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Genova e la genesi dei movimenti

La mia intenzione in questo articolo non è aggiungere un'interpretazione alla morte di Giuliani o di dilungarmi su un resoconto dei fatti perché questo è già stato fatto molto bene da Alvin Vent nel suo articolo e dagli impeccabili WuMing su Giap. Io vorrei cercare di raccontare una storia per "non specialisti" perché sento la necessità di comunicare a tutte le persone interessatesi, anche se per la prima volta oggi, a questa vicenda.

Sono passati 11 anni da quel giorno in cui Carlo Giuliani perse la vita in Piazza Alimonda a Genova. In quel periodo si stava svolgendo nella città ligure il Summit del G8, in cui i rappresentanti degli 8 Paesi più industrializzati si riunirono per discutere dei più rivelanti temi di attualità politico-militare-economica. 

In virtù della loro importanza soprattutto simbolica, questi Summit (G8, WTO) hanno conosciuto un'importante storia di opposizione sociale. La genesi di questo specifico movimento altermondialista, detto anche new-global, si può datare nei 90. Nel 1999, nei giorni della "rivolta di Seattle", succede però qualcosa di radicalmente nuovo: insieme ai vari sindacati, movimenti e organizzazioni no-profit salgono sul palcoscenico anche le cosiddette tute nere che la stampa chiama "Black Bloc" (erroneamente anche con la K finale). Nella città dello Stato di Washington erano i giorni del vertice internazionale del WTO che viene però rapidamente messo in secondo piano da una delle più grandi manifestazioni nella storia degli Stati Uniti: infatti nessuno si sarebbe mai potuto aspettare una protesta così massiccia ed efficace da riuscire addirittura a bloccare il vertice, con i rappresentanti dei vari Paesi imprigionati negli alberghi. I manifestanti erano lì per protestare e stavolta anche attaccare uno dei simboli del capitalismo, ovvero le politiche del libero commercio incarnate dal WTO. Da quel vertice, in cui la polizia dovette addirittura instaurare il coprifuoco per riuscire a sedare una rivolta mai vista prima, le misure di controllo e repressione dei manifestanti si sono fatte via via più stringenti. Si è arrivati a sospendere il trattato di Schengen in occasione di alcuni vertici fino ad arrivare agli arresti preventivi dove si arrestano, appunto, le persone prima che potessero commettere un reato.
 
Ma torniamo a Genova: siamo nel 2001 e attraverso il Genova Social Forum le varie realtà associative con i movimenti italiani e del resto del mondo (clicca qui) si preparano a gestire una "tre giorni" davvero intensa: ci saranno manifestazioni dei migranti, banchetti informativi, arriveranno le associazioni dei contadini e le varie reti di cittadini che, per un motivo o per un altro, si organizzano per portare la loro alternativa al sistema economico capitalista. C'è la Rete Lilliput schierata contro le ingiustizie sociali provocate dal liberismo, i movimenti per la decrescita, i centri sociali di tutta Italia e d'Europa, vari partiti della sinistra di tutto il mondo ed innumerevoli privati cittadini che si sentivano in dovere di prendere parte a quella protesta che voleva essere pacifica ma anche decisa e coerente fino alla fine.

La missione che tutte queste differenti realtà si proponevano era quella di mettere fine al pensiero unico, al neoliberismo, allo sfruttamento della parte ricca del mondo su quella povera. Ecco il perché del motto "un altro mondo è possibile" che ha accompagnato gli attivisti di tutto il mondo nelle loro battaglie per assicurare diritti, dignità ed uguaglianza a tutti gli esseri umani. Proprio per questo si utilizza il termine "newglobal" (non no-global) perché la possibilità delle culture di ibridarsi attraverso la globalizzazione non viene respinto ma viene rafforzato, e quello che si vuole cambiare è la gerarchia dei rapporti.
 
La biodiversità dell'universo altermondialista porta a volte anche a delle contraddizioni profonde ma, nel suo nocciolo, ha rappresentato una delle uniche alternative al dominio del pensiero e delle politiche neo-liberiste negli ultimi 20 anni. Sappiamo tutti come è andata a finire: le guerre non sono di certo scomparse, lo sfruttamento è aumentato e il consumismo è diventato ogni giorno di più la (sola) "cultura" di riferimento per sempre più persone. Abbiamo anche conosciuto le immagini dell'11 settembre 2001 che, insieme alla propaganda securitaria e antiterroristica, hanno cancellato i dubbi e le domande sollevate nell'opinione pubblica come un colpo di scopa, senza lasciarne praticamente traccia.

 
Vorrei ricordare però che tutta questa narrazione non è stata seppellita. Come ricordano i Wu Ming "le storie sono ascie di guerra da disseppellire". Per questo mi piace pensare che Genova abbia rappresentato un momento politicamente fondante per molti di noi: il momento della consapevolezza (io ero troppo giovane e l'ho sperimentata solo successivamente e di riflesso) in cui la pluralità e la diversità delle idee e delle pratiche si sono incontrate e hanno riconosciuto la necessità di un'azione collettiva per costruire un mondo migliore.
 
Da molti anni a questa parte ci ritroviamo infatti in una situazione molto diversa ed il mondo non è lo stesso del 2001. Vorrei però sintetizzare un pensiero riguardo alla nostra epoca virtuale nella quale cerchiamo di prendere posizione ed influire sul corso degli eventi. Credo sia di fondamentale importanza riconquistare i luoghi anche se sembra paradossale nell'era dove la concezione di spazio è radicalmente cambiata. Per fare questo è necessario lavorare nei luoghi che "abitiamo".
 
Possiamo avere dei luoghi metaforici come il linguaggio e in quel caso dovremmo combattere contro l'utilizzo di espressioni razziste, sessiste e classiste a cui è legata la riproduzione culturale del paradigma capitalista (Bianco-Maschio-Ricco) che influisce su tutta la nostra produzione culturale di significazione. Possiamo avere dei luoghi territoriali, come per esempio la Val di Susa ed il movimento NoTav che si oppone allo stupro del territorio in nome di un'efficienza della mobilità che è ancora tutta da dimostrare. E possiamo avere luoghi emotivi, in cui dobbiamo impegnarci affinché la nostra vita affettiva venga preservata da infiltrazioni che mi limito ad indicare come "biopolitiche", ovvero la produzione di affetti.

In conclusione vorrei dire che dovremmo semplicemente prenderci molto più sul serio perché tutto quello che facciamo conta, ha un significato e, nell'era della comunicazione, questo viene veicolato e riprodotto continuamente. L'importanza della coscienza, dell'etica e dell'empatia è assodata ma per farne un uso concreto dobbiamo avere anche un luogo verso il quale vogliamo dirigerci, ed ecco infatti emergere la necessità del luogo dei luoghi: l'Utopia. Mai come in quest'epoca elettrica, virtuale, immateriale è stato importante avere dei luoghi, siano essi emotivi, territoriali o linguistici, da cui partire ed un altro, l'Utopia, a cui voler arrivare.

Ricordatevi che siamo tutti in movimento perché tutti partecipiamo al processo di creazione del valore e dei significati. La differenza sostanziale sta qui solo tra chi ha un percorso oppure lo cerca e chi invece si lascia trascinare dalle cose senza mai interrogarsi su niente. In questo mondo dove siamo tutti in perenne e costante naufragio è necessario riuscire a darsi una rotta, capire dove si vuole arrivare o almeno cosa si vorrebbe raggiungere. Sul come realizzare tutto questo non ci sono poi risposte preconfenzionate, esiste solo una strategiaTheorie und Praxis come ci raccontava un amico di vecchia data.
Buon viaggio a tutti.

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