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Gianluca Di Mauro: nuova apertura delle indagini per il suicidio sospetto avvenuto in cella

Il 2008 è un anno che molti ricordano come l'inizio della crisi economica nata subito dopo la bolla immobiliare esplosa negli USA l'anno prima, e della crisi liberista che ci ha portato ai giorni bui attuali. Molti se lo ricordano anche per le varie inchieste giudiziarie aperte su più fronti e l'ennesima vittoria di Berlusconi alle politiche. E durante quella guerra finanziaria altre tragedie erano in corso. Ma che riguardavano le famiglie che avevano i propri cari nelle carceri. Inutile ricordare il degrado e l'inciviltà delle nostre Patrie Galere (ricordiamo l'ennesima condanna da parte della Corte Europea) dove quasi la metà sono detenuti in attesa di giudizio e dove l'articolo 27 della Costituzione non è minimamente rispettato.

Le carceri sono luoghi di sofferenza e tortura, luoghi dove i ragazzi si suicidano per disperazione o vengono "suicidati". Basta poco a simulare una impiccagione e gli assassini sanno che avranno facilmente l'impunità: i magistrati archiviano quasi sempre le morti in carcere come suicidio. Poi sta alla tenacia dei familiari e degli avvocati nel far riaprire il caso, e molto spesso ci si scontra con i mulini a vento. 

Come nel caso complicatissimo di Niki Aprile Gatti che nel 2008 (tra poco meno di un mese, il tragico 24 giugno, ricorrerà il triste anniversario) ufficialmente si suicidò con un laccio di scarpe. E, nonostante le innumerevoli contraddizioni, fu archiviato dal Magistrato di Firenze (ricordiamo che Niki era in arresto preventivo nel famigerato carcere di Sollicciano) come suicidio. Ma questa è un'altra Storia che non esiteremo a raccontarla nuovamente come si è sempre fatto.

Sempre nel 2008 avvenne un'altra morte bollata come suicidio.

Il 15 dicembre del 2008, un ragazzo di nome Gianluca Di Mauro fu ritrovato impiccato nel carcere di massima sicurezza di Bicocca. Doveva scontare oltre 12 anni di carcere (aberrazione giudiziaria solo italiana) per diverse rapine. La famiglia non ci ha mai voluto credere, e ancor di più il suo avvocato difensore Eleonora Baratta, al quale si era affezionato.

Gianluca Di Mauro, un ragazzo non fortunato (ebbe un grave incidente e da allora cominciò a soffrire di crisi epilettiche) e con problemi di tossicodipendenza (voleva salvare la propria ragazza dai problemi di droga, ma alla fine finì anche lui nel tunnel), entrò in carcere nel 2003 per cinque fatti di rapina (lui ne riconobbe quattro): rapine mosse dal movente droga. E ci sarebbe tanto da discutere sulla necessità del carcere come risoluzione di questi problemi.

Al carcere subì numerose vessazioni, denunciò anche di essere stato vittima di una violenza carnale da parte del suo compagno di cella. E, come se non bastasse, da quel giorno finì in isolamento per mesi. Cambiò numerose carceri (compreso Sollicciano) per poi essere nuovamente trasferito al carcere di Catania.

Per il 18 dicembre del 2008, l'avvocato difensore Eleonora Baratta era riuscita ad ottenere udienza per la riduzione della pena e il trasferimento in comunità. E Gianluca era ovviamente entusiasta di questa notizia. Ma al 18 non ci arrivò mai perchè il 15 dicembre sera fu ritrovato impiccato: si sarebbe suicidato stringendosi al collo una cintura di pantaloni non sua. L'avvocato Baratta e di conseguenza poi i familiari, venne avvisata solo la mattina dopo.

Nasce da subito il procedimento per istigazione al suicidio (580 cp) e relative indagini, ma dopo ben due anni il Magistrato archiviò tutto. Allora l'avvocato fece subito opposizione nonostante non le fecero estrarre la copia dei tre enormi faldoni (l'archiviazione): li dovevano solo visionare, ma nonostante ciò riuscì a prendere appunti (con non poca difficoltà) e depositò le memorie.

Notizia del 16 maggio scorso è che l’opposizione ha convinto il gip Paola Cosentino a restituire gli atti alla Procura ordinando sei mesi di indagini. E se l'esito sarà positivo, ci saranno i primi rinvii a giudizio.

Una buona notizia per restituire la verità a questo ragazzo, e magari riaccendere la speranza ai tanti familiari che l'hanno perduta. Finendo nell'ingranaggio della Giustizia si può rischiare di essere stritolati e, senza metafore, anche di morire.

 

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