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 Home page > Attualità > Politica > Frattini e la Libia: troppo tardi, troppo poco

Frattini e la Libia: troppo tardi, troppo poco

Spiace dirlo, ma il ministro Frattini somiglia sempre più al ministro delle comunicazioni di Saddam. Quando non ha un copione scritto da recitare, quando per esempio non copia - letteralmente - le parole dell'amministrazione Usa, e invece nell'urgenza è chiamato ad esprimere una posizione di sua iniziativa, risulta sempre imbarazzante. Il più delle volte, quando infine, con colpevole ritardo, si interessa alla questione, Berlusconi è costretto a correggere il tiro. È andata così anche sulla Libia. Ma troppo tardi e troppo poco. Troppo tardi e troppo poco parlare, solo nella serata di ieri, di «uso inaccettabile della violenza», ed esprimere stamattina «vicinanza al popolo libico». Che oggi Palazzo Chigi abbia dovuto smentire qualsiasi "manina" italiana nella repressione la dice lunga.
 
Certe situazioni o si comprendono al volo, o bisogna cambiare mestiere. A prescindere da interessi, affari e vere o presunte amicizie, già da ieri appariva ovvio a chiunque minimamente informato e dotato di buon senso, direi in contatto con la realtà, che il regime di Gheddafi è agli sgoccioli. E non si può certo sostenere che la rivolta libica ci abbia colti di sorpresa. Come si poteva immaginare infatti che i moti arabi risparmiassero il moribondo e corrotto regime di Gheddafi? E' stato politicamente criminale che il governo italiano, ma anche l'Europa, si siano fatte trovare sprovviste di un piano sia per favorire l'uscita di scena del raìs, sia per fronteggiare la probabile marea umana che si riverserà da noi.
 
Prim'ancora che un errore politico, parlare di «non ingerenza» e di «riconciliazione», proprio mentre sta andando in scena una delle più sanguinarie repressioni (insieme a quella iraniana) di questo '48 mediorientale, è sintomo di stupidità. Stupidità imperdonabile, definitiva. Pur essendo comprensibili la preoccupazione per l'integrità della Libia e il timore per possibili derive islamiste e un probabile esodo epocale verso le nostre coste, consentire a Gheddafi di fare "tabula rasa" aumenta questi rischi. I nostri interessi in Libia ormai si tutelano scaricando Gheddafi al proprio destino. Se l'Europa, e l'Italia in particolare, fossero dotate di un minimo di personalità politica, e di reale capacità di tutelare i propri interessi, avrebbero fatto alzare in volo i nostri caccia per impedire a quelli libici di bombardare la popolazione. Quale straordinaria occasione per sconfessare la nostra cattiva reputazione di "amici" di Gheddafi... Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu dovrebbe intervenire per imporre subito una no-fly zone che noi europei (e italiani soprattutto) potremmo far rispettare.


Bisogna capire con urgenza che a questo punto il dittatore va fatto cadere. Non solo per sintonizzarsi al più presto con la nuova realtà, ma bisogna concretamente scongiurare del tutto la pur minima possibilità che resti al potere. E' improbabile che riesca a resistere, ma così se fosse ci farebbe pagare a caro prezzo il mancato aiuto. Quindi, tanto vale aiutare i ribelli ad abbatterlo. E di fronte al rischio di interruzione dei flussi di petrolio e gas, sia da parte del regime come forma di pressione, sia da parte dei rivoltosi, vista la vicinanza geografica non sarebbe stato assurdo preparare dei piani di invasione.

Che dire dei soliti indignati di professione? Che sono sempre pronti a lagnarsi a latte versato, e soprattutto se ci sono l'America, Israele o Berlusconi da biasimare. Ma quando c'è la possibilità concreta di far cadere un dittatore, si schierano puntualmente al suo fianco contro gli "imperialisti". Negli anni '80 erano tutti amici di Gheddafi contro Reagan e nel 2003 di Saddam contro Bush.

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