione, un po’ dalle proprie convinzioni, un po’ dalle ambizioni ed alle speranze che si ripongono nelle cose del mondo, nella speranza che insomma tutto possa andare bene secondo le previsioni secondo schemi determinati e determinabili.

Dall’altra parte invece c’è la concezione politica che guarda alle cose per come sono, e non per come ci piacerebbe fossero; quell’idea che la realtà sia una cosa un po’ diversa dall’idea stereotipata che spesso si fa di essa. La parte pragmatica che non ignora del tutto i principi delle azioni e dei comportamenti, ma che valuta quest’ultimi nel contesto delle contingenze e delle opportunità e delle possibilità. Quell’idea che le cose possono sì andare bene, ma potrebbero anche andare male. In quest’ottica mi sono fatto l’idea che Renzi abbia sbagliato, anche per opportunità e svolgersi delle cose, più che per i modi in sé (che fanno da orpello).

Visto che si tratta di una cosa successa in maniera molto rapida e non si è ancora sedimentata all’interno di un ragionamento più complesso, solo il tempo e gli eventi potranno dare una risposta un po’ più precisa. Inoltre, essendo il corpo del delitto ancora caldo, è meglio affrontare il ragionamento in maniera diversa. Uno dei modi migliori per scavalcare le proprie convinzioni visibilmente viziate dall’attualità è quello di fare riferimento al passato, alla storia, che spesso insegna a suon di bastonate. E la prima cosa da appuntarsi è che mai nella storia politica italiana ci fu un cambio di governo gestito in questa maniera. Nella Prima Repubblica, molti furono i cambi di governo causati dal cambio di peso politico di questa o quella corrente della Dc, ma le guerre erano sotterranee, segrete, tenute nell’ombra. In questo Renzi è rimasto coerente: la guerra l’ha fatta aperta, dichiarata, seppur in maniera rapida, tanto che in molti l’hanno chiamata la blitzkrieg di Renzi, la guerra lampo.

Durante la direzione del Pd, in cui Renzi ha tenuto un breve discorso per spiegare le sue ragioni riguardo ad una scelta che fino a pochi giorni fa sarebbe sembrata fantapolitica, mi è parso di notare un lumicino machiavellico nel senso delle cose che esternava. Quindi ho tirato fuori dalla libreria “Il Principe”, ed ho provato a inquadrare la cosa con gli occhi di quello che è stato uno dei più grandi conoscitori delle dinamiche politiche che siano mai esistiti, e che peraltro di Renzi è concittadino.

Ma facciamo prima un passo indietro, provando a spiegare ai profani cosa ci racconta in generale il libello più famoso di Machiavelli. Chi arriva qui pensando che l’idea machiavellica de Il Principe sia il mero “fine che giustifica i mezzi” (cosa peraltro mai scritta, né probabilmente pensata in questa forma dallo stesso Machiavelli), rimarrà deluso da questa lettura. Chi già conosce il pensiero machiavellico, può andare oltre, ma è comunque bene fare un ripasso. Le tesi machiavelliche sono parecchio articolate, ben lontane dalle semplificazioni che spesso si usano nel parlare quotidiano, e sono legate sostanzialmente al problema della vitalità (leggi: efficacia ed efficienza) del principato, ed ai modi attraverso i quali il “principe” responsabile (leggi: chi si occupa di politica) può far ciò che lui crede essere il meglio per lo Stato e per il “buon” governo, anche se “bene” e “male” vengono in generale tenute alla larga dai ragionamenti, o meglio, queste categorie vengono viste da una prospettiva diversa, per così dire, dall’alto, da dove cioè l’angolatura non permetta il balenare dell’idea che possa esistere un “sommo bene” ed un “sommo male”.

La riduzione del pensiero di Machiavelli in termini comunemente negativi ha spesso causato una legittima reazione contraria, anti-machiavellica, a cui lo stesso Machiavelli risponde argomentando che, i paradossi politici, non si possono risolvere solo attraverso virtù e principi fissi ed impermeabili al susseguirsi degli eventi (la “fortuna”), eventi che spesso non sono controllabili da chi di politica si deve occupare. Machiavelli cita casi storici e personaggi del suo tempo, in modo da avvalorare le sue – all’epoca rivoluzionarie – convinzioni. Rivoluzionarie perché fino a quel tempo la “politica” era trattata solo per via di mezzi filosofici classici, troppo lontani dal mondo dell’esperienza vissuta, da quella che lui chiama “la verità fattuale”. Per Machiavelli la “virtù” non è la sola rispondenza delle proprie azioni ai princìpi ritenuti lodevoli e morali dalla maggioranza dei sudditi o dallo stesso Principe, bensì la virtù machiavellica è quella caratteristica che rende un uomo politico capace di dominare i “capricciosi eventi”, e non farsi sopraffare dall’imprevisto e dall’imprevedibilità, perché ciò sarebbe dannoso per il principato, cioè per lo Stato. Il Principe per Machiavelli (leggi l’uomo politico di oggi, lo “statista”) deve essere centauro, uomo e animale, e deve esser capace di passare dall’una all’altra identità secondo le evenienze, e non lo deve fare (solo) per brama di potere, ma per convinzione politica, che poi è quella stessa cosa che qualche secolo dopo Weber definì “vocazione”. Distinguere le due cose non è semplice, però Machiavelli prova a risolvere la questione attraverso l’idea che un buon Principe debba dimostrare d’esser (e apparire) responsabile per ciò che fa, e tutto ciò che fa deve essere (e apparire), necessario. Le idee di Machiavelli, proprio perché relative - non assolute - e sempre legate indissolubilmente al contesto, sono facilmente ribaltabili per poter dimostrare tutto e il contrario di tutto. Cercherò, per quel che vale e per quel che posso, di evitare scivoloni di questo tipo, senza promettere di riuscirci.

Dopo il lungo ma necessario preambolo (mi scuso per le semplificazioni con gli eventuali professori in ascolto), possiamo vedere in che modo – e qui mi macchio di arroganza – Machiavelli può raccontarci il Renzi degli ultimi giorni.

La situazione che si è creata è dovuta alla decisione presa da Renzi di – parole sue – far cambiare passo al Governo. Il fatto che abbia colto praticamente tutti alla sprovvista, compreso chi era a lui molto vicino, significa che la scelta che ha preso è fondamentalmente una sua scelta, valutata e ponderata prima di tutto da lui in totale riserbo, ed anzi, sempre esorcizzata da dichiarazioni che andavano nel senso opposto (#enricostaisereno, eccetera). Questo è un primo indizio di come Renzi agisce. Valuta, magari si consiglia con qualche persona a lui vicinissima (ma non tutte) e poi, quando decide, agisce come un carrarmato. Il contesto glie l’ha permesso, la scarsa fiducia nel Governo Letta delle varie associazioni italiane, da confindustria ai sindacati passando per l’immancabile Corriere – che infatti ha tirato la bordata in direzione Napolitano, papà del Governo Letta, una settimana fa, ma questo è un altro discorso – hanno probabilmente fatto maturare in Renzi l’idea che “o adesso o mai più”. Nel capitolo 13 del Principe, Machiavelli parla di come sia sempre meglio non affidarsi a terzi sulle decisioni importanti e sulla propria sopravvivenza, e di come sia meglio non circondarsi di “(in)utili idioti” (per citare un Alfano smemorato di questi giorni), mercenari e “arme ausiliarie“, perché scrive Machiavelli

sanza avere arme proprie, nessuno principato è sicuro, anzi è tutto obligato alla fortuna, non avendo virtù che nelle avversità con fede lo difenda: e fu sempre opinione e sentenza delli uomini savi che nulla è più instabile nelle cose umane che la fama di potenza non fondata nelle forze proprie

Per Renzi, affidarsi unicamente a Letta sarebbe risultato troppo rischioso sul medio periodo, perché Letta ha dimostrato di non avere quella forza propulsiva necessaria per poter fare ciò che era chiamato a fare. La mossa di Renzi da questo punto di vista potrebbe in realtà essere meno avventata di quanto la sorpresa per l’accaduto ci possa portare a credere. Proprio in questi giorni i dati economici hanno iniziato a virare verso il segno positivo dopo tre anni di valori negativi. Sarebbe improbabile che Renzi non abbia valutato anche questo. Proprio ora, tra le altre cose, Moodys promuove il rating dell’Italia da negativo a stabile. Ciò non cambia però l’atto, il gesto e l’impeto con cui in due giorni Renzi ha letteralmente asfaltato Letta, che timidamente ha provato a resistergli senza successo. È spietato far inaugurare le Olimpiadi a Letta – palcoscenico internazionale – per poi prenderne il posto in chiusura. Al di là del rischio personale, la spietatezza di Renzi deve esser fatta ricondurre ad una qualche sua convinzione, come ad esempio la certezza – a suo avviso – che con Letta sarebbe stata “palude”, per l’Italia e soprattutto per il suo Pd. L’immobilità del Governo sarebbe ricaduta su di lui, segretario del partito principale che “sosteneva” quel governo. E quindi una lose lose situation, dove quel poco di buono sarebbe stato merito di Letta, mentre ciò che non andava sarebbe stato colpa del Pd, quindi di Renzi. Machiavelli nel capitolo 15 scrive che “molti si sono immaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti in vero essere”, e che quindi è meglio discernere la realtà del momento, rispetto alle massime teoriche inapplicabili alla “verità fattuale” del mondo. La “bontà” smette di esser “virtù” quando diventa logora e fine a sé stessa, posta a salvaguardia dell’astratto e in contraddizione con il presente,

onde è necessario, volendosi uno principe mantenere, imparare a potere essere non buono e usarlo e non usarlo secondo necessità

E cosa è questa se non spietatezza ponderata al contesto? Renzi, nell’incontro tenuto con Letta il giorno prima della Direzione, sembrerebbe aver proposto lui un’exit strategy di riduzione del danno – per il partito, per Renzi e per Letta stesso -, sempre però all’interno di quello che lui considerava ciò che era dovuto fare. Letta ha rifiutato le varie proposte (si parla del Ministero dell’Economia o del Ministero degli Esteri), impuntandosi nel voler rimanere al suo posto (legittimamente). Renzi preso atto di questo, l’ha schiacciato in maniera spietata, in diretta streaming nazionale, pubblicamente. Ha usato il suo potere di segretario di partito – del partito di Letta – per imporre (legittimamente) la propria linea. Chi vuol governare deve farsi ambizioso e non preoccuparsi troppo – se non, dice Machiavelli “per non avere e rubare e’ sudditi, per potere difendersi, per non diventare povero e disprezzabile” - specie quando il governo non gli è calato dall’alto ma è frutto di conquista.

Si può dire per alcuni versi che la dottrina di Machiavelli sia la lontana madre del “liberalismo” filosofico moderno, inteso come l’affermazione dell’individualità e della “virtù” privata (per come è intesa nel Machiavelli) nella cosa pubblica, con le conseguenti prese di posizione e assunzioni di responsabilità (lo stesso concetto di “patria” in realtà nasce con Machiavelli, prima c’erano le fedeltà di sangue e di servitù: Machiavelli è il primo vero “patriota”, e primissimo patriota italiano). Renzi ha fatto proprio questo: ha imposto sé stesso al “pubblico”, assumendosi l’onere e la responsabilità del compito politico più difficile e proprio per questo più rischioso per lui, in prima persona.

Qui entra in gioco anche un’altro perno fondamentale del ragionamento machiavellico: il dilemma. La decisione presuppone una variabilità di opzioni indeterminate. La funzione del dilemma machiavellico è quella per l’appunto di “dividere” i termini di un problema, ridurli a poche ma decise scelte, che possano portare ad una decisione conclusiva, chiara e ferma. Questa volontà di “conclusione” e “decisione” è sempre mancata in Italia. Si è sempre preferito galleggiare sull’esistente, prolungare all’infinito il dubbio, alimentando infinite opzioni, “scenari”, che aumentano e creano confusione, disperdendo ciò che realmente sarebbe importante: “cambiare tutto affinché nulla cambi”. La decisione di Renzi, checché se ne dica, rompe questa tradizione. Non è una “manovra di palazzo”, come ce ne sono state in passato nella Prima Repubblica. Qui si sta parlando di qualcosa di completamente diverso, perché un suo eventuale fallimento consegnerebbe Renzi all’oblio politico (mentre quanti governi Fanfani abbiamo avuto?).

L’impeto delle scelte causa spesso crudeltà – vedi l’esecuzione pubblica di Letta – ma la crudeltà quando necessaria è virtù del buon governante, “e in fra tutti e’ principi al principe nuovo è impossibile fuggire il nome di crudele” (corsivo mio). Anche in questo caso Renzi rientra nella figura del Principe, Principe che tra le tante cose – ed è una di quelle più enfatizzate da Machiavelli – deve saper farsi amare, ma al contempo temere, in modo che “se non acquista lo amore, che fugga l’odio: perché e’ può molto bene stare insieme essere temuto e non odiato”. Renzi si è sempre vantato di essere “amato”, e di avere il favore dei cittadini, di essere insomma legittimato dalla – scusate la parolaccia – “volontà popolare”.

Qui c’è il rischio più grande, a mio avviso, che Renzi dovrà affrontare (e ne è consapevole, visto che ha subito precisato «Non mi fanno paura [i sondaggi], vedrete che la gente si dimenticherà questa storia»), cioè ricompattare quel fronte di – scusate la parolaccia – popolo che si era riconosciuto in lui, anche in base ad alcune cose dette e dichiarate, di cui una tra le più importanti (“al governo solo con voto”) è stata tradita. Ma il Principe deve essere “volpe e leone”, perché “el lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi: bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi”. Nel capitolo 18, quello più controverso e rivoluzionario di tutto il testo, Machiavelli scrive che l’uomo politico deve comportarsi sapendo che gli altri potrebbero far di lui quello che lui non vorrebbe far loro, e quindi deve esser pronto ad utilizzare l’astuzia e la forza, per non rimanere stritolato dai “lacci” e sbranato dai “lupi”. E aggiunge una cosa per la nostra analisi molto interessante,

è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare.

L’uomo politico deve quindi saper essere “bestia” e “uomo”, e sapere quando usare l’uno e l’altro. Ma come decidere o capire quando è occasione di usare l’uno o l’altro? Qui sta nella bravura del Principe, nel saper dosare cioè queste due qualità che se usate nel modo sbagliato possono essere tutt’altro che qualità. Non si può quindi dire ora se Renzi ha fatto bene o male, al di là delle proprie opinioni personali, che come tali rimangono personali. Torna in nostro soccorso Machiavelli, che nel capitolo 21 scrive “nessuna cosa fa tanto stimare uno principe, quanto fanno legrandi imprese e dare di sé rari esempli”. Il problema del consenso si risolverebbe nella riuscita dell’impresa. Anzi, la stessa essenza di questa scelta deve esser risolta in una grande impresa, per niente scontata nella situazione in cui ci troviamo: lavoro, occupazione, Europa, eccetera. Renzi ad esempio, potrebbe essersi reso conto che senza un “suo” governo, anche la legge elettorale sarebbe stata più difficile da far passare, e per non rimanere immobile ha sorpreso tutti con un gesto di potente astuzia (la volpe ed il leone). Infatti non è assurdo pensare che un’eventuale buona azione di governo finirebbe con l’essere il miglior viatico per un futuro successo elettorale.

Un’altro aspetto della leadership politica di Renzi, a cui si può senza troppe forzature far coincidere quella esposta nelle massime di Machiavelli, è il rapporto che esso ha con i propri collaboratori. Ovunque vada, ovunque si muova, Renzi ha sempre i soliti fidati collaboratori ad assisterlo. Il rapporto tra leader e collaboratori è spesso utilizzato come metro di misura per verificare la bontà d’intenti e la personalità del leader. Esistono leadership costruite a tavolino dai collaboratori (vedi Obama ed i suoi fenomenali spin doctor), esistono collaboratori sfruttati – e poi gettati – dai leader (si pensi ai collaboratori di Stalin, o a Cesare Borgia). Il fatto che Renzi voglia portare con sé tutti quelli che l’hanno accompagnato fin dove è arrivato è naturale, sia per una questione di fiducia personale – ma bisogna sempre stare guardinghi, ché anche i migliori consiglieri tradiscono – sia per una riduzione del caos (conoscendo già i propri uomini non si deve iniziare un rapporto da zero con nuovi consiglieri che non si conoscono). Machiavelli mette poi in guardia dai falsi amici, o meglio, dagli adulatori – gli utili idioiti - fonti di rischio e pericolo per via della loro scarsa capacità di critica e di analisi del contesto. Sappiamo ancora troppo poco sui consiglieri di Renzi per poter far previsioni, e sicuramente esisteranno adulatori alla sua “corte”. La prossima esperienza di governo ci illuminerà al riguardo, e il consiglio arriva direttamente da Machiavelli, dove scrive che

pertanto uno principe prudente debbe tenere uno terzo modo, eleggendo nel suo stato uomini savi, e solo a quelli eletti dare libero adito e parlargli la verità, e di quelle cose sole che lui gli domanda e non d’altro, – ma debbe domandargli d’ogni cosa, – e le opinioni loro udire: di poi deliberare da sé a suo modo; e in questi consigli e con ciascuno di loro portarsi in modo che ognuno conosca che, quanto più liberamente si parlerà, più gli fia accetto”

Avendo notato come anche molte persone vicine a Renzi siano state in qualche modo sorprese da questa scelta, e quindi probabilmente non consultate, possiamo immaginare che gli uomini veramente fidati di Renzi siano relativamente pochi, e solo le nomine nei dicasteri – vero nodo gordiano per poter governare l’inefficienza burocratica italiana – potranno illuminarci al riguardo. Si può sospettare che gli uomini e le donne che verranno messi nei ruoli chiave saranno quelli che prima hanno avuto modo di scoprire le scelte di Renzi (e magari vi si sono opposti, inutilmente).

Ma arriviamo al nocciolo della questione, cioè della capacità di un leader di leggere gli eventi in maniera alternativa, senza retorica, facendosi interprete di quella “verità fattuale” a cui tanto tiene Machiavelli. Nel capitolo 25 c’è quello che rende il Principe un testo senza età, adatto ad ogni epoca, cioè “quanto possa la fortuna nelle cose umane”. Per “fortuna” Machiavelli intende il “caso”, la “contingenza”, l’imprevisto. Un buon leader non deve farsi sopraffare dagli eventi che lo circondano, deve cercare di dominarli, di sparigliare le carte quando le cose sembrano prendere una piega non più governabile (“when in trouble, go big”, direbbe qualcuno). Lasciarsi governare dalle contingenze e dalla sorte è uno degli errori più grandi che un politico rischia di fare, a meno che la buona sorte non sia dalla propria parte, e allora ci si può far trasportare dalla corrente. Quando però la fortuna corre in senso opposto bisogna aggredirla, attraverso una “virtù ordinata”, che sia in grado di porre gli argini all’impetuosità degli eventi; e quindi è necessario l’impeto per contrastare l’impeto.

Nel Machiavelli l’iniziativa del singolo è messa al centro dell’attenzione, perché se è vero che la storia è fatta di moltitudini, è ancora più vero che sono spesso singoli uomini a trasformare fatti storici consuetudinari in eventi memorabili. Renzi nel compiere la sua scelta ha valutato le contingenze, cioè una situazione di stallo istituzionale che vedeva lui come protagonista incapace però di agire, proprio in prossimità di una importante tornata elettorale, come è quella delle elezioni europee. Restando al suo posto avrebbe dato alla “fortuna” la forza di metterlo all’angolo, di renderlo inoffensivo. Nel terrore di rimanere immobile, di non poter far nulla se non aspettare, ha preso la decisione più radicale, sparigliare le carte e cominciare una nuova partita, dove però ha lui la responsabilità dell’iniziativa, dove è lui al centro del gioco. In tutto questo va da sé che la nozione di “bene” e “male” è relativa, perché relative sono le circostanze in cui le decisioni politiche vengono prese, ed ogni leadership ha diverse qualità da sfruttare.

Credo ancora che sia felice quello che riscontra il modo del procedere suo con la qualità de’ tempi: e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e’ tempi. Perché si vede gli uomini, nelle cose che gli conducono al fine quale ciascuno ha innanzi, cioè gloria e ricchezze, procedervi variamente: l’uno con rispetto, l’uno con pazienza, l’altro col suo contrario; e ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire [...] Da questo ancora depende la variazione del bene; perché se uno, che si governa con rispetti e pazienza, e’ tempi e le cose girano in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando: ma se e’ tempi e le cose si mutano, rovina, perché e’ non muta modo di procedere

Il “cambio di passo” è tutto qui, o meglio sono qui le sue ragioni sull’arginare la fortuna, correggerla a proprio vantaggio, “dominarla”, non lasciare nulla al caso quando le cose si pongono in maniera logorante se non si reagisce. Infatti “sia meglio essere impetuoso che respettivo”, ripete Machiavelli.

Come già detto però, la strada è in salita, e la delusione di molti riguarda la possibilità che con questo gesto Renzi si sia giocato il proprio futuro. Questa è una prospettiva, una possibilità, sicuramente vagliata dallo stesso Renzi. A suo avviso però il rischio di logoramento era molto più alto rispetto alla sua capacità di reazione in un contesto dove è lui a guidare le scelte politiche. Il primo scoglio è la richiesta di fiducia alle camere, che non è scontata. Non sarebbe la prima volta che un Presidente del Consiglio venga sfiduciato appena arrivato in Parlamento. Succedeva nella Prima Repubblica, per motivi però completamente diversi (era un trucchetto che si utilizzava per gestire le elezioni successive con un Ministro dell’Interno di fiducia di questa o di quella corrente). Dopo di ché Renzi dovrà dimostrare di essere davvero qualcosa di diverso, sia per poter rivendicare questa salita a Palazzo Chigi senza il tanto invocato passaggio alle urne, sia per poter presentare sé stesso tra un anno – quando secondo me si tornerà a votare – come colui che ha dato una spallata all’immobilismo italiano.

L’impresa è enorme, e la speranza è che Renzi, oltre che una gigante ambizione, abbia anche enormi capacità politiche (per ora sembra averlo dimostrato, ma il contesto, appunto, era diverso). Questo che si trova ad affrontare è il suo primo impegno nazionale propriamente detto. Ciò può essere un bene – arrivare a Roma con un punto di vista completamente diverso – ma anche un male, ovviamente; la politica italiana ha la fenomenale capacità di rendere innocuo chiunque ne faccia parte, e non sarà facile per Renzi evitare questo destino.

Ciò di cui possiamo esser sicuri è che,  Renzi si è giocato tuttoha tutto da perdere, e quindi dovrà spingere al massimo. Tutto si può dire di Renzi, tranne che sia stato un doppiogiochista, uno che gioca nell’ombra, oppure uno che si è tirato indietro quando c’era da assumersi responsabilità ed impegni a prima vista gravosi ed impossibili, e se lui pensa di poterci riuscire, chissà, magari ci riuscirà davvero.

Se ci riuscirà, ed è tutt'altro che scontato, si potrà fregiare del titolo di Principe.

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