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Guinea Equatoriale: un popolo in ostaggio

Unica colonia spagnola del continente africano, la Guinea Equatoriale fu uno fra gli ultimi paesi ad affrancarsi dal colonialismo nel 1968; da allora, ininterrottamente per oltre quarant’anni, è stata soggiogata da due dittatori appartenenti alla stessa famiglia fang: il primo, Macias Nguema, governò fino al 1979, quando fu deposto da un colpo di stato a opera del nipote Teodor Obiang Nguema, che ancora oggi gestisce direttamente, o controlla attraverso fedelissimi dirigenti, tutti i nodi strategici del potere

La popolazione è di circa 600.000 abitanti: sarebbero molti di più, oggi, se a decine di migliaia non fossero stati uccisi dalle dittature o esiliati politici in Europa e Stati Uniti. 

Per definire la forma di Stato della Guinea Equatoriale dobbiamo quindi ricorrere a un triste neologismo coniato appositamente: nguemismo, che definisce l’afrofascismo ispanofono inaugurato dai due Nguema e circoscrive la storia del paese in una dimensione a sé stante rispetto quella degli altri paesi africani. Tanto che gli esperti di Africa centrale concordano sul fatto che sia il peggior paese di quell’area, forse l’unico in tutta l’Africa che abbia rimpianto il colonialismo. 

Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, secondo le stime di tutti gli istituti più accreditati, è uno dei più cruenti satrapi del mondo. Fuoriusciti equatoguineani – residenti in Spagna con il passaporto di esiliato politico - affermano che in Guinea Equatoriale, ancora oggi, si può essere arrestati semplicemente perché si lamenta la mancanza di acqua potabile nelle case di grandi città come Malabo e Bata, o il vertiginoso costo della luce elettrica, di cui si può usufruire al massimo per un paio di settimane al mese ma che si deve pagare, e carissimo, per l’equivalente di un mese di consumo. 

Criticare apertamente il regime conduce prima all’emarginazione, poi, se non basta, al carcere. Se uno studente lamenta la mancanza di materiale nell’aula, o la fatiscenza della struttura scolastica, viene perseguita la sua famiglia, che si suppone abbia inculcato nel figlio la mala usanza di criticare il regime. 

Se nel soprassuolo guineano – continuano gli amici residenti in Spagna - le carceri ufficiali offrono alle rappresentanze internazionali sui diritti umani l’immagine di detenzioni legali, nel sottosuolo del paese ce ne sono altre disseminate in un reticolo di scantinati, sotterranei clandestini di cui nulla si conosce all’esterno; pare siano i tuguri dove per decenni si sono compiuti i veri massacri, dove i dissidenti venivano torturati fisicamente, umiliati psicologicamente e da cui pochi riuscivano a uscire. 

Mentre i famigliari di questi nuovi “desaparecidos” li cercavano da un ufficio di polizia all’altro senza poterne sapere nulla; salvo poi, a volte, vederli tornare dopo mesi, persone diverse,dissociate da se stesse e dagli altri per le torture subite

Le accuse sono dirette e precise: L. afferma che erano “LOS NINJAS”, forze di polizia speciali sotto la guida diretta di un famigliare del dittatore, a prelevare i detenuti e a portarli in campi da dove venivano poi smistati nella rete del sottosuolo. 

L’uso del tempo passato mi pare d’obbligo; ma da più parti si è convinti che putroppo tutto questo succeda ancora, seppure in misura minore. 

Quel che è certo è che in Guinea Equatoriale, ancora oggi, i guineani devono pagare per un posto di lavoro nel proprio paese, perché la rete famigliare e clanica del Presidente è talmente radicata in ogni ganglo strategico che quasi ogni impresa è controllata da un delegato del governo, che funge da subappaltatore e riscuote la tangente.

Così i guineani scomodi non ottengono di lavorare, e nei giacimenti si vede quasi esclusivamente mano d’opera ganese e filippina.

Si stima che dalla Guinea Equatoriale in quarant’anni siano state costrette ad uscire un milione di persone: laureati, contadini, professionisti, lavoratori qualificati, giornalisti, figure determinanti che avrebbero potuto davvero prendere in mano le redini dello sviluppo nel proprio paese, ma che sono stati invece costretti alla manovalanza agricola a servizio degli europei, spesso lavorando in nero, o a stendere le stuoie nelle bocche delle metropolitane. 

E pensare che sarebbero 600.000 abitanti tra i più “preziosi” della terra: il paese detiene infatti uno dei PIL più alti del mondo ed è ricchissimo di gas naturale, oro, diamanti, bauxite, sabbia, legname; esporta caffè, cacao, riso e bestiame; le esplotazioni e le esportazioni di greggio, letteralmente esplose negli ultimi 15 anni, ne hanno fatto la terza produttrice di petrolio in Africa.

Ma la ricchezza ufficiale del paese è inversamente proporzionale alla qualità della vita dei suoi abitanti. Infatti, mentre il dittatore equatoguineano risulta all’ottavo posto per ricchezza tra i sovrani e i dittatori più ricchi del mondo – patrimonio stimato 600 milioni di dollari – l’85% della popolazione vive in bidonville dove mortalità infantile e analfabetismo hanno tassi ancora altissimi, la povertà è endemica, acqua e luce sono quasi inesistenti.

Il 26 maggio scorso si sono tenute le elezioni per eleggere deputati, senatori e i consiglieri per alcune amministrazioni municipali. Il PDGE, partito di maggioranza che fa capo al dittatore, era riuscito ad assicurarsi l’alleanza di alcune altre formazioni politiche. La scheda elettorale, secondo disposizioni inserite nella legge costituzionale, deve elencare per ogni lista i nomi dei candidati, numerati in ordine di importanza: ebbene – come trapelato in via non certo ufficiale – per la lista del PDGE non è stato elencato nessun nome.

Solo questo grave vizio di forma basterebbe per invalidare le elezioni, ma naturalmente nessun provvedimento è stato preso dato che i fili del governo e quelli del partito sono tirati dalle stesse mani del dittatore; quest’ultimo ha quindi potuto attribuire alla sua formazione, quindi a se stesso e ai suoi controllati, tutti i seggi tranne uno al senato e uno alla camera, puramente formali e del tutto ininfluenti. 

L’esito era d’altra parte scontato, come tristemente scontati in Guinea Equatoriale sono tutti i risultati elettorali. Con congruo anticipo sulla data delle elezioni, è ormai tradizione la retata tra gli attivisti politici contrari al regime, che anche a questa tornata sono rimasti detenuti ben oltre le 72 ore che la legge stabilisce come tempo massimo per l’apertura dell’inchiesta giudiziale. Non erano infatti disponibili uffici giudiziali nelle città, tutti chiusi per fare campagna elettorale a favore del PDGE. E da molto prima delle elezioni gli archivi di Facebook e di molti siti web sono stati oscurati dai server DNS nazionali. E pare che ancora continuino a rimanere chiusi.

Alla nostra sensibilità sembra quasi di assistere alla paradossale e grottesca irrealtà di un film di Albanese; ma è invece l’evidenza tangibile di un piccolo paese africano adagiato sull’equatore; realtà che i poteri occidentali fingono di non conoscere e non permettono alla gente di cononoscere; la posta in gioco è alta, perchè la denuncia delle violazioni dei più elementari diritti umani comporterebbe la compromissione di interessi economici enormi di multinazionali, governi e grossa industria in un eldorado pieno di ricchezze. 

Valeria Magnani per "Segnali di fumo - il magazine sui Diritti Umani"

Scritto da Valeria Magnani

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.143) 7 ottobre 2013 18:26

    Berardi Roberto un ostaggio nelle mani della Famiglia Obiang

    Tutto sulla sorte di un povero imprenditore Italiano caduto nella trappola Guineana

    Farnesina assente

    Nunzio Apostolico assente

    Ministro degli Esteri Italiano Assente

    Torturato, depredato rinchiuso in isolamento, aiutateci per farvore

    Famiglia Berardi

    Per saperne di più scrivere semplicemente Roberto Berardi Guinea Equatoriale su Google

    presso Mazzetta News

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