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Febbre tricolore

Sentivo un certo odorino, e non era ancora ora di cena. Sapeva di tricolore e soldatini. Di tricolore sventolato in faccia agli apostati dell’unità d’Italia, quelli dal sole delle Alpi a scuola. Intendiamoci. Giusto, rimuoviamoli, ok: edificio pubblico, bambini, simbolo di partito. E’ bene però non nascondersi dietro le tende. Sarò evidentemente stupido, però a me sembra di ricordare che l’obiettivo ultimo, nonché il primo, della Lega Nord sia l’indipendenza della cosiddetta Padania. Tanto da farne cenno un po’ dappertutto.

Adesso: noi sappiamo che il federalismo è soltanto il primo step, e neppure troppo nascostamente ministri della Repubblica parlano della riforma federale come ineludibile “e poi si vede”. Lasciando intendere un sicuro approdo secessionista – o comunque lasciandolo subodorare alle posse di elettori padani. E’ un partito a progetto, e il progetto è e resterà quello. Facciamo finta di non vedere, fanno finta di non vedere quegli analisti che raccontano la Lega come dovessero raccontare dello Sdi, dei mastelliani, dei tories, del partito che volete. E’ altro, la Lega. E non dimentichiamocene. Il contrappasso è la riaffermazione, particolarmente fervente nelle ultime ore, del tricolore. Come simbolo in chiave anti-leghista, in particolare. Ok, ok. 

Farefututo ieri suggeriva persino di portarne uno in ogni aula, in risposta alla mazziniana coccarda lanciata dal socialista Nencini. Ok ok. A me spaventa comunque – sarò pure un gran pavido. Una classe ornata a festa, una Mirabello nella 4°C, fa un po’ paura. Bisogna dosarlo, il tricolore. Ha una sua storia, e più d’una. Difenderlo suona bene dalle parti del presidente della Camera, mi stride altrove. Come se strali e fulmini fra le anime delle destre in questa estate abbiano ridotto gli spettatori, gli altri, noi, a dover parteggiare per qualcuno. E partire dalla bandiera. Un trasferimento, armi bagagli e confaloni, di là dello steccato politico. Chiaro: va bene il simbolo dell’unità nazionale, il popolo, ma vietata l’esagerazione. O l’esasperazione: l’Italia non esiste quanto non esiste la Padania. O insomma, esiste per alcune convenzioni che alla Padania non sono concesse, e delle quali la Lega ha sempre cercato di farsi portavoce – o portabandiera. In breve, non bisogna proibire l’uso della parola magica (come suggeriva ieri Leonardo). Né soffocare il verde col bianco e il rosso. Si rischia di far credere loro che questa fantomatica nazione esiste davvero. E che vale la pena lottare per liberarla.
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