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Giulio Regeni: da chi ha copiato la fonte anonima di Repubblica

La lettera anonima sulla morte di Giulio Regeni pubblicata da Repubblica il 6 aprile è il calco quasi integrale del post scritto – solo tre giorni dopo il ritrovamento del corpo del ricercatore – da un ex poliziotto egiziano, latitante negli Usa, oggi attivista digitale e fautore di strampalate teorie del complotto antisioniste. 

Di Federico Pignalberi

Per Omar Afifi la comunicazione virale è un talento innato. Capace di spingere in piazza gruppi di attivisti agguerriti a migliaia di chilometri di distanza con dei video-appelli diffusi su Facebook, riuscì a farsi notare per la prima volta con uno scritto analogico, quando la polizia di Mubarak – a cui lui da ex ufficiale era appartenuto – confiscò il suo libro parodistico intitolato “Come non farsi umiliare”, un guida semplificata ai diritti civili che spiegava in modo sarcastico come evitare di essere picchiati dalla polizia. 

Un tentativo censorio maldestro (e provvidenziale) che ebbe come risultato quello di accendere l’attenzione del pubblico sul suo autore, “un egiziano grassoccio che fuma una sigaretta dietro l’altra” (cit. AssociatedPress) dal nome di Omar Afifi Soliman.

L’ultimo colpo mediatico il “colonnello Afifi” lo ha messo a segno poco due giorni fa, quando la Repubblica – nel giorno in cui sarebbe arrivata la delegazione di inquirenti egiziani che per incontrare quelli italiani in un momento critico per le indagini sulla morte di Giulio Regeni e per le relazioni bilaterali tra i due paesi – ha deciso di pubblicare in prima pagina, per la massima diffusione, un “retroscena” firmato da Carlo Bonini, tutto incentrato su delle email inviate al giornale da un indirizzo Yahoo anonimo.

 

Fotocopisti anonimi

Il mittente, scrive il quotidiano romano, dice di essere un ufficiale della Polizia segreta egiziana. Se fosse vero, la Procura di Roma dovrebbe tenere i fascicoli del caso a distanza di sicurezza dai colleghi egiziani. Perché – nonostante qualche intermezzo italiano e inglese nel testo delle email – le informazioni riportate dall’anonimo “collettore e veicolo di informazioni” e pubblicate da Repubblica senza nemmeno tentare una verifica, sono la trasposizione quasi letterale di un dettagliatissimo post Facebook scritto in arabo da Omar Afifi due mesi prima. 

Solo tre giorni dopo il ritrovamento del corpo di Regeni. Da 10mila chilometri di distanza da dove avvenivano i fatti.

Il post originale diAfifiin Arabo

Afifi ha negato al Corriere di essere lui l’autore delle missive. E in effetti nelle email anonime riportate da Repubblica ci sono dettagli non presenti nel suo post del 6 febbraio, come per esempio l’indicazione del coinvolgimento del generale Khaled Shalabi. Ma chiunque sia il titolare della manina che ha adescato Repubblica, non ha fatto molto sforzo a ricamare su un testo base copia-incollato dal post dell’ex poliziotto egiziano, di cui ha lasciato intatto anche l’aforisma di chiusa, una preghiera ad Allah ripresa da un verso del Corano: “اللهم لا نسألك رد القضاء ولكن نسألك اللطف فيه”: “Dio non ti chiediamo di respingere il destino, ma ti chiediamo di essere clemente”.

Il primo ad accorgersi del copia-incolla è il sito di informazione egiziano Mada Masr che posta la notizia alle 12.34 , subito ripreso 22 minuti dopo in lingua inglese dall’agenzia di stampa tedesca Deutsche Presse-Agentur (DPA). Da quel momento la notizia comincia a girare in rete.

Da noi, però, lo scoop anonimo alla carta carbone di Repubblica viene ripreso senza verifiche ovunque, e diventa la notizia del giorno. Afifi in Italia è il nuovo oracolo egizio, pur senza che il suo nome compaia sulla storia. Tanto che Afifi continuerà a vantarsi apertamente senza sosta sul suo profilo Facebook della sua ricostruzione pubblicata in prima pagina sul primo giornale italiano. A poco serve che la Procura faccia sapere che la ricostruzione “anonima” del colonnello non è compatibile con i risultati dell’autopsia ed è, dunque, basata su informazioni false.

Considerato in patria un teorico della cospirazione, Omar ci tiene a essere preso sul serio dai media occidentali. L’asilo politico accordatogli dagli Stati Uniti dopo il sequestro del suo libro è un biglietto di rispettabilità che gli permette anche – attraverso la sua partecipazione attiva alla Coalizione delle Organizzazioni Egiziane negli Stati Uniti– di contribuire all’organizzazione di eventi al Congresso Usa.

 

Fiamme e complotti

Nonostante alcuni articoli provino a dipingerlo come un agente di influenza americano, le sue posizioni fortemente anti-israeliane lo portano ad avere sempre parole durissime contro il Paese che lo ospita. La sua ossessione cospirazionista lo induce a ritenere che ci sia un “complotto sionista per conquistare il mondo e distruggerlo” e che gli Stati Uniti ne siano parte.

Dai suoi post, sembra ne facciano parte quasi tutti. Anche Hamas è troppo inefficace nel contrasto al complotto sionista. Lui, dall’America, contribuisce come può. Con video e post che spiegano per filo e per segno agli attivisti che lo seguono come comportarsi in scenari di guerriglia urbana. A volte incitando alla violenza in modo esplicito, come si leggeva in un post linkato in un articolo di Al-Jazeera (e ora inaccessibile) dove istruiva i ribelli su come dirottare un autobus e incendiarlo “con i passeggeri all’interno”.

Alla fine del 2014 il Procuratore generale egiziano cercava ancora di farlo condannare in Cassazione dopo che in appello era stato prosciolto dalla condanna per avere istigato con i suoi post e i suoi video delle rivolte violente di 75 attivisti contro l'ambasciata Israeliana (dei soldati Israeliani avevano appena ucciso cinque guardie egiziane) e Saudita che fecero oltre cento feriti.

Afifi, in fondo, con i suoi 146mila like su Facebook e quasi 55mila follower, è il primo a volere essere visto come un guru, o meglio, come il guru che mobilita le masse. In un report di Matthew Barakat per l’Associated Press nel febbraio 2011, una settimana dopo l’inizio delle proteste anti-Mubarak al Cairo, il colonnello veniva descritto da chi lo conosceva come “ben collegato con i media”. Afifi movimentava attraverso i social i “suoi” ribelli, senz’altro meno di quelli che lui voleva fare apparire che fossero (“ho più uomini io di quelli che ha la Fratellanza Musulmana”).

“Le sue dichiarazioni piuttosto megalomani su Facebook in cui si attribuisce il merito del rovesciamento di Mubarak sono una fonte di sollievo comico”, dirà quasi tre anni più tardi Adel Iskandar, ricercatore esperto dei media Arabi alla Georgetown University.

Durante le rivolte del 2011, per Afifi, la Fratellanza Musulmana non era un nemico: “non è particolarmente preoccupato che la Fratellanza Musulmana possa usurpare la rivoluzione”, riportava Barakat su AP. Un’analisi semantica di Zeppelin di tutti i 3205 tweet del suo account (attivo solo dall’ottobre 2012, dopo l’insediamento di Morsi alla Presidenza), mostra un sentiment negativo costante verso la Fratellanza – percepita da Afifi come un problema e un pericolo per l’Egitto – che persiste tutt’ora.

Anzi, nei suoi tweet si lamenta per una possibile riappacificazione “voluta dagli ufficiali del Mossad” (che tempo addietro accusava di supportare attivamente la Frantellanza) tra Morsi ed Al-Sissi, ritenuto un “agente dell’entità sionista”.

 

Anonimo perpetuo

Da una televisione egiziana Afifi fa sapere “di essere pronto per una totale collaborazione con gli inquirenti italiani o anche europei, dopo aver compiuto il giuramento previsto dalla legge”, semmai avessero bisogno di notizie attendibili dagli Stati Uniti. E continua a ribadire la veridicità della sua versione.

Intanto ieri, a riunione bilaterale in corso, Repubblica – che nel sommario titola “Shock per le rivelazioni dell’anonimo” – continuava a gettare benzina sul fuoco, persistendo nel sostenere la coerenza della versione del misterioso anonimo, che insisterebbe a indicare il generale Shalaby (molto detestato anche da Afifi, come appare chiaro dai suoi post su Facebook) quale “uomo neroincipit di questa storia”. Fonte che copia non si cambia. Specie se anonima.

Di Federico Pignalberi

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