Il Minnesota è fallito. A quando il resto degli Usa?
La bandiera americana conta cinquanta stelle ma una si è appena spenta per bancarotta. Fuor di metafora, il Minnesota ha dichiarato default, mandando a casa 23.000 dipendenti pubblici su 32.000 totali. Semplicemente perché non ha i soldi per pagarli, come non li ha per le dotazioni degli uffici né per le infrastrutture in corso d'opera.
Ufficialmente i dipendenti sono in “furlough”, vale a dire in sospensione dall’impiego senza retribuzione, fino a nuovo ordine. Solamente i servizi sanitari e di sicurezza di base e le università restano operativi.
Questo è il risultato della scriteriata politica dei Repubblicani, al potere per oltre vent'anni, che nel corso della loro gestione hanno sistematicamente ridotto l'imposizione fiscale per le classi più agiate, aumentando nel contempo le spese statali. Una combinazione dissennata che ha svuotato le casse statali, fino alla decisione del governatore Mark Dayton di chiudere bottega.
Non è la prima volta che il Minnesota si ritrova a corto di liquidi. Anzi, è già il secondo episodio in sei anni. Nel 2005 l'allora governatore Tim Pawlenty, attuale candidato alle presidenziali del prossimo anno dichiarò la chiusura degli uffici pubblici per otto giorni.
Con una spesa pubblica che viaggia ad una velocità superiore rispetto a quella delle entrate, lo Stato non ha più le risorse per andare avanti.
Proprio l'elezione di Dayton, democratico, pareva poter imprimere una svolta nelle difficoltà di budget dello Stato americano. Ma avendo il Parlamento statale una maggioranza repubblicana, la libertà di manovra del governatore è in realtà fortemente limitata.
Il Minnesota ha un deficit di bilancio da 3,6 miliardi di dollari. Dayton ha a lungo cercato un'intesa con la maggioranza per trovare una soluzione, ma i repubblicani sono stati irremovibili, preferendo l'ostruzionismo alla collaborazione. Tra le due proposte c'era un divario di 1,4 miliardi. Il primo premeva per aumentare il carico fiscale per i più ricchi, i secondi insistevano sulla necessità di tagliare le spese. In pratica due sordi che si urlavano l'un l'altro.
Saltate le trattative in extremis della scorsa settimana, l'inevitabile conseguenza è stata il fallimento. Al quale al momento non c'è rimedio. Peraltro, neppure il default fermerà l'emorragia della spesa pubblica: lo Stato spende oltre 60 milioni di dollari a settimana per le cosiddette "spese non comprimibili", cioè quelle uscite che nonostante le misure, non sono suscettibili di modifiche nell'immediato.
Il mancato accordo sul budget nel Minnesota presenta interessanti analogie con la situazione federale.
Se entro il 2 agosto il governo non troverà i fondi necessari per i consueti versamenti ai fondi pensione dei dipendenti pubblici, gli Usa conosceranno il primo default della loro storia*. Obama vorrebbe un ritocco al limite massimo di indebitamento; i repubblicani chiedono la drastica riduzione della spesa pubblica (in particolare del programma sanitario Medicare, che offre assistenza gratuita agli over 65).
I tagli draconiani alle tasse durante gli otto anni di presidenza Bush (nel 2001 all'inizio del suo primo mandato, e nel 2003 a un anno dalle elezioni), per un totale di 1,35 trilioni di dollari e di cui un terzo riservato all'1% della popolazione, hanno sottratto risorse preziose al bilancio di Washington. Aggiungiamo le campagne mediorientali e la crisi finanziaria del 2008, e capiremo come ha fatto il debito degli Usa a passare dagli 8.000 miliardi (60% del PIL) del 2000 ai 14.000 miliardi (100%) di oggi. Numero iperbolico e pure destinato a crescere, considerato che da un paio d'anni il deficit del bilancio federale è in doppia cifra e non si riuscirà a riportarlo sotto la soglia del 5% entro il prossimo decennio. In pratica, gli Usa stratificheranno 1.000 miliardi di dollari di debito in più all'anno per i prossimi dieci anni.
Numeri che minacciosamente indicano la direzione del baratro, ma che tuttavia non smuovono i repubblicani dalle loro posizioni. I quali, forti della maggioranza nel Congresso così come nel piccolo Minnesota, sono impegnati più a mettere in difficoltà Obama in vista delle elezioni del 2012 che a salvare il Paese dal disastro che loro stessi hanno contribuito a provocare.
* L'eventualità di un default degli Stati Uniti non è più fantascienza
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