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I giocattoli del ministro e le vite sprecate

Il ministro degli interni Maroni, ieri, ha annunciato orgoglioso: "Body scanners anche nelle stazioni".

I giocattoli del ministro e le vite sprecate

Ricordate la breve stagione felice, tra l’introduzione del trattato di Schengen e il tragico 11 settembre, quando era possibile prendere l’aereo quasi con la stessa facilità con cui si prendeva l’autobus? La rimpiangete?

Forse, se come accade a me ora, volate solo un paio di volte l’anno per andare in vacanza, non noterete grandi differenze, ma per chi è costretto per lavoro a frequenti voli, come era il mio caso fino a pochi anni fa, l’inevitabile allungarsi dei tempi d’imbarco che hanno comportato le nuove norme sulla sicurezza, ha rappresentato un piccolo, ma significativo peggioramento della qualità della vita.

Esagerato, obietterà qualcuno, per qualche minuto in più.

Non è affatto vero che si tratta solo di qualche minuto; quando gli aeroporti iniziano ad affollarsi per un qualunque motivo – le ferie e le festività, ma anche uno sciopero oppure un problema tecnico o meteorologico – i pochi minuti si trasformano facilmente in quarti d’ora o mezz’ore e il viaggiatore, per avere la certezza di presentarsi all’imbarco per tempo, quel quarto d’ora in più per superare i controlli, lo calcola comunque ad ogni volo.

Ogni quattro passeggeri fa un ora di vita umana sprecata in colonna o aspettando una colonna che magari non c’è; ogni cento viaggiatori un giorno.

In una vita lunga ottant’anni ci sono 29.200 giorni. Fatti due conti si scopre che, per ogni tre milioni di passeggeri, una vita umana viene sprecata in controlli di sicurezza.

Considerando che ogni anno le compagnie aeree trasportano cinque miliardi di passeggeri, consegue che circa millecinquecento vite all’anno vengono sacrificate sull’altare dei nuovi controlli di sicurezza.

Servono, almeno?

A me è capitato di vedermi sequestrato di tutto, dalle bottiglie d’acqua ai flaconi di shampoo, ma di prendere l’aereo con una forbice di venti centimetri nel bagaglio a mano e a chiunque, o quasi, sono capitati episodi del genere. 

Se c’è da credere alla ricostruzione degli eventi dell’11 settembre che vuole che i terroristi fossero armati di pugnali di plastica tagliente direi che, oggi esattamente come ieri, le probabilità di impedirgli di portare a termine il loro piano sono minime.

Con un minimo di fantasia, poi, soprattutto con al complicità di uno delle migliaia di lavoratori presenti in ogni aeroporto, ognuno di noi può immaginare un modo di far aggirare i controlli a qualche etto di esplosivo al plastico.

E’ l’eterna lotta tra offesa e difesa, tra proiettile e corazza: per quanto si investa in protezione basta una minima innovazione nelle metodologie o negli strumenti d’offesa per vanificare tutto.

A cosa servono allora, davvero, i controlli di sicurezza?

A rassicurare i passeggeri; a far sapere ai cittadini che qualcuno pensa a loro. Alla loro sicurezza, appunto.

Lo scambio tra libertà individuali e illusione di sicurezza è il baratto fondamentale che la politica ci propone da almeno un ventennio.

Di fronte a minacce, magari reali, ma sicuramente ingigantite dalla grancassa dei mezzi di comunicazione – i morti ammazzati, meglio se in maniera orribile, vendono giornali e fanno ascolto – s’inaspriscono i controlli, fioccano i divieti, si riducono gli spazi di libertà e si moltiplicano le proibizioni.

E si riducono i diritti.

In nome della sicurezza, pochi mesi fa, il sindaco di Milano signora Moratti proponeva di abolire l’habeas corpus, permettendo le perquisizioni senza mandato delle abitazioni sospettate di ospitare immigrati irregolari. 

Sospettate da chi? Visto che non si richiedeva il parere a riguardo di un magistrato.

Misteri del morattipensiero. Qualcuno l’ha anche presa sul serio; molti hanno addirittura applaudito all’idea.

La città d’altronde, dicono tanti bravi cittadini, è diventata invivibile: basta ascoltare il telegiornale.

Che i tassi di criminalità siano in discesa costante da decenni è una specie di segreto militare; nessuno lo sa.

Che il tasso d’omicidi, nel nostro paese sia il secondo più basso d’Europa – quello svizzero è il doppio del nostro – un segreto altrettanto ben custodito.

Che nell’idilliaca Italia dei nostri bisnonni si uccidesse dieci volte più che ora, se detto ad alta voce – non importa che sia esattamente quello che dicono le statistiche del ministero degli interni – viene preso per segno di sicuro squilibrio mentale.

In questo quadro ha perfettamente senso che il ministro degli interni annunci trionfante che, per la nostra sicurezza, verranno introdotti dei nuovi body scanner negli aeroporti e, udite udite, nelle stazioni ferroviarie.

Non so quanti secoli perderanno i viaggiatori del prossimo futuro incolonnati per passare davanti al nuovo aggeggio, né quanto costi acquistare e gestire ognuno di questi apparecchi; quello che so con certezza è che nei due attentati che hanno funestato le nostre ferrovie, quello all’Italicus e quello della Stazione di Bologna, sarebbero serviti a poco - date le complicità di cui godevano gli attentatori - e che per evitare il ripetersi d’incidenti come quello di Viareggio non serviranno a nulla.

Se si avesse davvero a cuore la sicurezza dei passeggeri rimettere in sesto le nostre linee ferroviarie e rinnovare i nostri vetusti treni avrebbe infinitamente più senso; certo che farlo richiederebbe impegno, serietà e tanti denari e a noi, si sa, di queste tre cose è rimasto pochissimo.

Intanto muiono oltre mille italiani ogni anno in incidenti sul lavoro mentre non ci sono i fondi per pagare chi dovrebbe fare i controlli sul rispetto delle normative di sicurezza nelle imprese; in Germania, paese che ha ottanta e più milioni di abitanti, muoiono ottocento lavoratori l’anno: a conti fatti lavorare da noi è, rispetto ad altri paesi europei, quasi doppiamente pericoloso.

Si vuole veramente la sicurezza dei cittadini? Bene: i cittadini restano tali sia che volino su un aereo o che lavorino, in fonderia come in casa. Dati alla mano il pericolo reale, anche se non guadagna titoli in prima pagina, non è il terrorista islamico , ma l’impianto elettrico senza un’adeguata messa a terra o la caduta da un impalcatura non a norma.

Al ministro degli interni, in particolare, andrebbe ricordato che cittadini si resta anche in carcere e che il numero dei morti nelle carceri italiane – per suicidio o perché suicidati – sta diventando talmente alto da far dubitare che il nostro sia ancora un paese civile.

Perché la civiltà di un paese la si giudica dal rispetto dei diritti fondamentali, non dalla diffusione di gadget tecnologici.

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