I disperati di Francia e la ghigliottina di Bertoldo
Tra misure italiane, cioè asfittiche e controproducenti, prosegue in Francia la ricerca di fondi per quadrare un bilancio che neppure scalfisce il deficit. Anche l'opposizione fa il verso al populismo italiano dei tempi d'oro.
Dopo essere sopravvissuto a una mozione di sfiducia, il governo di François Bayrou prosegue la sua navigazione verso un approdo che dia alla Francia un bilancio per il 2025. Dopo aver ridimensionato (dal 5 al 5,4 per cento) le ambizioni di contenimento del deficit rispetto al suo predecessore, Michel Barnier, Bayrou è riuscito a ottenere la “non sfiducia” dei socialisti con una manovra assai classica: creare una commissione tra sindacati e datori di lavoro per esaminare in che modo riformare la riforma delle pensioni del 2023.
Nel frattempo, il premier ha commissionato alla Corte dei conti una ricognizione sullo stato della spesa pensionistica. Altro tradizionale espediente per comprare tempo, rigorosamente a debito, che ricorda molto l’accurata ricerca da parte di Bertoldo di un albero a cui farsi impiccare. Nel caso francese, per rispetto delle tradizioni locali oltre che del fatto che si cercano tagli che restano immaginari, sostituiremo l’albero con una ghigliottina.
Caccia ai contributi
Intanto, ferve l’attività per recuperare risorse per il bilancio. C’è un gran vociare attorno a misure che definire asfittiche è un generoso eufemismo. Senza pretesa di esaustività, possiamo segnalare le elucubrazioni della ministra del Lavoro, Astrid Panosyan-Bouvet. Che fa sapere che, per recuperare risorse per finanziare la protezione sociale, si può pensare a una contribuzione a carico dei pensionati “che se lo possono permettere”.
Avrete già intuito che si parla dei celebri “contributi di solidarietà” che noi italiani conosciamo molto bene. La ministra ha già anticipato che, a suo giudizio, la soglia del benessere, quella di chi “se lo può permettere”, potrebbe essere intorno ai 2.000 o 2.500 euro mensili. La sentite, l’aria di famiglia?
In aggiunta, torna a girare la proposta, scartata da Barnier, di mettere a carico dei lavoratori un nuovo balzello contributivo, e cioè sette ore di lavoro annue destinate a finanziare la Sécurité sociale, con un gettito stimato in due miliardi. A inizio febbraio questa misura potrebbe tornare a essere discussa, visto che il governo Bayrou pare non vi si opponga. Resta il tiro alla fune tra datori di lavoro e sindacati su chi dovrebbe pagarla e come strutturarla. Già si sentono fallaci proclami pedagogici del tipo “è giusto lavorare di più”, a patto che a pagare non siano le imprese, s’intende.
Altra misura di cortissimo respiro, anch’essa destinata a gravare sul costo del lavoro, è quella sulla CVAE, la contribuzione sul valore aggiunto d’impresa. Che, come suggerisce il suo nome, morde i conti aziendali anche in assenza di utile di bilancio. Si tratta di una misura “offertista” introdotta da Emmanuel Macron nel 2020. All’epoca, le aziende francesi versavano 15 miliardi di euro l’anno a titolo di CVAE. Dal 2021, il suo tasso è stato dimezzato, in nome della “riconquista industriale”. Successivamente, era stata annunciata la completa scomparsa per il 2023. Prima di essere posticipata al 2024 e poi al 2027 da Bruno Le Maire (sempre a causa di difficoltà di bilancio).
Lo scorso autunno, Michel Barnier aveva annunciato l’intenzione di rinviare di ulteriori tre anni questo percorso di cancellazione del contributo, portando la scadenza al 2030. Profonda irritazione dei datori di lavoro. Poi Barnier è stato sfiduciato e l’aliquota della CVAE è diminuita come da cronoprogramma originario. Per le aziende con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, ad esempio, l’aliquota è passata dal primo gennaio dallo 0,28 allo 0,19 per cento. Applicato all’intero valore aggiunto imponibile, si tratterebbe di milioni di imposte risparmiate, e di un corrispondente buco di bilancio pubblico da colmare.
Ripristinare il tasso della CVAE al suo livello del 2024 in corso d’anno sembrava rischioso dal punto di vista giuridico, in quanto misura retroattiva. Che fare, dunque? Il governo Bayrou non riporterà l’aliquota della CVAE al livello del 2024 ma intende creare una “addizionale CVAE” per colmare il buco. Ovvero una nuova aliquota dello 0,09% del valore aggiunto imponibile per le imprese che realizzano più di 50 milioni di euro di fatturato. Ciò dovrebbe consentire di recuperare nel 2025 il famoso miliardo di euro su cui già puntava Barnier per ridurre di un pizzichin il deficit pubblico, senza esporsi agli strali del Consiglio costituzionale.
Attendendo la mezzanotte
Capite? Disperazione purissima intorno a spiccioli, rispetto al quadro complessivo di finanza pubblica. Una italianisation conclamata, che è la fase che si afferma quando la crescita sparisce e lo stato sociale diventa improvvisamente assai costoso. In attesa che anche in Francia all’orizzonte compaiano ottimati a sentenziare che “la soluzione è molto semplice, basta tagliare tutte le pensioni”. Resta il problema di come gestire il fatto che i destinatari dei tagli manifestano un irritante dissenso rispetto al progetto.
C’è un filone di pensiero, che mi pare verosimile, secondo cui per mettere mano in modo significativo alla spesa pubblica occorre arrivare a un minuto della mezzanotte, cioè del collasso del sistema. Una sorta di sistema argentino al tempo di Javier Milei, sembra. Nel senso che l’opinione pubblica, contro ogni previsione e malgrado i cruenti tagli, mantiene inusitate percentuali di sostegno all’azione del presidente. Superata la fase dello shock “a doccia fredda”, ora il consenso starebbe risalendo soprattutto grazie al recupero di potere d’acquisto, che è sempre una formidabile leva di consenso dell’elettorato, nel bene e nel male.
La Francia al momento appare ancora piuttosto distante dalla mezzanotte, almeno secondo i mercati, che sono quelli che dovranno recitare la parte di Enzo Tortora a Portobello, e pronunciare la fatidica frase: “Big Ben ha detto stop”. Motivo per cui si procede a martellate al margine e proposte che vanno in una sola direzione: quella di aumentare il costo del lavoro.
Vedremo come andrà, ci sono da recuperare trenta miliardi e il governo spergiura che due terzi saranno tagli di spese. Nel frattempo, dall’opposizione, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella gioca confortevolmente di rimessa e vede coperture ovunque, anche senza assumere sostanze stupefacenti. Il refrain è sempre quello: già le mani dalle pensioni e dalla spesa sociale, i soldi si trovano. Davvero? E dove?
Coperture populiste
Semplice, dicono dalle parti del RN: dobbiamo agire sulle “frodi”, qualunque cosa ciò significhi. Poi, mettere a dieta la burocrazia statale, che per la banda Le Pen vuol dire ridurre il decentramento amministrativo. Cioè fare della centralista Francia un paese ancor più centralizzato. Seguono i “costi dell’immigrazione”, che ricordano la battaglia contro i famosi 35 euro al giorno condotta da noi per mano dei populisti (perché i canoni stilistici sono sempre uguali) e, udite udite, ridurre la contribuzione francese alla Ue.
Come avrete intuito, questi sono classici argomenti delle forze populiste, ovunque. Si direbbero scopiazzati dal canovaccio italiano dell’elezione che portò al governo Conte I. Non si inventa nulla, davvero. Non ho ancora trovato traccia della riduzione del parco di auto blu francesi ma penso ci arriveremo presto.
Sin quando la situazione politica francese non si sbloccherà, e le urne consegneranno a qualcuno una maggioranza politica più o meno autosufficiente, il paese è destinato a questo balletto italiano fatto di misure di bilancio asfittiche e autolesionistiche e ad una opposizione che si gonfia senza sforzo, in attesa di entrare nella stanza dei bottoni e solo allora, se i francesi saranno fortunati, vivere la mutazione nota come melonisation, che gli scienziati sociali studieranno in futuro.
(Immagine realizzata con Grok)
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