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Gli orfani di Berlusconi

L’uscita di scena di mister B., speriamo definitiva (ma su questo ho forti dubbi, visto quanti lo hanno votato e la pochezza delle opposizioni), ha lasciato molti orfani.

Ovviamente i primi sono i suoi del PDL, quelli originali e quelli arrivati alla Scilipoti: un notevole numero di mezze figure, portate al parlamento o ai parlamentini per meriti vari, che ora si aggirano smarriti, non sapendo a quale protettore aggrapparsi per mantenere quanto hanno arraffato e reagiscono nervosamente e scompostamente.

Ci sono poi quelli dell’opposizione che di colpo non sanno più cosa dire: da almeno due anni hanno parlato solo di B. senza mai fare proposte alternative, ed ora hanno anche loro l’aria smarrita, tanto che qualcuno va ancora avanti a parlare di B., e sono così impauriti e preoccupati dal rischio di dover governare che hanno accolto il governo Monti come una liberazione.

Poi vengono i giornalisti, dai piccoli ai grandi (anche se la parola mi sembra eccessiva per mezzi busti televisivi): i loro spettacoli e talk vari non hanno sapore, vedi persino gli ultimi flop di Santoro, ed anche loro hanno lo sguardo smarrito di fronte al rischio di dover fare giornalismo sul serio.

Ma sono i “comici” a fare veramente compassione: ho messo comici tra virgolette perché così definire quei personaggi che riempiono i vari Zelig, Colorado e compagnia bella è veramente uno sforzo quasi sovrumano.

Una volta, in altre epoche storiche, c’era il varietà e poi il cinema con il varietà. Tra le principali proiezioni della giornata dei film entravano in scena le compagnie di arte varie, prestigiatori, fini dicitori, cantanti, ballerine e comici: queste due ultime categorie erano le preferite dal pubblico, le prime semplicemente per i pochi vestiti e i secondi per la speranza di “fare quattro risate”. Il varietà proponeva sovente personaggi impresentabili, ma è stata anche una dura scuola da cui sono emersi i grandi comici italiani, che dovevano fare comunque gavetta prima di essere conosciuti e diventare attori veri. Ora con la TV è sparita la gavetta, sei subito in prima linea, e l’unica cosa necessaria è inventarsi un vestito, un cappello, una pettinatura o una qualsiasi altra sciocchezza che ti permetta di essere subito riconosciuto. Il pubblico del varietà sovente si spazientiva di fronte alla pochezza dei comici e cominciava a rumoreggiare e a tirare quello che capitava sul palco e in tal caso i capocomici intervenivano subito, con le ballerine e la “parola magica” secondo i tempi. Prima della Grande Guerra, usciva il corpo di ballo con bandiera cantando “Tripoli” e il pubblico si alzava in piedi applaudendo; dopo la guerra fu la volta del “Piave mormorava”, dopo la campagna d’Etiopia “Faccetta nera”, e dopo la seconda guerra “Trieste”: c’era sempre una parola magica per far applaudire il pubblico.

Poi lentamente il varietà è sparito, per ricomparire in TV, dove i “comici” non attendono che il pubblico si spazientisca, ma usano subito e sempre la parola magica, “Berlusconi”. Ed ora che faranno, poveretti?

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