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Giochi a premi e cultura della tolleranza: dal caso Kyenge alla legge contro l’omofobia

Cosa c'entra la tolleranza con i giochi a premi?

Molto. Come spiegava Zygmunt Bauman in La società sotto assedio: «In ogni istante del gioco ciascun giocatore deve badare solo a se stesso, e per andare avanti deve prima tessere alleanze per eliminare i molti contendenti che gli si parano innanzi, solo per poi tirare lo sgambetto a quelli con cui si è alleato. È un gioco a somma zero. Vincerai esattamente ciò che gli altri perderanno. E l’altrui vincita sarà ciò che tu hai perso».

In questi giorni i rotocalchi discutono i fenomeni di intolleranza nei confronti del Ministro Kyenge e l'approvazione della legge contro l'omofobia. L'emergenza di questi fatti è correlata ad alcuni ideali propugnati dai giochi a premi, che registrano crescente partecipazione proprio nei momenti di crisi.

Zygmunt Bauman ha insegnato che l’esistenza somiglia a un gioco a premi, nel nostro mondo dominato dai modelli culturali d'impronta economica. Non a caso i giochi a premi dilagano durante i periodi di crisi economica, quando il sogno di un jackpot rimane per molti l'ultima speranza di riscatto. Le logiche dei giochi a premi e del mondo televisivo - che li ospita generosamente - ci insegnano una vecchia lezione dell'economia: l’uomo ha valore venale «come fonte di un flusso di servizi, che sono oggetto di scambio, di contrattazione e quindi di valutazione perché danno luogo a formazione di prezzo» (Di Nardi, Il valore monetario dell'uomo).

Ogni individuo incarna cioè un valore, che può aumentare o diminuire, e che può essere vinto col colpo fortunato "all'americana" (pensiamo ai magnati della web economy che sembrano essere sbucati per lo più da garage o seminterrati)... ma il valore può anche essere perso in fretta. Dilaga insomma la cultura dell'azzardo, soprattutto durante le crisi della società.

Questa mentalità si lega alla tolleranza tramite il concetto di diversità.

Possiamo rintracciare la diversità nei segni di differenza, intesa in senso matematico ed economico. La diversità corrisponde cioè alla perdita e alla sconfitta. Un esempio banale è il trattino che mettiamo davanti ai numeri per esprime un valore negativo, poiché la normalità si rintraccia invece nel positivo, che non riporta alcuna marcatura (posso scrivere +1 semplicemente come 1, ma -1 devo scriverlo con la marcatura negativa).

Altro esempio, forse meno evidente, sono i giocatori perdenti in TV, che stimolano il pubblico a seguire il programma per cibarsi delle loro emozioni, come chiariva il presentatore della gara di ballo nel film Non si uccidono così anche i cavalli? (di Sydney Pollack). Altro esempio ancora sono le stigmate delle malattie, esposte come monito dalle campagne di sensibilizzazione: gli allarmanti messaggi riportati sui pacchetti delle sigarette o le amputazioni ritratte da certe immagini "progresso" segnalano l'aspetto negativo della divergenza dagli standard. Ultimo esempio è la moderna concezione della morte, pensata come un'eresia: «Al giorno d’oggi non è normale essere morti, e questo è un fatto nuovo. La nostra morte è qualcuno che se la svigna. Al termine di una vita di accumulazione, è lui che è sottratto dal totale: operazione economica. Non diventa effigie: tutt'al più serve da alibi per i vivi, per la loro evidente superiorità di vivi sui morti» (J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte).

Ogni giocatore (il ) si dedica perciò alla sconfitta dell’altro, alla sottomissione dell'altro, per segnarlo, ma lo fa in malafede perché non sconfigge mai l'altro in maniera totale, all’estremo, fino alla morte (vedi l'ironia di Paolo Villaggio nei confronti della Lega Nord, quando suggeriva a Broghezio di appaltare lo sterminio dei diversi a qualcuno veramente capace di farlo). La sconfitta dell’altro si lega invece a una tolleranza ipocrita. Il perdente non viene annientato, bensì biasimato, per essere poi spronato a vincere, perché l’istanza è che bisogna vincere per accumulare il valore vita (o denaro, ormai equivalenti). Il vicente potrebbe annientare il diverso, ma non lo fa perché non vorrebbe essere annientato, ove perdesse, ma vorrebbe invece essere tollerato.

Il riconoscimento reciproco tra gli individui avviene insomma tramite la paura. E guarda caso, le masse oggi si aggregano per fronteggiare le paure del secolo (p.es. gli indignados) piuttosto che per celebrare i riti di comunione (p.es. i matrimoni diminuiscono vertiginosamente).

La tolleranza si rivela perciò come una forma più sottile di condanna, per la malafede che la sorregge, come sosteneva P. P. Pasolini (Lettere luterane), quando scriveva che «il diverso viene generalmente destituito di umanità» e che quindi «intolleranza o tolleranza sono la stessa cosa». Temo insomma che provvedimenti come quello contro l'omofobia possano ottenere l'effetto contrario, cioè che possano esaltare le differenze, invece che farle metabolizzare alla società.

L’altro, nella logica del gioco a premi, deve soffrire sempre, come alibi per il benessere del ; ma se la paura del è diventare alibi per il benessere dell’altro, il vorrà schiacciare sempre il prossimo, chiunque esso sia. Il decide di schiacciare tutti per evitare di trovarsi nella condizione di perdere: corriamo il rischio di abbattere le differenze con la spietatezza generalizzata e assoluta.

La società agonistica alimenta un’agonia costante in chi gioca per raggiungere il traguardo di una non-vita.

 

Foto: Gaelx/Flickr

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