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Giustizia e politica

La magistratura è un potere dello stato, potente, rispettato, temuto. I cui rappresentanti non solo esercitano una delle funzioni più delicate e nobili di uno stato, l’amministrazione della Giustizia, ma godono pure di numerosi privilegi.

Possono ricoprire alti incarichi nella pubblica amministrazione, partecipare a commissioni per l’assegnazione degli appalti, partecipare ad arbitrati per dirimere controversie tra soggetti privati e grandi imprese, possono diventare parlamentari, ottenere distacchi dal proprio incarico istituzionale, per assistere ministri, presidenti delle più alte istituzioni dello Stato.

Insomma possono sfruttare l’opportunità d’incarichi di prestigio ed incorrere anche in conflitti d’interesse.

La politica nondimeno gode degli stessi privilegi e di più ampi poteri. Ma per di più può anche dispensarli a se stessa e ad altri soggetti.

Il Parlamento è composto di avvocati, professori, magistrati, liberi professionisti, finanzieri, imprenditori, i quali fanno incetta e distribuiscono tutti quegl’incarichi, che vanno anche ai magistrati, si godono più incarichi contemporaneamente, nonostante la legge spesso espressamente lo vieti, si avvolgono in inestricabili conflitti d’interesse, sordi a qualunque richiamo etico, alle proteste dei cittadini fiaccati dalle crescenti difficoltà economiche.

E solo per ingannare la propria cattiva coscienza ed il popolo, ogni tanto parlano dei problemi del Paese, delle riforme promesse da decenni, ma mai realizzate.

Però in cima alla lista delle cose da fare v’è sempre la riforma della Giustizia.

Si capisce subito perché. Interessa il Premier Berlusconi, che ha problemi con i processi, si sente perseguitato dai giudici e vorrebbe, mediante una riforma della giustizia pro domo sua, contrastarne l’azione, separarne le carriere, riformare il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, trovare una via d’uscita per i suoi problemi giudiziari.

Il Paese ha bisogno, tra le altre necessità, di una seria riforma della giustizia per la lunghezza dei processi, la scarsa prospettiva di una certezza della pena per il reo ed altre iniquità sopportate dal cittadino.

Ma se la composizione del parlamento, che dovrebbe far le leggi di riforma, è composto da quelle stesse persone che poi potrebbero subire le conseguenze delle riforme stesse; se le fazioni politiche si combattono, in nome della giustizia, pretendendo di distinguere tra giudici amici e non, secondo le convenienze del momento, come si può pensare che una classe politica così screditata possa varare una seria e difficile riforma dell’apparato giudiziario?

Purtroppo la realtà insegna altro: che ogni serio provvedimento legislativo di riforma, soprattutto se importante come quello della giustizia, può essere attuato da un governo autorevole e credibile, da un De Gasperi non da un Berlusconi.

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