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Fiume e quel settembre del 1919

L’Impresa di Fiume osservata dalle sue motivazioni.

Sono passati ben novantun anni da quell’Impresa che tanto ha scosso l’opinione pubblica italiana e straniera dell’epoca. Oggi, siamo a conoscenza di particolari prima ignoti, e sono sorte numerosissime nuove interpretazioni che sdoganano l’identità stessa di quegli eventi. Difatti, sino a qualche decennio fa, l’impresa veniva considerata l’anticamera del Fascismo, un insieme che precedeva de facto la Marcia su Roma.

La storiografia revisionista invece, ha giustamente osservato che d’Annunzio, con a capo i suoi legionari, formarono un qualcosa di unico ed irripetibile, con peculiarità mai toccate nella storia. Giordano Bruno Guerri ad esempio, ha sentenziato che “Fiume” segna l’inizio della modernità, con alcuni aspetti sessantottini ante litteram. Personaggi come Guido Keller von Kellerer, aviatore eccelso, ma anche nudista, naturista e soggiornante negli alberi, o altre personalità diversissime tra loro, conferiscono all’Impresa un carattere dal sapore internazionalista. La carta sociale del De Ambris è stata un primo modello corporativo, ispiratosi a principi di difficile superamento e validi ancor oggi. Le liturgie dannunziane, differenti comunque da quelle fasciste, saranno monito d’ispirazione, ma moderne se pensiamo a quelle della Terza Italia. Questi e diversi altri aspetti sono stati battuti dai canali della storiografia, quindi, è d’uopo soffermarsi su una questione di base: il motivo per cui è stata ordita la spedizione.

Tutti sappiamo che la guerra di Gabriele d’Annunzio, poeta vate e valorosissimo soldato non finisce certo il 4 Novembre 1918. Il desiderio di normalità poteva significare per lui solo la morte anticipata. Il senso di frustrazione, di sacrificio inappagato ha generato quindi una sorta di revanscismo immediato, proprio perché non si vedeva una corresponsione tra i dolori e le privazioni subite, e i frutti della vittoria. Fiume, la perla della discordia, secondo i dettami del presidente – despota Wilson, incapace di comprendere sia le aspettative italiane che la situazione internazionale, non doveva finire sotto la sovranità dei Savoia. Un controsenso, se pensiamo ai principi di autodeterminazione dei popoli da lui propugnati, e se consideriamo che il 30 ottobre 1918 il Consiglio Nazionale cittadino si era autoproclamato sotto la sovranità italiana. Fiume appariva quindi agli occhi dei neo ex combattenti come una nuova Gerusalemme da liberare, per completare il ciclo di gesta eroiche ed ardite appena lasciate alle spalle. Tuttavia, non si può attribuire la stessa illusione a coloro che hanno ordito quelle giornate. La forzatura dell’occupazione, avrebbe dovuto spingere il Regio Governo Italiano ad annetterla. Malgrado ciò, anche in questo caso, Nitti avrebbe annesso ben volentieri la città del Quarnaro, senza aspettare la spedizione, in quanto la voglia, non sarebbe mancata. Ma non poteva, proprio poiché avrebbe dichiarato guerra a mezzo mondo. La spiegazione ancor oggi più plausibile, è che l’Impresa di Fiume, non mirasse tanto a Parigi, tanto a Roma. La guerra civile, divampata intorno alla guerra con gli imperi centrali per la debolezza e le leggerezza di altri poteri; la furia che, apparsa improvvisamente a Roma nelle radiose giornate di maggio del 1915, protesa a decidere della pace e della guerra, s’era poi come spaventata di sé stessa, appiattata e rabbiosamente frenata sinché si era dovuto combattere, ricomparendo poi dopo l’armistizio più furibonda che mai, e ogni giorno cadeva in una delle sue solite sortite in una o in un’altra piazza d’Italia. La pace era stata discussa, Vittorio Emanuele Orlando era stato defenestrato dal potere, e Nitti lo aveva assunto tra le turbolenze. A più riprese, nella primavera del 1919, la piazza aveva tentato di intimidire la Corona, il Parlamento, il Governo. Il Nitti aveva composto il ministero tra cariche di cavalleria e sommosse continue. L’aveva comunque composto, causando terrore e furore di quanti, sentendo giustamente lo Stato mal difeso, sognavano di poter governare. E’ quindi possibile ritenersi che questa strana imitazione delle imprese garibaldine coprisse anche il meditato disegno di rovesciamento governativo, un colpo vibrato con occhio e mano sicura. Il quale, non ha ferito solo il governo al potere!

A Nitti, parve il tutto subito una pazzia, lasciandoselo scappare il parlamento. Non riusciva a capacitarsi che un manipolo di legionari irregolari lasciasse il tutto per seguire un’impresa (per lui così assurda) fantastica. Dal giorno successivo tuttavia, non governò più, e dovette smentirsi. Non sapeva più cosa organizzare, discutendone a lungo in parlamento, convocando persino un Consiglio della Corona. Il problema era comunque sempre duplice: o sconfessare l’impresa, dando credito alla comunità internazionale, oppure dar ragione alla spedizione, annettendo Fiume. Spaventavano entrambi i principi, e si consultò il popolo. Le elezioni popolari del 16 novembre del 1919 videro 150 deputati comunisti e 100 popolari. Questa era la situazione interna del Paese, che vedrà poi la testa di Nitti, il reingresso di Giolitti, il Natale di Sangue. Tutto mentre a Fiume si consumava una spedizione che diveniva l’opera d’arte più estrema del poeta – soldato, un regno dove talune libertà sembrano far strabuzzare gli occhi ancor oggi. Un quadro moderno e velleitario al contempo, il cui insieme di eventi, se fosse successo all’estero sarebbe oggetto massiccio della cinematografia, mentre in Italia si prova solo oggi ad allontanarne in parte, la vergogna.

Un assurdo, in quanto Fiume rappresentò un sogno, una mossa ardita, e un mondo separato a tinte futuriste. Ascoltiamo la voce di Fiume e del suo Comandante, un vero irregolare della storia.

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