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Giornata Memoria, dieci libri per non dimenticare

Consigli di lettura per approfondire la conoscenza sull’orrore del Terzo Reich. 

 In occasione della Giornata della Memoria segnalo dieci interessanti volumi, pubblicati di recente, relativi alla tragedia della Shoah. Si tratta di libri che mettono in luce fatti ed episodi poco conosciuti e che ricordano testimoni e figure eroiche dimenticate che seppero opporsi allo sterminio perpetrato dai nazisti. 

Duello nel Ghetto (ed. Rizzoli, 2017) è il volume firmato dal giornalista Maurizio Molinari e dallo storico Amedeo Osti Guerrazzi con sottotitolo: “La sfida di un ebreo contro le bande nazifasciste nella Roma occupata”. Racconta le gesta di Pacifico Di Consiglio, soprannominato “Moretto”, giovane ebreo romano e pugile dilettante, che rimase nella Capitale occupata dai nazisti per contrastare i persecutori tedeschi ed i gruppi di collaborazionisti come quello capeggiato dal rigattiere Luigi Roselli, fascista della prima ora, squadrista e collaboratore della Gestapo. Il temerario boxeur, arrestato un paio di volte, riuscì sempre a scappare dai suoi nemici, evitando la deportazione, e a tornare a combatterli. Moretto si è spento alla fine del 2006.

 

 

 Treno di vita (ed. Piemme, 2015) è la straordinaria storia di tre bambini (Hana, Mark ed Eva) a Mauthausen raccolta dalla giornalista e scrittrice Wendy Holden. In apertura del volume si legge: «Quando vennero al mondo, ognuno con un peso di poco superiore al chilo, i loro padri erano stati assassinati dai nazisti e le loro madri erano “scheletri ambulanti”, che vivevano attimo per attimo nello stesso campo di concentramento. In qualche modo, tutte e tre le donne riuscirono a sopravvivere. Incredibilmente, anche i loro figli sopravvissero». Priska, Rachel ed Anka, le madri dei tre bambini, ebree – unite dalla stessa sorte – furono in grado di celare ai nazisti di essere incinte e di partorire dove la regola era la negazione e il disprezzo della vita.

 

 

Eravamo ebrei. Questa era la nostra unica colpa (ed. Marsilio, 2016) è il libro scritto da Alberto Mieli con la giornalista Ester Mieli, sua nipote. Alberto Mieli, superstite dei campi di  concentramento, aveva 12 anni nel 1938, al tempo delle vergognose leggi razziali fasciste. Un giorno fu convocato dal preside della sua scuola, nel rione Testaccio a Roma, per ricevere una cattiva notizia: non poteva più andare a scuola perché ebreo. Questa è la testimonianza della sua odissea proseguita nel novembre 1943 con l’arresto da parte delle SS, la prigionia e la deportazione nell’orrore dei lager nazisti dove fu ridotto ad un numero (180060). Mieli afferma: «Ad Auschwitz ho visto l’apice della cattiveria umana».

 

 

Il piccolo villaggio dei sopravvissuti  (ed. Newton Compton, 2014), del giornalista americano Peter Duffy, narra la vicenda di tre giovani uomini che salvarono dai nazisti  1.200 ebrei nascondendoli, per due anni e mezzo, in un villaggio costruito nella fitta foresta dell’attuale Bielorussia occidentale. È l’impresa dei tre coraggiosi fratelli Bielski (Tuvia, Asael e Zus) che, dopo aver assistito alla deportazione della loro famiglia, decidono – sfruttando la propria conoscenza del territorio – di rifugiarsi nella boscaglia portando con sé parenti e numerosi altri ebrei del ghetto. Riescono a recuperare armi e munizioni e a costituire anche unità di combattimento per difendersi ed operare sabotaggi. L’accampamento segreto, una città in miniatura, sarà poi noto come “Gerusalemme dei boschi”.

 

 

 Bombardate Auschwitz. Una speranza negata (ed. Il Saggiatore, 2015) è il volume di Arcangelo Ferri che, approfondendo una sua precedente inchiesta ed utilizzando materiali d’archivio inediti, tenta di indagare i motivi per i quali non vi fu l’attacco aereo su Auschwitz, tanto desiderato dai deportati nel lager ed invocato dalle maggiori organizzazioni ebraiche durante la Shoah. Dall’introduzione: «Intorno ad Auschwitz e sulle teste di migliaia di innocenti condannati a morte si è giocata una tremenda partita politica, militare, spionistica, burocratica».

 

 

 Baci di carta (ed. Marsilio, 2015) di Pali Meller, con sottotitolo “Lettere di un padre ebreo dalla prigione, 1942/43”, raccoglie le missive che l’autore, architetto ebreo, spedì dal carcere dopo essere stato arrestato per aver falsificato un documento in cui si certificava la sua appartenenza alla razza ariana. Meller non viene deportato in un lager ma è condannato a sei anni di detenzione nell’istituto penale di Brandenburg-Görden, in Germania.Qui morirà nel marzo 1943, dopo 13 mesi dalla reclusione, all’età di 40 anni. Dal carcere riuscirà a scrivere ai figli ventiquattro lettere, contenenti anche ammonimenti come questo: «Allora, testa alta cosicché io possa baciarvi da capo a piedi».

 

 

La stenografa (ed. Piemme, 2015) di Vivien Spitz è la storia della stessa Spitz, deceduta nel 2014 a novant’anni, che nel 1946 fu stenografa 22enne al processo di Norimberga ai medici nazisti. In tale veste ascoltò i racconti delle vittime e dei carnefici. Quando tornò in America,  continuò il lavoro di stenografa nei tribunali e diventò anche stenografa ufficiale degli incontri del Congresso. Il libro vanta la prefazione dello scrittore Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace nel 1986, sopravvissuto ai lager nazisti. Wiesel afferma: «Cavie umane, prigionieri giovani e meno giovani, deboli o ancora in buona salute, subirono sofferenze indicibili e agonie in laboratori gestiti da medici provenienti dalle migliori famiglie tedesche e dalle più prestigiose università della Germania».

 

 

Il ragazzo di Varsavia (ed. Newton Compton, 2014) di Andrew Borowiec contiene l’esperienza diretta di uno dei più giovani superstiti alla ribellione polacca contro la violenza nazista. Borowiec, infatti, è stato un bambino-soldato nel 1944 quando, non ancora sedicenne, partecipò alla rivolta di Varsavia. Questo è il suo coinvolgente e drammatico racconto di   quei giorni terribili: le barricate, i cecchini, gli scontri casa per casa… Catturato dai nazisti, nel campo di prigionia il suo numero era: 47489. Borowiec, che nella Resistenza polacca era conosciuto con il nome di battaglia “Zych”, nella nota d’autore ha scritto: «Il ragazzo di Varsavia fu concepito all’incirca settant’anni fa, quando compii sedici anni. Cominciai a lavorarci verso la fine del 1944, con appunti che avevo scritto a matita sulla carta igienica della Croce Rossa, mentre ero in via di guarigione nell’ospedale di un campo per prigionieri di guerra, in Germania».

 

Il volontario di Auschwitz (ed. Piemme, 2014) di Witold Pilecki è la vicenda dello stesso Pilecki, capitano dell’esercito polacco ed esponente della resistenza contro i nazisti, che decide di entrare volontariamente, in incognito, ad Auschwitz per prendere informazioni sulla realtà del campo e per organizzare nel lager una rete di resistenza clandestina che, al momento opportuno, avrebbe preso il sopravvento. Così nel 1940, a Varsavia, si fa rastrellare dalle SS ed internare.

Nel lager diventa il numero 4859 e vede l’inferno per oltre due anni e mezzo rimanendo in attesa del segnale di rivolta che, però, non arriva. Fugge, allora, dal lager con una rocambolesca fuga nel 1943 ed informa i superiori su ciò di cui è stato testimone. Nella prefazione al libro Michael Schudrich, rabbino capo di Polonia, sostiene: «Se ascoltati, i precoci avvertimenti di Pilecki avrebbero potuto cambiare il corso della storia. Possa la vita di Witold Pilecki ispirare tutti noi a fare una buona azione in più, di qualunque tipo, ogni giorno della nostra vita».

 

 

Racconti dal ghetto di Lodz (ed. Marsilio, 2016) è il titolo del libro – curato dal saggista Frediano Sessi – che contiene gli scritti ritrovati di Abram Cytryn, un ragazzo nato a Lodz nel 1927 ed ucciso a 16 anni ad Auschwitz, nella camera a gas, pochissimi giorni dopo il suo internamento nel lager. Le parole, le riflessioni, i componimenti che in precedenza l’adolescente Abram – più maturo della sua giovane età ed attento osservatore con una grande passione per la scrittura e la poesia – aveva fissato su carta sono arrivati sino a noi perché la sorella Lucie, sopravvissuta al lager, conservò per cinquant’anni i ventiquattro taccuini su cui erano stati annotati: il materiale è una preziosa e drammatica testimonianza della vita quotidiana nel ghetto di Lodz, il secondo (dopo Varsavia) della Polonia, dove Abram aveva abitato dal 1940 al 1944, prima di venire tradotto nel famigerato campo. I taccuini sono oggi custoditi nel Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles.

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