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Gaza. Altro che tregua

Altro che tregua. A Gaza è stata imposta l’interruzione degli aiuti e non quella dei bombardamenti che stanno annientando i palestinesi. Israele è ancora il popolo dell’esilio di cui parlava Moni Ovadia nel suo libro?

Moni Ovadia, Il Popolo dell’Esilio, Editori Riuniti. Recensione di Laura Tussi su FARO DI ROMA

“Si stanno rivelando per quello che sono, cioè una tragica farsa, le nuove trattative volute dagli USA in Qatar, con l’obiettivo del tutto teorico, purtroppo, di una sempre più improbabile restituzione degli ostaggi in cambio del cessate il fuoco, uno stop al genocidio in atto che, evidentemente, Israele non vuole proprio accettare. Ed ecco che ieri le operazioni di aiuti umanitari delle Nazioni Unite a Gaza sono state sospese in seguito al nuovo ordine di Israele di evacuare Deir Al-Balah nella zona centrale della Striscia, come ha comunicato un portavoce delle Nazioni Unite. “Non siamo in grado di lavorare oggi nelle condizioni in cui ci troviamo”, ha affermato il funzionario, parlando a condizione di anonimato. “Non ce ne andremo da Gaza perché la gente ha bisogno di noi lì”. “Stiamo cercando di bilanciare le esigenze della popolazione con l’esigenza di sicurezza e protezione del personale delle Nazioni Unite”, ha aggiunto.
Dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas a ottobre, l’Onu ha dovuto a volte “ritardare o mettere in pausa” le sue operazioni, “ma mai fino al punto di annunciare concretamente che non può più fare nulla”, come invece sta succedendo ora, ha aggiunto il funzionario. Siamo cioè al punto più basso della crisi, nel quale si è persa da parte di Israele e di chi lo sostiene, ogni remora o riferimento alla coscienza civile.

 

Eppure – come ci racconta la nostra Laura Tussi nella recensione al libro di Moni Ovadia Il popolo dell’esilio, pubblicato dagli Editori Riuniti – i valori dell’uguaglianza e dell’accoglienza erano alla base dell’idea stessa di Popolo Ebraico, la cui vocazione era quella di vivere nella pace”.

Salvatore Izzo

La Rivista Tempi di Fraternità propone una recensione a “Il Popolo dell’Esilio”, opera di Moni Ovadia, grande interprete e musicista poliedrico e eclettico e attore istrionico e impegnato sui temi politici di stringente attualità. La recensione è inerente la questione mediorientale e il conflitto tra Israele e Palestina.

La Rivista e la Redazione di Tempi di Fraternità sono impegnate sui temi del diritto internazionale alla pace, al dialogo, alla democrazia, alla luce dei processi di riconciliazione tra genti, popoli e minoranze, con le loro culture e tradizioni creative, al fine di esorcizzare, con gli strumenti della creatività e della bellezza di fantasie oniriche e musicali, e superare la strategia della tensione e del terrore di tutti i conflitti armati, delle dittature imperialiste e dei regimi sciovinisti, che impongono guerre e genocidi.

 IL POPOLO DELL’ESILIO

Opera di Moni Ovadia

Recensione di Laura Tussi

Editori Riuniti

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/mediooriente/Notizie_1323270578.htm

In pagine di alta e rara intensità, Moni Ovadia, abile interprete, poliedrico musicista e eclettico attore, esprime la propria posizione sulla questione mediorientale, con la voce ironica e commossa di un ebreo che desidera intensamente la pace fra i due popoli, rompendo il proprio canto con quesiti difficili e oscuri presagi della discordia che separa terre e uomini. Un canto di bellezza creativa che esprime una vocazione libertaria,1’istintiva diffidenza nei confronti del potere cristallizzato, dell’autorità prepotente, contro ogni antisemitismo, indagando la verità, oltre asfittici schematismi ideologici, banali slogan propagandistici e cortocircuiti della memoria.

Moni Ovadia, attraverso l’opera “Il popolo dell’esilio”, manifesta una profonda vocazione per la condizione dell’esule, dello straniero, nel regno della giustizia sociale, dove i ruoli non pretendono alcun significato e le gerarchie sono abolite, nel viaggio in cammino verso l’umanità, sulla Terra che è Santa perché la si abita da stranieri fra gli stranieri, in un alto concetto di economia di giustizia, contro ogni deriva nazionalista, con fantasia e creatività: due concetti chiave.

Una condanna all’Europa intrisa ancora di odio per l’altro e che non diventerà mai un’unica nazione degna, finché non accoglierà le alterità e le minoranze, condannando e contrastando le ideologie xenofobe, tramite l’espulsione dalle istituzioni di capi politici che sfruttano il pregiudizio e fomentano l’odio razziale.

Moni Ovadia si schiera contro la virulenza e la rigidità sionista, delirio del confine e rivendicazione di un’identità sclerotizzata e ottusa, in nome di una “sicurezza”, sul cui altare si immolano ideali di giustizia, di pace e umanità, tramite la mistica della forza del potere. Dall’opera affiora invece pressante l’esigenza di Pace per far riemergere la memoria dello sterminio nazista dall’ossessione, dalla paranoia, per trasformarsi in un alto momento mnestico creativo, di vivacità fantasiosa e musicale, di un nuovo umanesimo universalista, nella condizione dell’esilio in cui l’essere umano rivela lo splendore che lo conduce alla pace, all’uguaglianza, all’alleanza con gli altri esseri viventi, con l’ambiente e l’ecosistema, in sospensioni sabbatiche di spazio e tempo, in un’auspicabile diasporizzazione universale, contro la peste del nazionalismo che ingenera guerra e stermini. Occorre abitare la terra da stranieri fra gli stranieri, praticando la giustizia sociale e affermando un paradigma di relazione e accoglienza con il popolo antagonista, in un ideale sublime di erranza, nella prospettiva di una diaspora universale, precondizione necessaria per costruire la pace, dove prevalga l’idea dell’esilio come patria che riconosce le potenzialità della fragilità dell’umano, in profonde strutture dell’emozione e del sentimento comuni, in una riconoscibilità identitaria indefinita e in continua ridefinizione, di tradizioni, narrazioni, lingue, letterature, musicalità e creazioni artistiche, di popoli senza confini, bandiere, eserciti, burocrazie, senza retorica patriottarda, in un infinito e osmotico collettivo di diaspore universali. All’insegna della vivacità creativa del popolo dell’esilio. Dunque la questione ebraica rappresenta proprio il quesito dell’alterità.

Il nazifascismo odiava l’ebreo della diaspora, sradicato, fragile, ubiquo, capace di tenere in sé le contraddizioni, l’ossimoro di molteplici identità, senza rinunciare a nessuna di esse; l’ebreo maestro del pensiero critico e della vivacità culturale creativa, padrone della dialettica del dubbio, portatore dell’idea rivoluzionaria di una redenzione universale, fondata sulla precaria, onirica, evanescente bellezza dell’uomo fragile, inventore dell’elezione dal basso, di redenzione dalla condizione di schiavo, di straniero, oltre le logiche spietate di teocrazie nazionaliste votate all’annientamento delle diversità. La Torah è un messaggio universalista. La Torah, oltre la formazione marxista e libertaria, ispira il pensiero dell’Autore nelle lotte per la giustizia sociale, per le rivendicazioni palestinesi, per tutti gli oppressi, per le donne, gli omosessuali e per i diritti del creato, degli animali che lo abitano, dove il tempo diviene lo spazio dell’esistenza nell’abolizione della logica del confine, nella vera visione universalistica ebraica, dell’amore per il divenire creativo e per le culture di musicalità oniriche nel tempo della fantasia del popolo. Lo Shabbat è extraterritoriale ed extratemporale, per pensare alla donna e all’uomo come soggetti di pensiero spirituale, etico, di giustizia e amore, nella relazione con se stessi, con l’altro, con la società, per alimentare i circuiti virtuosi dell’esistenza, nella centralità della vita, della dignità, dell’uguaglianza, oltre lo sfruttamento capitalistico, la mercificazione consumistica, in una buildung straordinaria, dove la società può indagare le questioni del proprio esistere, le aspirazioni e le derive, le grandezze e le miserie, le patologie e il sublime dell’uomo fragile, oltre i falsi idoli del potere, oltre le vocazioni idolatriche. Il passato e il presente si intrecciano nei ricordi per affermare che la terra non è stata donata per alimentare la guerra e il nazionalismo, ma per dimostrare che l’unico modo per costruire la pace è essere “popolo che sa vivere sulla terra da straniero fra gli stranieri” apportando culture universalistiche di amore per l’arte, per ogni tipo di arte e per la vita creatrice di bellezza. 

Sitografia per approfondire:

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*

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