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I diritti delle aziende secondo la FIAT

È di solo pochi giorni fa questa affermazione del premier: "è ora di dare anche diritti alle aziende che finora hanno avuto solo doveri". Ed ecco che, puntualmente, l’azienda FIAT, uno dei simboli dell’industria italiana, incomincia a farli valere. E come? Con un ricatto: se volete lavorare dovete fare come diciamo noi. Questo, in sintesi, il succo delle proposte della FIAT in merito al mantenimento della produzione a Pomigliano D’Arco.

I diritti delle aziende secondo la FIAT

Cosa chiede la FIAT?

1) Ottanta ore annue di lavoro straordinario pro capite, praticamente obbligatorie, "senza preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi";

2) la riduzione delle pause sulle linee meccanizzate dagli attuali 40 a 30 minuti;

3) il recupero produttivo delle fermate tecniche, anche se effettuate per causa di forma maggiore.

Inoltre, per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche quali, in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la "non copertura retributiva a carico dell’azienda nei periodi di malattia correlati al periodo dell’evento". L’articolo parla inoltre di "elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche", e prevede dunque la chiusura in caso di elezioni, chiedendo ai lavoratori di prendersi, nei giorni di chiusura, le ferie o i permessi.

Ecco i diritti delle aziende, la possibilità di gestire la produzione al di fuori dei normali canali: contratti collettivi e aziendali, leggi dello stato, statuto dei lavoratori. Le richieste della FIAT, se accettate, porrebbero le condizioni per la fine dei diritti dei lavoratori, in primis il diritto al lavoro in condizioni “civili”; ciò che vuole la FIAT, e il primo ministro, non è il posto di lavoro per i 5000 operai di Pomigliano, ma la completa libertà di azione in campo produttivo.

L’attuale politica del lavoro mira a:

1) porre fine alle lotte (scioperi) di rivendicazione degli operai;

2) porre fine alle conquiste dei lavoratori e annullare quelle acquisite;

3) dividere gli operai in corporazioni separate dove ognuna abbia le proprie regole per evitare il formarsi di organizzazioni capaci di influire sul mondo del lavoro;

4) disporre a proprio piacimento del personale con regole imposte dalle aziende;

5) aprire, chiudere o de localizzare (anche all’estero) i siti produttivi in base ai loro interessi al di là che il mercato tiri o no in nome del profitto;

6) ottenere finanziamenti statali senza vincoli, legati unicamente alla riconversione della produzione e non più al mantenimento dei posti di lavoro.

Questa politica va inserita nel quadro attuale delle richieste del governo quali:

1) cancellazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (proposta avanzata più volte e sempre respinta dall’opposizione e dal sindacato);

2) contratto a termine (di fatto, annullamento dell’articolo 18)

3) pensione al compimento dei 70 anni (con la prerogativa di licenziare qualora l’operaio non risponda più alle esigenze dell’azienda);

4) cancellazione dello stato sociale (privatizzazione anche dei servizi pubblici essenziali come: acqua, sanità, scuola, cultura e pensioni);

5) snaturamento della costituzione attraverso leggi come: intercettazioni, lodo Alfano, lotta alla criminalità (respingimenti e reato di clandestinità).

È in questo contesto che va letta anche la finanziaria che, pur essendo nata da esigenze oggettive al sistema, invece di prevedere azioni utili al contenimento della spesa pubblica quali:

1) diminuzione netta dei privilegi (e non solo gli stipendi) in uso verso la dirigenza (a qualsiasi livello e grado di comuni, province, regioni e organi statali) statale;

2) blocco delle grandi opere e lotta agli sprechi derivanti dagli appalti e dalla corruzione da essi derivante;

3) modifica del sistema fiscale, con tasse sulle rendite finanziarie speculative e non e sui prodotti, anziché sulla persona fisica (al diminuire dei posti di lavoro non corrisponde la diminuzione della produzione, pertanto, a parità di produzione, con meno dipendenti, l’azienda paga meno tasse e, di conseguenza aumenta i propri utili, i dividendi);

4) lotta all’evasione con l’abolizione dei condoni d’ogni tipo.

Il governo, coadiuvato dagli industriali, insiste sulla politica del “bisogna contribuire tutti”, anche i meno abbienti. Si dimentica che 100 euro per un operaio sono una cifra enorme, mentre, qualche migliaio di euro per redditi superiori anche solo a 50.000 sono bazzecole.

Il problema FIAT non è altro che la punta dell’iceberg di questa politica. Il campo di battaglia dove si sta giocando il futuro, non solo dei 5000 operai di Pomigliano, ma anche quello della democrazia e dello stato di diritto in Italia. Se la FIAT dovesse riuscire nel suo intento, sarebbe la fine dello stato di diritto, perché verrebbe a mancare il più essenziale dei diritti: quello al lavoro.

L’attuale politica di Confindustria e del governo, fatta passare per progressista, non è altro che la riedizione in chiave moderna del vecchio sistema esistente prima della repubblica.

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