I puntini sulle i di “matrimonio”
Il 6 gennaio scorso sul Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo della giornalista Candida Morvillo dal titolo Quelli che si sposano per finta: “In nave, a cavallo, in abito storico, il nostro giorno indimenticabile”.
Un articolo che appare dopo un’intervista alla sottoscritta in merito al progetto Cerimonie Uniche della nostra associazione, in cui ho fatto chiarezza in merito all’importanza di diffondere nel nostro paese l’opportunità, per chi lo desidera, di celebrare i momenti salienti della propria vita senza riferimenti religiosi, nel rispetto dei propri valori e identità.
Leggere in questo articolo che le unioni e i matrimoni simbolici non religiosi siano in aumento fa pensare positivamente a questo fenomeno come collaterale al processo di secolarizzazione della cultura e della società che, sempre di meno, si riconosce nei valori e nei precetti della chiesa cattolica. In altre parole, aumentano le persone che desiderano cerimonie che rispecchino maggiormente la propria visione del mondo e della vita e non quella del cattolicesimo, spesso imposta fin dalla nascita con il battesimo e dopo la morte con i funerali religiosi rifilati a chi era non credente.
Il titolo dell’articolo del Corriere della Sera introduce tuttavia una certa ambiguità tra “finto” e “simbolico” riferito a matrimoni e unioni. Parafrasando il caotico incipit, si legge che al giorno d’oggi le coppie scelgono il matrimonio simbolico per essere maggiormente liberi di scegliere la modalità e i dettagli della cerimonia: “di solito” si legge nell’articolo “è il bis di coppie di coniugi certificati anche dalla legge, ma c’è anche chi fa il solo matrimonio per finta, denso di valore emotivo ma privo di ogni valore legale”. Dalle parole della giornalista si evince che il “matrimonio vero” sia quello che è anche suggellato dalla firma dell’atto legale per cui il “matrimonio simbolico” sembra diventare “finto” se ne è privo, chiamandolo “non matrimonio” in analogia con il “non compleanno” di Alice nel paese delle meraviglie. Dunque la giornalista usa indistintamente “vero” e “legale” e questo comporta qualche problema a livello comunicativo, ma anche in merito alla comprensione dell’entità delle cerimonie stesse in quanto tali.
La nostra cultura è evidentemente impregnata di un immaginario cattolico, o quantomeno cattoriferito, per cui non sorprende leggere su un quotidiano generalista che soltanto il matrimonio non religioso e simbolico venga chiamato “finto” perché non valido legalmente, quando anche i matrimoni religiosi di altre confessioni in Italia non hanno valore legale (per l’amato Concordato), precisamente quelle religioni che non hanno stipulato l’intesa con lo Stato italiano. Questi ultimi matrimoni sarebbero dunque finti? E che dire poi dei matrimoni cattolici non concordatari, cioè quelli celebrati in chiesa che non prevedono la lettura delle norme del codice civile e che dunque non hanno nessun effetto civile? Se tanto mi dà tanto anche questi, peraltro celebrati in genere allo scopo di non perdere la pensione di reversibilità o altri “piccoli” simili problemi, sarebbero finti.
Più avanti la giornalista parla anche di “finti sindaci”, oltretutto facendoli apparire attinenti alla formazione celebranti di Cerimonie Uniche, sbagliando. Ma forse è una svista causata da un paragrafo saltato e un mancato punto e a capo nel discorso, pazienza. Ci tengo a precisare: non formiamo “finti sindaci”. Successivamente la giornalista riporta di “finti celebranti” o attori che offrono una “predica” su misura, mancando poi di dire a cosa stia facendo riferimento.
Data l’ambiguità introdotta tra “simbolico” e “finto” qualche precisazione è dovuta a coloro che si interessano in vario modo alle cerimonie laiche e non religiose. In primo luogo, una cerimonia, che sia un matrimonio (o meglio un’unione) un funerale o un benvenuto per i nuovi nati, è vera dal momento in cui essa viene vissuta da coloro che ne sono i soggetti e, se presenti, dalle persone che vi assistono e che ne sono eventualmente partecipi a vario livello. Partecipare ad una cerimonia significa vivere un momento di intenso coinvolgimento all’interno del quale viene narrato e valorizzato con letture e riti il passaggio da una fase della vita ad un’altra, generalmente in presenza delle persone care e della propria comunità, con la conduzione di un/a celebrante (o talvolta di più oratori) a cui è affidato il compito di dichiarare i motivi per i quali la cerimonia viene svolta, cosa si sta celebrando e, in particolar modo per quanto riguarda unioni e matrimoni, proclamare davanti ai presenti come i soggetti celebrati verranno riconosciuti da quel momento in poi “marito e moglie”, “moglie e moglie”, “marito e marito”, “compagni”, “famiglia” ecc. In questo senso, “vero” fa riferimento al valore che le persone attribuiscono alle parole, ai gesti e ai riti compiuti all’interno della cerimonia e soprattutto agli atti linguistici dichiarativi del/la celebrante.
In secondo luogo, porgendo maggiore attenzione alla questione: quale cerimonia, anche religiosa, non è simbolica? Le cerimonie religiose includono riferimenti a simboli sacri e divini, mentre quelle laiche no. Inoltre, anche il funerale è simbolico, in quanto l’atto legale di attestazione di morte prodotto dall’anagrafe non viene svolto al suo interno, idem per battesimi/benvenuti, rinnovo delle promesse ecc. Idem anche per i matrimoni: una cosa è l’atto legale di stipula del matrimonio, un’altra cosa è la cerimonia di matrimonio, che è simbolica, sia essa laica o religiosa. Le due cose, atto legale e cerimonia, sono generalmente confuse, probabilmente sempre perché molto avvezzi ad assistere ai matrimoni in chiesa che grazie al Concordato del 1929 (si parla appunto di matrimonio concordatario) hanno tutt’ora effetti civili e anche perché in molti comuni non viene concesso tempo sufficiente e a volte neanche lo spazio per una cerimonia che accompagni l’atto legale in maniera consona e rispettosa dei valori della coppia, costretta a svolgere la cerimonia (non l’atto legale) altrove.
L’Uaar, per quanto riguarda i matrimoni e le unioni, ha come obiettivi la possibilità per le coppie di unirsi ufficialmente anche fuori dagli edifici pubblici, in luoghi di proprio gradimento, l’eliminazione della discrezionalità del sindaco nella concessione della delega per la celebrazione di matrimoni e unioni civili e, soprattutto, la disponibilità, su tutto il territorio nazionale, di luoghi solenni e tempi consoni per la celebrazione di cerimonie e di sale del commiato pubbliche. Queste ultime scarsissime sul territorio italiano, nonostante il DPR 285/90 che prevede all’art.18 comma 2 il diritto di “rendere al defunto le estreme onoranze” e di conseguenza l’obbligo a carico del comune di consentire lo svolgimento di funerali in spazi laici.
Purtroppo ci sono ancora fraintendimenti sul concetto di cerimonia laico-umanista, che viene intesa come uno “scimmiottamento” delle cerimonie religiose o una brutta e squallida copia di esse. Non è così: le cerimonie esistono da quando gli esseri umani hanno iniziato a comunicare tra loro. Alcune di esse sono religiose perché fanno riferimento a divinità ed entità soprannaturali, altre sono laico-umaniste: prive di religiosità, ricche di elementi che caratterizzano e accomunano le persone nella loro umanità.
Non c’è niente di più vero e reale di ciò che si vive con intensità, al di là del suo valore legale. La cerimonia è una “rappresentazione vissuta” di un momento di passaggio, a cui non è attribuibile la finzione, qualsiasi sia il suo stile, ed è unica e irripetibile soprattutto per chi crede che di vita ce ne sia una sola. La giornalista, in chiusura del suo articolo, prevede, un po’ per burla, un po’ cadendo nel climax, l’avvento di “finti preti”. Diciamo che ci bastano e avanzano quelli veri e non saranno certo i celebranti Uaar a “contraffarli”.
Maria Pacini
Responsabile progetto Cerimonie Uniche e Formazione celebranti
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