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I viaggi di Primo Levi: crudeltà, vergogna, angoscia e libertà

"Da una tregua all’altra" è il libro di Marco Belpoliti e di Andrea Cortellessa che prende in esame le opere e l’esperienza di Primo Levi (www.chiarelettere.it, con Dvd del documentario "La strada di Levi" di Davide Ferrario).

I viaggi di Primo Levi: crudeltà, vergogna, angoscia e libertà

Le opere di Levi sono viaggi ai confini della zona oscura della mente umana e dal punto di vista letterario “il tono della scrittura di Levi è quello scritto-parlato, cioè di un racconto fatto a penna ma che ha ben presente la cadenza e il tono di una voce che legge” (p. 33). Ed è forse per questo motivo che gli editori e i loro collaboratori hanno inizialmente rifiutato questo scrittore molto originale e gli italiani hanno dovuto aspettare molti anni prima di conoscerlo e amarlo. Gli editori sono degli esseri umani che sbagliano stando su un piedistallo e non ammettono o ammettono in ritardo i propri errori, proprio come i politici, i manager, i banchieri e i papi (e le conseguenze negative le pagano soprattutto gli altri).

Comunque Marco Belpoliti nel suo approfondito saggio afferma che “chi ha letto con attenzione… sa che Levi non ha scritto un libro sullo sterminio degli ebrei d’Europa (lo scrittore respingeva con decisione il termine Olocausto), ma sullo sterminio nazista in generale (ebrei, deportati, militari, partigiani, slavi). “Se questo è un uomo” si apre con una dichiarazione precisa: sono stato catturato come partigiano, minacciato di fucilazione, e mandato in Lager come ebreo… non è tanto e solo un libro di testimonianza, ma una lunga riflessione sulla natura umana in condizioni estreme; è un libro di etologia. Vi si parla dell’animale-uomo. E questo è un altro aspetto della sua natura bifida: scrittore e scienziato, testimone ed etologo” (p. 29).

La natura di scienziato-antropologo di Levi ha permesso una scrittura permeata da maggiore obiettività: infatti affermò che “la memoria è uno strumento meraviglioso ma fallace”. Levi era anche un italiano pacifico che ha descritto le conseguenze estreme dei rapporti gerarchici rigidi e acritici. E ha dimostrato come gli odi politici e gli odi religiosi possono approfittare del "patrimonio genetico di animali sociali, per arrivare al dominio dell’uomo sull’uomo": si inizia quasi sempre derubando e si finisce molto spesso uccidendo (con la fame, le malattie o le armi).

Lo sterminio della popolazione ebraica è solo uno degli innumerevoli esempi dei genocidi apparsi sulla faccia della terra. È stato l’approccio industriale e metodico dei tedeschi a fare la differenza. Era un approccio più “pulito” e metodico, diventato più terribile, perché il fuoco, il sangue degli squartamenti e degli sbudellamenti dei romani, dei barbari e di tutte le popolazioni orientali e occidentali, del vecchio e del nuovo mondo, non avevano testimoni con la possibilità di usare giornali, foto e filmati per documentare e diffondere nel tempo i “crimini di stato” e le violenze dei maschi delle specie umana in ogni angolo della terra. Infatti oltre il 90 per cento degli omicidi e delle guerre sono causate dagli uomini e per questo motivo le donne sono meno pericolose quando sono al potere.

E anche oggi, per far dimenticare gli orrori della guerra e mantenere gli eserciti attivi, le istituzioni sono costrette a fabbricare continuamente delle storie ripiene di eroismo, che non rappresentano l’unica vera realtà della guerra: corpi mutilati, pezzi di carne bruciata, sangue raggrumato, interiora e merda più o meno liquida sparse da tutte le parti. “L’eroismo è menzogna. L’orrore è realtà” (Bertolt Brecht, Abicì della guerra). E “Non c’è niente di peggio nella vita di una battaglia vinta, eccetto una battaglia persa” (duca di Wellington, in “Napoleone” di Paul Johnson, 2004). Nei conflitti armati gli unici a guadagnarci saranno sempre i venditori di Gloria & Morte: politici volgari e vanitosi, affaristi crudeli e vigliacchi, e uomini religiosi narcisisti e opportunisti (a cui conviene perdonare tutto e tutti per poter incassare i lasciti economici dei morenti, soprattutto potenti).

Infine c’è un’altra affermazione di Levi da sottolineare: “Nessuno tentò di fuggire” tra gli internati del campo di Fossoli situato in Provincia di Modena, gestito prima dagli italiani e poi caduto in mano ai tedeschi nazisti (il campo esiste tuttora ed è visitabile). Addirittura molti ebrei, come Levi, avevano avuto diverse notizie dei pericoli, attraverso articoli comparsi su giornali svizzeri, le trasmissioni di radio Londra, i colloqui con militari italiani e quelli con ebrei fuggiti dalla Croazia e dalla Polonia. Perciò di fronte ai fantasmi della gerarchia, della legge e della polizia, l’abitudine alla sottomissione riflessa e al rispetto istituzionale acritico è dura a morire. E in molti paesi del mondo ancora oggi si può pagare questo tragico errore con la perdita della dignità oppure della vita.

In effetti se quasi tutti gli ebrei e i deportati salivano ordinatamente sui treni della morte, non c’è da meravigliarsi più di tanto se in molti paesi del mondo i cittadini continuano a votare dittatori e politici accentratori, incapaci o corrotti, e da così tanto tempo, con molta rassegnazione o addirittura con incredibile soddisfazione.

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