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Mattanza Sociale

Il "problema" che percepiamo in questi giorni non sono i ragazzi che sterminano la propria famiglia o i propri compagni di scuola o che uccidono il primo sconosciuto incontrato per la strada. 

Invece, il "problema" è la sensazione socialmente diffusa dell'incapacità collettiva di capire quei ragazzi; il problema è l'inquietudine di una società irretita; l'incapacità di capire "la logica" di quei ragazzi. Perché non c'è una logica: c'è solo il vuoto, riflesso nello sconforto con cui gli inquirenti ci informano che non c'è movente nei delitti più efferati.

La nostra condizione odierna replica i discorsi di Basaglia e di Foucault degli anni Settanta: il problema è il "matto" o la società che non riesce a capire il matto? Il problema sta nel comportamento e nella "logica" del matto o nella pretesa collettiva (sociale) di "capire" il matto?

Forse, il "problema" è proprio che la società pretende di "capire la logica" del matto e dello sterminatore, senza riconoscere che entrambi — lo sterminatore e il matto — rifiutano (anzi, hanno già rifiutato) la società nella sua struttura fondativa, che è la violenza: rifiutano le fondamenta della società, vomitandole contro la stessa società che usa la violenza ovunque, promuovendola ipocritamente (quando produce extraprofitti), ma condannandola (quando ne subisce gli effetti). Perciò, oggi la collettività entra in crisi (profondissima) appena pretende di "capire", adottando le proprie prospettive (categorie, valori, logiche, ecc.) fallimentari nel rapporto con quei ragazzi: perché quei soggetti — nei cui confronti si vorrebbe recuperare una relazione (almeno analitica) ormai perduta — hanno rifiutato a priori le logiche della società di massa; hanno già tagliato i ponti col mondo globalizzato, che rifiutano perché li ha rifiutati, non riconoscendo in loro i valori che li ha illusi di avere.

Questo rifiuto è il crimine peggiore di cui si macchiano, inconsapevolmente perché non sono neanche consapevoli di ciò che fanno: lo sono giuridicamente (certo), ma non lo sono epistemologicamente perché (evidentemente) non hanno gli strumenti per elaborare una critica; perché non gli sono stati forniti gli strumenti (quelli digitali sì, ma non quelli intellettuali).

Anzi, la società sembra "matta" nella propria pretesa; e ne esce ammazzata — "mattata" — perché vede la nefandezza degli effetti della propria logica, rivoltata (rigettata, vomitata) contro sé stessa. Il "problema" per la società odierna è l'inconcepibile simmetria di ciò che accade sotto i suoi occhi: tanto inconcepibile quanto la sensazione di controllo (ormai perduto) dipenderebbe proprio dall'asimmetria del potere. (La stessa osservazione, che è cifra di questo momento storico, vale per tutti i personaggi politici, colpevoli e rei, che però si dichiarano vittime dello scandalo appena la verità delle loro nefandezze si palesa agli occhi dei loro elettori: l'indignazione verso l'ingiustizia di non poter più perpetrare impunemente le proprie ingiustizie!).

Perciò, mattanza non è un gioco di parole: dobbiamo accettare il piano di "gioco", se vogliamo recuperare un rapporto con chi si "gioca" le vite altrui, confondendo la virtualità con la realtà. Perché siamo testimoni di questo: la confusione delle regole di gioco con le regole di vita; la confusione della fiction con l'esperienza; la confusione del reality con la realtà... Una confusione che i ragazzi "matti" non hanno creato, ma hanno subìto; e oggi scoprono di non saperla gestire perché nessuno ha insegnato loro come gestirla, durante tutto il tempo sprecato ad insegnare loro il "valore d'uso pop" dei media digitali (l'unica cosa che sembri avere un valore per i giovani), ignorando però il "controvalore industriale" di quegli stessi media.

Finché continueremo ad assecondare inconsapevolmente — cioè senza la consapevolezza di come funzionano — i media digitali (che ci scrutano) e il consumismo globale (che ci massifica), continueremo a subire l'ebetudine: la beatitudine degli ebeti, svuotati di pensieri ed emozioni.

Pier Paolo Pasolini lo denunciava appena prima di morire: "La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l'una contro l'altra". La narrativa pop lo ha immaginato chiaramente: i giovanotti sbandati abbondano nell'Arancia Meccanica di Burgess e Kubrick, nel Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller, nel Ranxerox di Tamburini e Liberatore, nel Ramarro di Giuseppe Palumbo (che ha intercettato il tamarro imbecille e violento in fieri)... Ma saperlo in anticipo non è servito a prevenirne gli effetti perché abbiamo subìto inerti (come continuiamo a subire) la fascinazione dei dispositivi di distrazione: questi vettori di forze politiche e di costume a cui ci siamo abbandonati senza alcuno spirito critico (banalmente perché sono facili da usare e colorati).

Credo che dobbiamo rifiutare i media digitali, la televisione e il consumismo, per disintossicarci dall'oppio della massa. E credo che, dopo esserci disintossicati, dovremo (re)imparare ad ascoltare e ad accogliere le emozioni (nostre e altrui), perché il piano intuitivo/emotivo (benché ormai indebolito) può ancora sostituire il fallimento del piano logico/razionale. E credo che poi dovremo recuperare la sacralità della spiritualità, che ha costruito tutte le società secolari e il cui abbandono ha coinciso (casualmente?) con la dis-integrazione dei legami e dei valori umani nella nostra società.

I "mattatori matti" — gli ammazzatori irrazionali — hanno intuito il fallimento sociale del modello consumista promosso da decenni di multimedialità sfacciata (senza alcun freno inibitore, senza decenza e senza decoro): un modello che riscuote un successo monetario e patrimoniale enorme e allettante, ma che coincide anche con un fallimento comunitario dilagante e disgustoso; un modello denso di ricchezza (distribuita iniquamente), ma privo di benessere (usurpato da stress e schizofrenia pervasivi). Un modello per niente economico, se economia significa ancora la "gestione della casa".

Come abbiamo gestito la casa comune?

I giovani ci rinfacciano in tutti i modi che l'abbiamo gestita malissimo: lo gridano anche con gesti violentissimi e irrazionali (uccidendo il rispetto per la vita, irridendo la sacralità dell'arte e della cultura, stuprando il decoro urbano...), pur di farsi ascoltare, considerato che i vecchi non dimostrano di volerli ascoltare (vecchi che si accontentano di avere a che fare con "bravi ragazzi di brave famiglie" fino al momento del disastro), e considerato che i vecchi hanno impedito ai giovani di imparare a esprimersi... Perché se i giovani "matti" non sanno dialogare, forse non hanno potuto imparare a farlo; forse sono stati condizionati a quella follia. Forse. Perché, forse, mi sbaglio. Forse...

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