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Golpe a Bangui (Repubblica Centrafricana) e l’inerzia della Francia

La crisi nella Repubblica Centrafricana era iniziata in dicembre. Subito però il governo di Bozizé e i ribelli della formazione Seleka erano giunti ad un accordo e gli eventi in corso a Bangui erano stati accantonati dai media, concentrati sui più intricati sviluppi dell'operazione francese nel Mali.

A due mesi di distanza, i ribelli hanno ripreso l'offensiva. Ufficialmente perché delusi dalle concessioni di Bozizé, giudicate troppo modeste benché il presidente avesse comunque acconsentito sia alla liberazione dei prigionieri politici che alla revoca del coprifuoco e dei blocchi stradali lungo la nazione, ossia due tra le principali condizioni richieste da Seleka.

Ora Bangui è sotto il controllo dei ribelli. Bozizé è fuggito in Congo. Il comandante di Seleka Michel Djotodia (qui il suo profilo) ha dichiarato sospesa la costituzione, autoproclamandosi presidente ad interim e promettendo di indire delle elezioni democratiche entro tre anni. Anche se non è ben chiaro come lui e il suo manipolo di soldati possano governare il Paese durante questo periodo di transizione.

Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha criticato la "presa di potere incostituzionale" da parte dei ribelli. Dello stesso tenore le dichiarazioni del Dipartimento di Stato USA, del Ministero degli Esteri britannico, e del presidente francese Francois Hollande.

L'Unione Africana ha sospeso la RCA. Intanto il caos in corso nella capitale peggiora la già profonda crisi umanitaria del Paese.

Quello della Repubblica Centrafricana era un collasso politico atteso e inevitabileche rischia di turbare i già precari equilibri della regione.

L’endemica fragilità del Paese si basa su una gestione autoritaria e personalistica del potere da dopo l’indipendenza del 1960. Come i suoi predecessori, a cominciare dal dittatore Jean-Bedel Bokassa, Bozizé non ha fatto nulla per sollevare i 4,5 milioni suoi concittadini dalla condizione di miseria in cui versano, nonostante le risorse di cui la RCA gode (tra le quali oro, diamanti, uranio, avorio, ma anche olio e legname) sarebbero sufficienti ad avviare un percorso di sviluppo. Gli unici a beneficiarne sono i bracconieri e coloro che sfruttano le miniere di contrabbando, in molti casi grazie all'impunità gentilmente offerta proprio dal governo. La porosità dei confini e la quasi totale assenza di strade asfaltate garantiscono lo svolgimento dei traffici illeciti.

Non a caso, l'International Crisis Group Think Tank ha definito la RCA come uno uno Stato fantasma che esiste solo sulle mappe.

È ancora da chiarire perché la Francia, ex madrepatria e così attiva nel Continente nero (vedi Costa d'Avorio, Libia, Somalia e Mali), non abbia invece mosso un dito per Bangui. Parigi aveva già 250 militari dislocati sul posto, a cui se ne sono aggiunti altri 300 sabato scorso, ma il cui mandato è limitato alla protezione dei 1.250 cittadini francesi residenti nel Paese e al presidio dell'aeroporto internazionale. 
A fronteggiare i ribelli della Seleka sono stati i circa 200 soldati sudafricani inviati sul posto in gennaio per addestrare le deboli forze armate della RCA. Almeno 13 sono stati uccisi negli scontri lungo le strade di Bangui.

L'attenzione della Francia è al momento concentrata su ben altre crisi. In primis nel Mali, ma poi anche in Somalia, teatro del fallito blitz per liberare l'agente speciale Denis Allex (poi giustiziato), e in Camerun, dove sette cittadini francesi sono stati rapiti in febbraio. L'offensiva della Seleka deve aver colto l'Eliseo alla sprovvista; non c'è da stupirsi che abbia preferito abbandonare Bozizé al suo destino per tenersi le mani libere in futuro, in attesa di disimpegnarsi dagli altri scenari in cui è attiva.

Prima o poi il Quai d'Orsay si ricorderà della sua ex colonia, o piuttosto dei ricchi giacimenti e di uranio che custodisce nel sottosuolo. Per scendere a patti con Djotodia e il suo "governo" c'è sempre tempo.

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