Finanziamenti ai partiti: come prima, più di prima. Il "mostro" partorito dal Parlamento
Una proposta di legge corredata da duecentomila firme (iniziativa promossa dall’Italia dei Valori) non è stata sufficiente per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti.
Peraltro a questo proposito già la collettività si era espressa con un referendum.
Prassi vuole che quando vengono presentate più proposte di legge inerenti lo stesso argomento, e in questo caso la modifica della legge (attenzione: non la cancellazione), queste vengano accorpate.
E che mostro ha partorito il Parlamento Italiano?
Una normativa che riduce del 50% la spesa dello stanziamento pubblico ai partiti, ma che di fatto non porterà alcun beneficio alle casse dello stato.
Il motivo? La stessa legge dispone una riduzione fiscale pari al 24% ai privati che foraggeranno i partiti.
Nessun risparmio, dunque e i quattrini circoleranno allo stesso modo nelle sedi centrali dei partiti.
Un privato cittadino, difatti, può elargire fino ai diecimila euro. La soglia si innalza a centomila quando si tratta di società.
Un do ut des, praticamente: cosa chiederà una società in cambio?
E le varie associate che fanno capo a un unico soggetto che si serve di prestanome?
Con la nuova legge la tangente diventa pressoché legale.
E se ne vedranno i risultati quando si tratterà di assegnare incarichi e appalti.
Poi, visti gli ultimi accadimenti che hanno fatto emergere come alcuni personaggi hanno gestito e speso i nostri soldi, prioritaria è la questione di disporre di un sistema vigile per i rendiconti di entrate e uscite.
E qua l’altra anomalia: a esercitare un controllo non sarà la Corte dei Conti (organo super partes), ma una commissione ad hoc nominata dai presidenti di Camera e Senato e composta da cinque giudici (3 attinti dalla Corte dei Conti, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla Corte di Cassazione).
L’antica arte di complicare le procedure con inutili carrozzoni e di non garantire mai piena autonomia agli organismi preposti.
Ricorda vagamente la preventiva autorizzazione a procedere che il parlamento deve concedere ai magistrati quando qualcuno dei suoi alti rappresentanti viene colto con le mani nel sacco.
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