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Gamberetti rosso sangue

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Cos’hanno in comune i deliziosi crostacei che allietano il nostro palato in squisiti cocktail, lo tsunami che nel 2004 ha devastato le coste di Thailandia, Indonesia, India, Sri Lanka e di tanti altri paesi asiatici portando morte e distruzione, ed il ciclone Nargis che a maggio di quest’anno ha colpito la Birmania mietendo migliaia di vittime? Purtroppo un comune denominatore c’è e non si tratta del solito catastrofismo sull’effetto serra e le sue apocalittiche previsioni su una prossima distruzione del nostro pianeta terra, al contrario ci troviamo di fronte ad un fenomeno molto più localizzato e fortunatamente ancora gestibile se qualcuno si degnerà di intervenire.

Si tratta della progressiva distruzione delle foreste di mangrovie presenti sulle coste del sud-est asiatico allo scopo di realizzare allevamenti di gamberetti in un ambiente ideale per la loro crescita, ovvero in bassi fondali salmastri dalle temperature molto elevate, tipiche dei paesi tropicali.

Una distruzione che prosegue inarrestabile da più di venticinque anni, alimentata dalla sempre crescente domanda dei gamberetti da parte del mondo occidentale che ha trovato in questo piccolo crostaceo un alimento a basso costo molto versatile, utilizzabile in svariate combinazioni.

Dal 1980 al 2005 è stato eliminato il 20% dei mangrovieti presenti in tutto il mondo, “una perdita maggiore rispetto a quella di qualunque altro tipo di foresta. Se la deforestazione delle mangrovie dovesse continuare, ciò potrebbe comportare gravi perdite di biodiversità e di mezzi di sostentamento, oltre all’intrusione salina nelle zone costiere e al deposito di sedimenti sulla barriera corallina, nei porti e sulle rotte consigliate. Ne risentirebbe anche il turismo. È necessario che i paesi si impegnino in una gestione più efficace e sostenibile delle mangrovie del mondo e degli altri ecosistemi delle zone umide

Per deliziare il palato di milioni di consumatori occidentali si sta estinguendo buona parte di un incredibile ecosistema, che vede la presenza di numerose specie di uccelli, mammiferi e rettili (coccodrilli, serpenti, tigri, cervi, otarie, delfini), e soprattutto, ovviamente, di un’incredibile quantità di pesci e crostacei che in esso trovano l’ambiente ideale per crescere. E non solo, le foreste di mangrovie ammortizzano il continuo infrangersi delle onde e delle alte maree, fanno da filtro alle acque provenienti dai fiumi donandole al mare perfettamente pulite, impediscono ai detriti trasportati dai corsi d’acqua di raggiungere le barriere coralline e quindi di danneggiarle, e soprattutto, ora è dimostrato, costituiscono una vera e propria barriera vegetale per vento ed acqua durante fenomeni devastanti come un ciclone o uno tsunami.

 

 

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Già dopo la tragedia del 2004 qualcuno se ne rese conto, bastava osservare le coste ancora protette dai mangrovieti e confrontare il loro stato di distruzione con quello delle coste deforestizzate: lo stato indiano di Tamil Nadu, l’isola indonesiana di Simeuleu, ed altri tratti di costa indonesiana e dello Sri Lanka, hanno avuto danni molto inferiori rispetto a quelli degli altri paesi proprio grazie al muro di vegetazione che ha fatto da argine alla forza dello tsunami.

Per convincere gli stati a fare marcia indietro sulle concessioni agli allevamenti di gamberetti si è cercato di analizzare la questione dal lato economico, purtroppo l’unico capace di suscitare vero interesse, ed è stato dimostrato che alla fine dei conti valgono molto di più le foreste di mangrovie, con tutto ciò che da esse si può produrre (carbone, legno, tannino, biada, miele …), che le fattorie di gamberetti, il cui prodotto ha inoltre subito un considerevole crollo dei prezzi.

La Fao ha cercato di promuovere una pianificazione del fenomeno portando avanti una campagna di sensibilizzazione presso gli stati coinvolti, ed alcuni paesi hanno raccolto il messaggio dettando regole precise sulla realizzazione di nuovi allevamenti, ma lunga è ancora la strada da fare per arrivare a sensibilizzare la popolazione, e  spesso si continua nella deforestazione selvaggia nonostante i divieti.

Ad alimentare il fenomeno ci sono anche altri fattori, quali la pressione demografica che aumenta il fabbisogno di terreno coltivabile, le infrastrutture ed il turismo, oltre all’inquinamento ed ai disastri naturali.

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Le mangrovie costituiscono un tipico esempio di elevato grado di adattabilità degli esseri viventi: sono riuscite a sviluppare un’altissima resistenza ad elevate concentrazioni di sale che espellono direttamente dalle foglie, sono capaci di dribblare il fango privo di ossigeno trasportato dalle maree facendo uscire allo scoperto le radici dotate di pori sufficientemente ampi da permettere una regolare ossigenazione e sufficientemente piccoli per impedire all’acqua di penetrare quando si trovano sommerse, ma soprattutto sono molto resistenti al continuo infrangersi delle onde ed al flusso e riflusso delle maree.

Cos’hanno in comune i deliziosi crostacei che allietano il nostro palato in squisiti cocktail, lo tsunami che nel 2004 ha devastato le coste di Thailandia, Indonesia, India, Sri Lanka e di tanti altri paesi asiatici portando morte e distruzione, ed il ciclone Nargis che a maggio di quest’anno ha colpito la Birmania mietendo migliaia di vittime? Purtroppo un comune denominatore c’è e non si tratta del solito catastrofismo sull’effetto serra e le sue apocalittiche previsioni su una prossima distruzione del nostro pianeta terra, al contrario ci troviamo di fronte ad un fenomeno molto più localizzato e fortunatamente ancora gestibile se qualcuno si degnerà di intervenire.

Si tratta della progressiva distruzione delle foreste di mangrovie presenti sulle coste del sud-est asiatico allo scopo di realizzare allevamenti di gamberetti in un ambiente ideale per la loro crescita, ovvero in bassi fondali salmastri dalle temperature molto elevate, tipiche dei paesi tropicali.

Una distruzione che prosegue inarrestabile da più di venticinque anni, alimentata dalla sempre crescente domanda dei gamberetti da parte del mondo occidentale che ha trovato in questo piccolo crostaceo un alimento a basso costo molto versatile, utilizzabile in svariate combinazioni.

Dal 1980 al 2005 è stato eliminato il 20% dei mangrovieti presenti in tutto il mondo, “una perdita maggiore rispetto a quella di qualunque altro tipo di foresta. Se la deforestazione delle mangrovie dovesse continuare, ciò potrebbe comportare gravi perdite di biodiversità e di mezzi di sostentamento, oltre all’intrusione salina nelle zone costiere e al deposito di sedimenti sulla barriera corallina, nei porti e sulle rotte consigliate. Ne risentirebbe anche il turismo. È necessario che i paesi si impegnino in una gestione più efficace e sostenibile delle mangrovie del mondo e degli altri ecosistemi delle zone umide

Per deliziare il palato di milioni di consumatori occidentali si sta estinguendo buona parte di un incredibile ecosistema, che vede la presenza di numerose specie di uccelli, mammiferi e rettili (coccodrilli, serpenti, tigri, cervi, otarie, delfini), e soprattutto, ovviamente, di un’incredibile quantità di pesci e crostacei che in esso trovano l’ambiente ideale per crescere. E non solo, le foreste di mangrovie ammortizzano il continuo infrangersi delle onde e delle alte maree, fanno da filtro alle acque provenienti dai fiumi donandole al mare perfettamente pulite, impediscono ai detriti trasportati dai corsi d’acqua di raggiungere le barriere coralline e quindi di danneggiarle, e soprattutto, ora è dimostrato, costituiscono una vera e propria barriera vegetale per vento ed acqua durante fenomeni devastanti come un ciclone o uno tsunami.

 

 

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Già dopo la tragedia del 2004 qualcuno se ne rese conto, bastava osservare le coste ancora protette dai mangrovieti e confrontare il loro stato di distruzione con quello delle coste deforestizzate: lo stato indiano di Tamil Nadu, l’isola indonesiana di Simeuleu, ed altri tratti di costa indonesiana e dello Sri Lanka, hanno avuto danni molto inferiori rispetto a quelli degli altri paesi proprio grazie al muro di vegetazione che ha fatto da argine alla forza dello tsunami.

Per convincere gli stati a fare marcia indietro sulle concessioni agli allevamenti di gamberetti si è cercato di analizzare la questione dal lato economico, purtroppo l’unico capace di suscitare vero interesse, ed è stato dimostrato che alla fine dei conti valgono molto di più le foreste di mangrovie, con tutto ciò che da esse si può produrre (carbone, legno, tannino, biada, miele …), che le fattorie di gamberetti, il cui prodotto ha inoltre subito un considerevole crollo dei prezzi.

La Fao ha cercato di promuovere una pianificazione del fenomeno portando avanti una campagna di sensibilizzazione presso gli stati coinvolti, ed alcuni paesi hanno raccolto il messaggio dettando regole precise sulla realizzazione di nuovi allevamenti, ma lunga è ancora la strada da fare per arrivare a sensibilizzare la popolazione, e  spesso si continua nella deforestazione selvaggia nonostante i divieti.

Ad alimentare il fenomeno ci sono anche altri fattori, quali la pressione demografica che aumenta il fabbisogno di terreno coltivabile, le infrastrutture ed il turismo, oltre all’inquinamento ed ai disastri naturali.

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Le mangrovie costituiscono un tipico esempio di elevato grado di adattabilità degli esseri viventi: sono riuscite a sviluppare un’altissima resistenza ad elevate concentrazioni di sale che espellono direttamente dalle foglie, sono capaci di dribblare il fango privo di ossigeno trasportato dalle maree facendo uscire allo scoperto le radici dotate di pori sufficientemente ampi da permettere una regolare ossigenazione e sufficientemente piccoli per impedire all’acqua di penetrare quando si trovano sommerse, ma soprattutto sono molto resistenti al continuo infrangersi delle onde ed al flusso e riflusso delle maree.

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