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Francois Hollande: svista rimediabile o incorreggibile pregiudizio verso i ricchi?

Il Presidente francese Hollande probabilmente è stato mal consigliato.
 

Il Consiglio Costituzionale di Parigi – equivalente alla nostra Corte - ha dichiarato la non applicabilità della norma inserita nel pacchetto fiscale del nuovo governo francese che prevede un’aliquota del 75% sui guadagni personali superiori al milione di euro.

Il Consiglio non ha posto in discussione il livello spropositato dell’aliquota fiscale a partire dal secondo milione di euro, quanto il fatto che in Francia la tassazione incide sul reddito complessivo familiare a sua volta frazionato per il numero dei relativi componenti. Dunque l'imposta non rispetta il principio di uguaglianza.

Alcuni commentatori sostengono all’unisono che l'aliquota del 75% rappresenta praticamente un esproprio che in una democrazia non è certo contemplato.

Per poter centrare l'obiettivo di un deficit di bilancio al 4,5% nel 2012, a fronte di una crescita sempre più lenta e quindi di una forte riduzione delle entrate, il Governo francese il 4 luglio 2012 ha varato una manovra correttiva da 7,2 miliardi di euro, tutta imperniata su nuove tasse. Il risultato è che la pressione fiscale (oggi l'aliquota più elevata è del 41%) dal 43,9% del 2011 salirà quest'anno al 45 per cento.

Secondo le previsioni continuerà a crescere: 46,2% nel 2013, 46,3% nel 2014, 46,4% nel 2015 e 46,5% a partire dal 2016. Mentre la spesa pubblica resterà molto alta e anzi aumenterà ancora quest'anno prima di cominciare una lieve flessione: 56,2% del Pil nel 2012 (rispetto al 56% l'anno scorso), 56,1% nel 2013 fino al 53,4% nel 2017.

Anche il debito pubblico francese salirà al 90,6% del Pil nel 2013 e solo dal 2014 dovrebbe esserci una inversione di tendenza, con l'obiettivo di arrivare all'82,4% a fine legislatura.

In Italia questo rapporto è attestato a fine giugno 2012 al 120,7%. Lo “spread” cioè la differenza d'interessi pagati sui titoli di Stato italiani e quelli tedeschi è lì a segnalarne la pesantezza.

Nell’ambito del pacchetto fiscale il provvedimento più consistente in termini quantitativi è quello relativo all’imposta patrimoniale, da tempo applicata annualmente in Francia: 2,3 miliardi di entrate supplementari. In attesa infatti di ripristinare le aliquote abbassate dalla precedente maggioranza, il Governo ha deciso un prelievo straordinario di eguale entità, destinato a colpire i patrimoni superiori a 1,3 milioni di euro.

La fine delle agevolazioni fiscali sulle ore di straordinario consentirà di risparmiare quasi un miliardo (900 milioni a carico dei privati e 80 per le aziende), mentre 140 milioni arriveranno dal peggioramento del trattamento fiscale relativo a donazioni e successioni.

A luglio 2012 furono previsti anche contributi straordinari imposti ai gruppi petroliferi e alle banche (1,1 miliardi), l'anticipo del versamento dell'imposta sulle società con oltre 250 milioni di fatturato (800 milioni), il raddoppio della tassa sulle transazioni finanziarie per ottenere i 170 milioni desiderati, le misure di limitazione delle operazioni di ottimizzazione fiscale dei grandi gruppi multinazionali per 200 milioni, fino all'inasprimento delle misure agevolative sulle retribuzioni differenziate per oltre 600 milioni.

Nel pacchetto di luglio, per l’imposizione sul reddito personale è stata adottata l'aliquota al 45% per i redditi sopra i 150 mila euro ed al 75% per quelli sopra il milione di euro. Quest’ultima, come sopra annotato, è stata cancellata dal Consiglio Costituzionale. Il Governo francese ha chiarito che ripresenterà un analogo provvedimento fiscale con la medesima aliquota, tenendo conto delle osservazioni del Consiglio.

Si ha l’impressione che il governo francese consideri una bandiera ed una questione di principio l'adozione dell'aliquota del 75%, anche per tener fede agli impegni presi in campagna elettorale. Di fatto sarebbero circa 1.500 i cittadini francesi con redditi eccedenti il milione di euro interessati dalla specifica imposta del 75%. Essi avrebbero dovuto corrispondere in media circa 140mila euro ciascuno, per un incasso complessivo stimato in 210 milioni di euro.


Intanto in Francia fa scalpore la notizia secondo cui l'attore Gerard Depardieu avrebbe chiesto il passaporto belga per diventare “residente fiscale” in quel Paese. L'attore ha inviato una lettera aperta al Wall Street Journal informando l’opinione pubblica di lasciare la Francia “dopo aver pagato, per il 2012, tasse per un importo pari all'85% di quanto guadagnato”. La notizia è riportata anche su ilsole24ore.com.
Nell’articolo del Wall Street Journal si riporta la dichiarazione del Primo Ministro francese Jean-Marc Ayrault relativa alla vicenda: “It was "pathetic" that people would move to another country to avoid taxes after a Belgian mayor said ...” e cioè: “È "patetico" che la gente si sposti in un altro paese per evitare di pagare le tasse in Francia”.

Dall’articolo si legge anche: “Mr. Depardieu, who has put his 20,000-square-foot left-bank Parisian townhouse up for sale, said in the letter that over a period of 45 years he has paid €145 million in taxes and employed 80 people in his businesses”. L’attore, cioè, avrebbe pagato 145 milioni di euro al fisco francese in 45 anni, dando lavoro a 80 dipendenti nelle sue imprese. Avrebbe pertanto posto in vendita la sua importante residenza parigina di 20.000 metri quadrati in attesa del trasferimento nel vicino Belgio.

Sostiene Depardieu: “La Francia non è più il Paese di cui sono sempre stato orgoglioso, oggi stento a riconoscerlo, è schiavo di una politica che lo sta soffocando perché punisce solo chi cerca di ricavare dei legittimi profitti da attività imprenditoriali e commerciali”.

In verità risulta che altre migliaia di persone avrebbero richiesto la residenza in Belgio per sfuggire all’alta tassazione: lo riportava a settembre il quotidiano La Libre Belgique, sottolineando che «al momento ce ne sono 47 mila» in attesa. Il sito del quotidiano transalpino "Le Figaro", informava che almeno 500 francesi sarebbero in lista d'attesa per ottenere il passaporto belga.

Nello scorso mese di settembre anche Bernard Arnault, l'uomo più ricco di Francia e il quarto al mondo, ha chiesto la cittadinanza belga: la conferma alle indiscrezioni apparse sulla stampa è arrivata da un comunicato di Lvmh, l'impero del lusso guidato dal miliardario 63enne, nel quale tuttavia si sottolineava che Arnault «è e resterà un contribuente francese».

Nessun esilio fiscale, quindi, contrariamente alle speculazioni pubblicate che, dietro la sua richiesta, ci vedevano il desiderio di sfuggire l'eventuale tassazione al 75% per i francesi con un reddito oltre un milione di euro, proposta per l’appunto da Francois Hollande.

Viene da chiedersi: è lecito imporre un sacrificio fiscale così devastante e disincentivante a persone che, per fortuna ma anche per le loro capacità ampiamente riconosciute, sono in grado di guadagnare alti compensi? Non sembra opportuno parlare di “misure giuste” perché la giustizia umana, in questo caso quella fiscale, è mutevole nei suoi canoni e sicuramente discutibile.

Salvo errore o disinformazione personale, nell’atteggiamento di Hollande si intravede tanto pregiudizio e sottile avversione versi i grandi possessori di patrimonio e di reddito.

Sicuramente la Francia con questa vicenda a sfondo fiscale non sta facendo una bella figura. Tanto per cominciare non vi è stato dialogo costruttivo con i grandi contribuenti francesi. E questi, nella fase storica che viviamo, se ben coinvolti, potrebbero fare la differenza per la copertura delle esigenze finanziarie straordinarie, tese a superare i momenti di tensione economici e sociali e di spinta per innovazione e creazione di posti di lavoro.

È comprensibile che i grandi possidenti non sopportino di essere trattati pubblicamente alla stregua di odiosi conservatori (in alcuni casi lo sono), poco inclini a collaborare e sorreggere le sorti del Paese nei momenti di difficoltà generale. Ed in questo momento il loro apporto sarebbe di grande ausilio, non solo in Francia ma anche e soprattutto nel nostro Paese.

Negli Stati Uniti il miliardario Warren Buffet tempo fa ha affermato: “Non è accettabile che la mia segretaria paghi, in proporzione al reddito conseguito, maggiori imposte rispetto a me. In questa fase storica di diminuzione dei consumi e di economia stagnante è a noi ricchi che l’Amministrazione finanziaria deve chiedere uno sforzo eccezionale”.

Evidentemente Buffet, persona intelligente e lungimirante, si è reso conto che il calo dei posti di lavoro e dei consumi danneggiano anche e soprattutto le aziende che approvvigionano il mercato e, di riflesso, il circuito finanziario e bancario.

Gli USA, d’altro canto, in questi giorni stanno affrontando un decisivo problema di finanza nazionale: aumentare in maniera sopportabile l’imposizione per i fruitori di reddito superiori ai 250 mila dollari, al fine di evitare il baratro fiscale (fiscal cliff) con conseguenti tagli ai servizi sociali ed alla sanità pubblica e cancellazione di aiuti ai meno abbienti.

Il Presidente Obama è impegnato in prima persona a mediare tra democratici e repubblicani per trovare una via d'uscita accettabile e condivisa.

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