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Fiat, mancano le parole

Il caso Fiat è un problema di linguaggio e comunicazione più che di economia. E i lavoratori di Mirafiori potrebbero fare a meno di Marchionne.

“All’inizio era la parola”, dice Giovanni. E questo vale anche per l’immanente e incombente caso Fiat. Le vicende Pomigliano e Mirafiori sono infatti questioni di linguaggio e comunicazione, prima di essere problemi di politica ed economia.

C’è il discorso di Marchionne, tanto per iniziare. Che propone un linguaggio semplificato, banalizzato, pieno di luoghi comuni. Nel suo discorso gli operai italiani sono degli sfaticati e i sindacati che si oppongono inutili ingombri sulla strada della massima produttività. Marchionne propone slogan da bar al posto di analisi, offrendo titoli ai giornali, alimentando lo scontro ideologico al posto del confronto, parlando alla pancia e non alla ragione degli italiani.

C’è il dogma, che sostituisce il dialogo. Perché il nuovo metodo di gestioni delle relazioni industriali della Fiat non prevede confronto. Il soggetto imprenditoriale detta le sue condizioni e rappresentanze e lavoratori devono accettare. I piani imprenditoriali sono immodificabili, impermeabili alle critiche e alle contro proposte. Chi dissente sta fuori, perde i diritti o perde il lavoro. Lo stesso metodo referendario, ricattatorio, non prevede alcuna alternativa perché segue la regola del “dentro” o “fuori”. E’ il linguaggio universale dell’autoritarismo, della comunicazione verticistica, dell’intolleranza.

C’è il linguaggio globale, ma manca la lingua dell’Europa. Marchionne ha come riferimento imprenditoriale le multinazionali e i loro principi di delocalizzazione e sfruttamento ma trascura il vocabolario dell’Unione Europea. “L’economia della conoscenza”, pilastro dello sviluppo europeo, è sostituita dall’Ad Fiat con il risparmio sulla forza lavoro e ricerca, innovazione e sviluppo non rientrano tra le priorità del suo piano industriale. 

C’è il silenzio, affermativo, del Governo. Di fronte all’autoritarismo reazionario di Marchionne i politici di destra in parte tacciono, in buona parte applaudono. PDL e Lega, anche quando non dicono nulla, sostengono Marchionne. Perché restare inerti in uno scontro impari equivale ad agevolare il più forte. Che in questo caso è Fiat, con la sua minaccia di trasferire altrove i capitali e soprattutto il lavoro. Berlusconi e il canadese parlano la stessa lingua del Potere, insofferente al dissenso, indisponibile alla mediazione e alla limitazione del proprio dominio. Bossi fischietta distrattamente, permettendo la “cinesizzazione” degli operai del Nord che l’hanno largamente votato.

C’è il brusio della sinistra. Che riconosce l’esistenza di un problema ed è già qualcosa, considerando quanti, anche tra i sindacati, ficcano la testa sotto la sabbia e descrivono come “inevitabili” le decisioni di Marchionne, che invece sono scelte ideologiche. Una sinistra in cui si manifestano diversità - come è normale di fronte a problemi complessi – che non devono spaventare ma che occorre portare presto a sintesi. Una sinistra che non deve confondere il riformismo con la contro-riforma, perché il progetto Marchionne non è avanzamento ma arretramento, non nuova civiltà ma rinnovata barbarie. Una sinistra che dovrebbe progettare un rilancio industriale per l’Italia imperniato sulla ricerca, sulla riforma della P.A. e sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese.

C’è il valore del dialogo, che è, sin dal mondo greco, la sostanza della democrazia. Dialogo che non è consociativismo, corporativismo e neppure contrapposizione violenta. Dialogo come riconoscimento del carattere intersoggettivo della verità, che si realizza attraverso la condivisione e la mediazione. Dialogo che permette alle società di esistere e di “tenersi” senza frantumarsi in atomi o corpi separati vaganti per lo spazio vuoto e confliggenti. Dialogo che non può essere sostituito o negato, perché oltre la sua soglia non resta che la violenza.

Per sostenere questo diritto minacciato penso sia giusto sostenere lo sciopero generale indetto dalla Fiom per il 28 Gennaio. Penso anche sia giusto votare “No” al referendum Fiat, perché il dialogo è il diritto indisponibile per eccellenza.

Marchionne dice che la Fiat se ne andrà da Mirafiori, se non passeranno i sì. Mi piacerebbe vedere raccolta questa sfida, collettivamente. Proporrei un azionariato popolare, tra i lavoratori e i cittadini, per comprarsi Mirafiori. Che d'altra parte è già un bene nazionale, visto che è costruita con i risparmi e le fatiche degli italiani. E vorrei chiamare ad amministrare l'azienda operai e manager assieme, democraticamente. Condividendo i fallimenti, ma anche i successi. Anche per mostrare a Marchionne che la Fiat può tranquillamente fare a meno di lui, mentra la Fiat non può fare a meno degli italiani.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.217) 12 gennaio 2011 11:20

    Mi spiace contraddirla, ma la Fiat può benissimo fare a meno degli Italiani, è questa la realtà.
    Dipende cosa si vuole fare; come un tempo che lo stato sosteneva economicamente una azienda in rosso; o puntare su altri progetti, nuovi, freschi, in cui non ci sia spreco di denaro, di tempo e di opportunità per i lavoratori.
    Purtroppo altri sostegni non ce li possiamo permettere (come stato); è così difficile da capire?
    Riprendo una frase detta da Tremonti qualche tempo fa che diceva essenzialmente: il nostro lavoro in Europa, è troppo complicato per le aziende; troppi paramentri da gestire e a cui si è sempre sotto controllo (non discuto su sicurezza e salute), forse dovremmo, come lavoratori impegnarci di più di prima, e qualche "beneficio di contorno" eliminarlo.
    Che attrattiva può avere l’Europa per le grandi aziende in questo contesto?
    Pensiamoci bene!!

    • Di marco unia (---.---.---.139) 13 gennaio 2011 11:26

      Qual’è la regola per cui sacrifici e rinunce toccano sempre ai più deboli? Quale regola stabilisce che lo stipendio di Marchionne e dei tanti super manager sia intoccabile e giusto per definizione? Quale regola stabilisce che quando sbagliano manager e banche paghino i cittadini e i dipendenti? Quale regola stabilisce che dobbiamo andare sempre più verso una società diseguale? E perchè non cambiarle queste regole? Perchè non vogliamo accettare che siamo noi uomini che facciamo l’economia e non viceversa? Perchè pensiamo al capitalismo come a Dio, intoccabile e immutabile? Sforziamoci di cambiare il mondo, con formule nuove, senza pregiudizi e con tanta, tanta, immaginazione.Io tifo per una società giovane, nuova, diversa.

  • Di Pere Duchesne (---.---.---.175) 12 gennaio 2011 23:57
    Pere Duchesne

    Leggendo l’articolo ho dovuto controllare il calendario sul PC: nel 2011 stavo leggendo uno scritto del 1951! Azionariato popolare per comprare la Fiat: se fosse una barzelletta, sarebbe magari divertente, ma che nel 2011 qualcuno lo pensi ancora, fa cadere le braccia. Un’azienda con quasi più sindacati che operai, ognuno col proprio orticello da coltivare, con una FIOM al 13% che pretende sempre di imporsi, fallirebbe nel giro di due mesi, salvo che non venisse uno Stalin (o un Hitler, se preferisce) a farla funzionare. Già che ci siamo proponiamo la collettivizzazione delle terre, e siamo al completo. La storia non insegna proprio nulla a chi non vuole vedere, o a chi non ha alcun contatto con la realtà. Gli slogan, le frasi fatte, le belle teorie riempiono magari la testa, ma di solito non riempiono mai la pancia.

    • Di marco unia (---.---.---.139) 13 gennaio 2011 11:12

      Mi impegno ad immaginare e a costruire un mondo alternativo. Mi sforzo di pensare senza i paraocchi dell’ideologia novecentesca. Il mondo non si può ridurre alla lotta, a somma a zero, tra capitalismo sfruttatore e comunismo statalista. Parlo di co-partecipazione dei dipendenti alle aziendee, come nelle attuali, grandi fabbriche, tedesche. Parlo di dipendenti, ma anche di semplici cittadini, che si comprano la proprietà della Fiat. Come il sindacato statunitense che ha la maggioranza di chrysler. Parlo, più in genere, della forza dei semplici, che uniti nella democrazia fanno grande un Paese. Racconto di un mondo in cui da solo non sei nessuno, neppure se vieni pagato 1000 volte più degli altri. Penso ad un mondo più uguale, nel nostro attuale mondo sempre più diseguale. Le brutte teorie del dominio e della sopraffazione affamano le maggioranze e uccidono la vita. 

  • Di Pere Duchesne (---.---.---.220) 14 gennaio 2011 22:57
    Pere Duchesne

    Ognuno è libero di avere i sogni che preferisce, ad esempio io sogno un sindacato italiano come quello della Crysler o quello tedesco, ma abbiamo la FIOM, che rappresentando il 13% dei lavoratori FIAT pretende l’egemonia.

    Comunque continui a sognare, prima o poi si sveglierà, e si troverà in un mondo popolato da sette miliardi di uomini, dove la necessità di riuscire a sopravvivere farà cadere qualunque idealismo.

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