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Hamas a Gaza viola i diritti umani. E chi protesta paga

Nel territorio palestinese sotto embargo continuano episodi di torture e violenze verso chi critica gli uomini al potere. E la famiglia Arrigoni, intanto, ha chiesto di non condannare a morte gli assassini di Vittorio

 

Mahmoud Abu Rahma, esponente del Centro per i diritti umani Al Mezanè stato aggredito la notte di venerdì 13 gennaio di fronte alla sua abitazione, nella zona meridionale di Gaza. Uomini dal volto coperto lo hanno accoltellato alla schiena, a una spalla e alle gambe. Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno sollevato il caso, e con loro Amnesty International.

Dieci giorni prima, aveva subito un’identica aggressione in strada da parte di sconosciuti che lo avevano preso a pugni. Il tutto preceduto da minacce di morte via e-mail e sms.

 

 “Quelli che mi hanno accoltellato mi hanno dato del traditore e dell’eretico, ma non mi faccio intimidire dalle accuse e dalle aggressioni: sono determinato a proseguire nel mio lavoro in difesa dei diritti umani in Palestina” - ha detto Abu Rahma.

All’inizio dell’anno, Abu Rahma aveva pubblicato un articolo in cui chiedeva giustizia per le persone arbitrariamente arrestate e poi sottoposte a tortura da parte di Hamas.

Aveva anche sollecitato indagini sulle violazioni dei diritti umani commesse dai gruppi armati palestinesi.

Abu Rahma sostiene una tesi poco popolare a Gaza e, forse, anche qui in Italia: il governo di Hamas non ha mai chiamato i gruppi armati palestinesi a rispondere per le uccisioni e i ferimenti dei cittadini di Gaza derivanti dalle loro operazioni contro Israele. In sostanza: se Hamas prendesse qualche provvedimento nei confronti di coloro che lanciano razzi contro le città israeliane, Israele non avrebbe giustificazioni per le sue risposte militari. Oltretutto, i campi d’addestramento dei gruppi armati, afferma ancora Abu Rahma, si trovano a ridosso di insediamenti civili.

Prima di insorgere contro la tesi di Abu Rahma, suggerisco di leggere “Non odierò”, di Izzeldin Abuelaish (Edizioni Piemme, 2011). Abuelaish, durante l’Operazione “Piombo fuso”, perse tre figlie e una nipote, dilaniate da un missile israeliano che centrò la loro abitazione. Continua a vivere a Gaza, nel campo profughi di Jabalia, e non smette di criticare Hamas per il suo atteggiamento nei confronti dei gruppi armati.

Per comprendere meglio il clima che si respira a Gaza, poche ore dopo l’aggressione a Abu Rahma, la piccola comunità sciita ha denunciato un raid delle forze di sicurezza di Hamas in un’abitazione del villaggio di Beit Lahia, nel nord della Striscia.

In quel momento, nell’abitazione, si stava tenendo una celebrazione per commemorare la morte dell’Imam Hussein, il nipote del profeta Maometto. Decine di uomini armati, chi in borghese e chi in uniforme ma tutti armati, hanno fatto irruzione nell’abitazione, hanno arrestato 20 persone, le hanno portate nella stazione di polizia del distretto nord di Gaza e le hanno picchiate ripetutamente. Parecchie di loro hanno riportato fratture alle gambe, una alle braccia. I feriti sono stati trasferiti in due ospedali locali, dove il pestaggio è proseguito.

Secondo il ministero dell’Interno di Gaza, il 14 gennaio c’è stata unicamente un’operazione di polizia contro un gruppo fuorilegge; nei Territori occupati palestinesi, sostiene il ministero, non vi sono musulmani sciiti. Devono aver picchiato dei fantasmi, evidentemente.

In tutto questo, tra udienze lampo e procedure farraginose, va avanti il processo per l’omicidio di Vittorio Arrigoni. A un governo, quello di Hamas, che nutre molto fascino per la pena di morte, la famiglia Arrigoni ha chiesto di non invocarla per fare “giustizia” in suo nome.

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