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Genitori che non vaccinano i bambini: che fare?

Non vuoi vaccinare tuo figlio? Allora cercati un altro medico. Sembra che negli Stati Uniti siano sempre di più i pediatri che mettono alla porta quei genitori che non vogliono sentire ragioni e che "il vaccino a mio figlio proprio no".

Un'indagine condotta in Connecticut, per esempio, ha rivelato che su 133 pediatri interpellati, 40 avevano allontanato dal loro studio genitori refrattari all'immunizzazione e un'inchiesta analoga su 909 pediatri del Midwest americano ha trovato, in media, il 21% di intransigenti. Della faccenda si è occupato un paio di settimane fa il Wall Street Journal, accendendo - com'era prevedibile - la discussione oltreoceano.

Due le ragioni principali che spingerebbero alcuni medici a questo atteggiamento di chiusura: il timore che i bambini non vaccinati possano costituire un pericolo per gli altri piccoli pazienti in sala d'attesa (ricordiamo che negli Usa non c'è l'abitudine delle visite a casa e anche i bimbi malati vanno dal dottore) e la convinzione che una relazione medico-paziente che esclude uno dei principi fondamentali in cui il medico crede sia troppo difficile da gestire e per di più infruttosa . 

 La questione è di quelle effettivamente spinose, perché la vaccinazione (o non vaccinazione) dei bambini non è soltanto un fatto di diritti individuali, ma ha pesanti ripercussioni sulla società. La vaccinazione come strumento di prevenzione funziona infatti se ha una certa diffusione: "Come regola di massima diciamo che dovrebbe essere vaccinato almeno il 95% della popolazione", spiega Alberto Tozzi, dell'Unità operativa di epidemiologia e biostatistica dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Al di sotto di questa soglia, scattano le condizioni perché si scateni un'epidemia e a farne le spese sarebbero naturalmente tutti quelli che non si sono vaccinati: alcuni perché i loro genitori non volevano, altri perché non potevano (per esempio bambini allergici ai vaccini o con particolari patologie) o perché erano troppo piccoli per farlo.

Ma perché alcune famiglie rifiutano il vaccino? "Ci sono due posizioni principali", afferma Massimo Valsecchi, direttore del Dipartimento di prevenzione dell'Ulss 20 di Verona. "In alcuni casi - in Veneto sono l'1,5-2% del totale - i genitori hanno paure o dubbi reali. Magari sono poco informati o hanno avuto informazioni scorrette da fonti inaffidabili, ma vengono in ambulatorio ponendo domande e sono disposti ad ascoltare le risposte prima di decidere. In altri casi - l'1-1,5% - la chiusura è totale e fa parte di convinzioni religiose o di una sorta di 'filosofia di vita' generale. Spesso queste persone si affidano alle medicine alternative e rifiutano categorie di farmaci come gli antibiotici, seguono diete particolari (macrobiotica, vegetariana, vegana), hanno una fiducia eccessiva negli effetti protettivi che potrebbero derivare da uno stile di vita sano. E tipicamente non accettano il dialogo".

Per il pediatra - ma a ben vedere per la società tutta - il problema diventa quindi come interagire con gli incerti e gli irriducibili. Quella proposta dai medici americani intransigenti è una via possibile, che suscita però parecchie perplessità. "Oltre a essere un segnale un po' antipatico di intolleranza, chiudere la porta significa gettare la spugna, abdicando proprio a quello che dovrebbe essere il compito di un buon medico: ascoltare e gestire anche situazioni difficili", commenta Tozzi. E c'è anche il rischio che la mossa diventi controproducente, finendo con l'irrigidire posizioni che potevano invece essere recuperate.

"Del resto, viviamo in una società complessa e dobbiamo lavorare non per escludere le minoranze ma per integrarle, anche con tutta la fatica che questo ci può costare", prosegue l'epidemiologo. E c'è anche un altro aspetto di cui tenere conto: da molto tempo la medicina occidentale punta (o almeno ci prova) alla condivisione delle scelte terapeutiche, che non sono (o non dovrebbero essere) più imposte al paziente, ma discusse con lui. "In questo le vaccinazioni non sono diverse da altre pratiche mediche", afferma Valsecchi, che proprio per questo motivo è stato tra i promotori, in Veneto, di una linea che ha portato alla sospensione dell'obbligo vaccinale.

Rapido ripasso: per molti anni le vaccinazioni in Italia si sono distinte in obbligatorie (difterite, tetano, poliomielite, epatite virale B) e raccomandate (morbillo, parotite, rosolia, pertosse e infezioni da Haemophilus influenzae b). Questo a lungo andare ha suscitato la convinzione che ci fossero vaccinazioni di serie A e di serie B (magari non utili o più rischiose), facendo perdere un po' di fiducia nei vaccini.

In realtà le ragioni che stavano alla base di questa suddivisione non avevano niente a che vedere con questioni di sicurezza o utilità, ma piuttosto con ragionamenti di politica sanitaria, spesa pubblica e così via. Quindi oggi la tendenza generale - almeno a livello teorico - è insistere sul fatto che tutte le vaccinazioni proposte dal piano vaccinale sono allo stesso modo raccomandabili. Una tendenza che da quattro anni in Veneto ha trovato applicazione pratica nella sospensione dell'obbligo.

Ovviamente il passaggio non è stato indolore: "Occorre molto lavoro in più, bisogna investire tantissimo nell'informazione con le famiglie e nella formazione degli operatori, ma le cose stanno andando bene", specifica Valsecchi. È chiaro però che un atteggiamento di questo tipo è esattamente l'opposto di quello dei medici che chiudono la porta a chi dissente dalle loro proposte. "Capisco la frustrazione di chi vede rifiutato tutto l'investimento fatto nel proprio lavoro, ma ritengo che occorra puntare sul dialogo, non escluderlo.

Discriminare non mi pare una scelta condivisibile", conclude Tozzi e gli fa eco Valsecchi: "Bisogna interagire, informare, ascoltare, dialogare. Rispondere - dati alla mano - a quei genitori che hanno paura degli effetti avversi e cercare di andare incontro alle loro esigenze. Alcuni, per esempio, chiedono di 'spacchettare' le vaccinazioni che di norma vengono fatte insieme, con un'unica iniezione, perché temono che questa 'somma' sia pericolosa. Non è vero ma li accontentiamo, perché quello che conta è portare a casa alla fine un bambino vaccinato".

(di Valentina Murelli)

Crediti immagine: hyperion327 / Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.158) 6 marzo 2012 15:44

    La "condivisione delle scelte terapeutiche" è un buon principio, ma i vaccini sono prevenzione e non terapia ed inoltre non riguardano solo la sfera individuale ma la società intera.
    Nel caso dei vaccini ai bambini sono favorevole al ritorno della obbligatorietà, moltissimi di noi non sarebbero qui senza i vaccini ...

  • Di (---.---.---.183) 7 marzo 2012 01:14

    Mi sono documentato, ho letto teorie pro e contro, non ho vaccinato mio figlio. Ha una salute perfetta; i suoi compagni di scuola sempre a casa con otiti, influenze e altro. Io da bambino, fino a quando ho fatto richiami alle vaccinazioni a 6 anni, avevo frequenti attacchi asmatici, poi più nulla.
    Strano; sarà un caso. Ci hanno fatto credere che sono i vaccini, che hanno diminuito certe malattie, mentre invece sono state debellate dal miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari. Peccato voler obbligare alle vaccinazioni. La medicina non è una scienza esatta, quello che oggi è considerato vero, fra 20 anni, forse, sarà cambiato. Quello che oggi è reso obbligatorio, chissà, fra 20 anni risulterà come sbagliato.

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