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 Home page > Attualità > Salute > I funghi allucinogeni fanno smettere di fumare

I funghi allucinogeni fanno smettere di fumare

Per chi le ha provate tutte...

Può sembrare che alcun ricerche vengano pubblicate per attirare l'attenzione della stampa e non per offrire un contibuto reale al progresso della medicina. Ma la prima impressione, in ambito scientifico, deve sempre lasciare il posto a considerazioni più approfondite.

L'ultimo caso arriva dall'Università Johns Hopkins di Baltimora, negli Stati Uniti. Lo studio, pubblicato sulle pagine del prestigioso Journal of Psychopharmacology, dimostrerebbe che la psilocibina, un alcaloide presente in alcuni funghi allucinogeni, può essere un valido aiuto per chi vuole smettere di fumare.

I test sono stati condotti solamente su 15 soggetti, ma i risultati sarebbero estremamente soddisfacenti: l'80% delle persone che si sono sottoposte al trattamento allucinogeno controllato ha effettivamente abbandonato l'uso del tabacco, senza ricadere in tentazione nei sei mesi successivi. Secondo il professor W. Johnson, uno dei componenti dell'equipe, nella ricerca sul tabagismo non era mai stato raggiunto un tasso di successo così elevato.

Dunque basta sostituire la sigaretta con un bel funghetto? Di sicuro la pausa caffè diventerebbe un'esperienza interessante, ma i ricercatori sottolineano che l'assunzione degli allucinogeni può avvenire solamente all'interno di un contesto strettamente regolato, nell'ambito di terapie cognitivo-comportamentali. Insomma, è da escludere che una settimana di bagordi negli smartshop di Amsterdam possa avere un effetto positivo sulla dipendenza da nicotina.

Al di là dell'inevitabile ironia, non è certo la prima volta che le droghe e le sostanze psicoattive vengono utilizzate per la cura di disturbi psicologici o malattie fisiche. Gli utilizzi terapeutici della cannabis e dei suoi componenti sono ampiamente noti: viene usata per lenire gli effetti negativi della chemioterapia, per alleviare alcuni sintomi dell'AIDS, per il trattamento del dolore e in numerose altre applicazioni mediche. Alcuni studi affermano che il THC, principio attivo della cannabis, sarebbe efficace nel contrasto di determinate forme tumorali.

Ma la ricerca medica non si limita alle sole droghe leggere. Nel 2010, sempre sul Journal of Psychopharmacology, è stato pubblicato uno studio che mette in luce gli effetti positivi dell'MDMA, molecola di base dell'ecstasy, nel trattamento della sindrome post-traumatica da stress (PTSD) che affligge sopratutto i veterani dell'esercito. Il tasso di guarigione, su un campione di 20 soggetti, è stato dell'83%, senza apparenti effetti indesiderati. Anche in questo caso si ribadiva la necessità di accedere al consumo della sostanza solo nell'ambito di un contesto medico controllato.

Anche sostanze considerate pericolose e incontrollabili, come l'LSD e la chetamina, hanno trovato il loro campo di applicazione nella ricerca medica. L'anestetico, usato in campo veterinario e assunto come stupefacente, con effetti devastanti, potrebbe rivelarsi uno strumento efficace nella cura degli stati depressivi più gravi, come dimostrerebbe uno studio condotto dalla Oxford Health Nhs Foundation Trust e dall'Università di Oxford. Diversi centri di ricerca stanno invece testando l'uso terapeutico dell'acido lisergico e dei suoi effetti psichedelici. Uno dei campi di applicazione potrebbe essere il trattamento dello stress nei malati terminali, come suggerito da una piccola ricerca realizzata in Svizzera nel marzo scorso.

Il minimo comun denominatore degli studi effettuati e di quelli in corso è la necessità di un ambiente controllato per l'assunzione delle sostanze psicotrope. Stabiliti i limiti necessari, le droghe non fanno necessariamente male e non sono necessariamente essere considerate un male. Bisogna piuttosto capire come sfruttarne le capacità a livello medico, senza timori e ideologismi.

 

Foto, Luca Langella, Flickr

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