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Fannulloni come noi: come lo Stato "aiuta" chi si impegna

Cosa resta della meritocrazia come risultato dello scontro tra le parole dei politici e la cruda realtà della quotidianità della vita degli studenti?

 
Fannulloni come noi.

"Sapere aude!" (se ne hai il coraggio).

"Sapere aude" (abbi il coraggio di sapere), è forse questo l’aforisma kantiano più famoso, nonché quello che maggiormente sembra adattarsi, modellarsi sull’attuale situazione socio-politica (ed economica). Perché, in fondo, sapere, è da sempre un rischio.

Tralasciando per un attimo le varie implicazioni sociali relative al più o meno forte handicap nelle relazioni interpersonali dovuto al "sapere troppo", oggi appare decisamente evidente un aspetto inquietante di questo fatto. Volersi creare una strada personale, attraverso scelte difficili e profondamente meditate, tende a coincidere con il rischiare la propria salute, in modo più o meno grave e/o consapevole. Ciò, naturalmente, sommato alla serie di luoghi comuni sparati a zero su giovani, professori, ed ora anche bidelli, crea un principio di nevrosi e trasformerebbe il più pacifico degli uomini nella versione psicopatica di Scream (e questo non è poco).

Si arriva a tale stato, non per via del solito dualismo tra nuove generazioni e adulti, tipica di ogni epoca, ma perché i mezzi con i quali siamo armati per muoverci nel mondo del lavoro e nella vita in genere sono decisamente scarsi, più o meno come se Bellerofonte si fosse recato dalla Chimera con in mano il fodero della spada invece della spada stessa.

Così, a mostrare cosa significhi essere masticati dalla ruotinaria inefficienza del sistema italiano descriverò quella che è la quotidiana giornata dello studente che, seppur nei suoi limiti, tenta di costruirsi un futuro, sempre che non venga ammazzato nel frattempo.

La partenza

Dopo la difficile accettazione del fatto di doversi svegliare, e dopo aver vagato per le varie stanze della casa alla ricerca di caffé da iniettarsi per endovena, si ha la partenza. Ad un risveglio che mediamente si ha tra le 5 e le 7 di mattina, segue infatti l’immersione nelle temperature spesso glaciali dell’esterno. Tutto normale finché non si raggiunge la fermata. Normalmente si attende completamente esposti alle intemperie, neve, vento o grandine che sia, spesso sprovvisti anche di minime coperture (nella maggior parte dei casi comunque piuttosto squallide). Tutto ciò, come se non bastasse, alla completa mercè di compagnie di trasporti completamente inaffidabili, che spesso e volentieri finiscono per giungere sul posto o in anticipo o in ritardo, o peggio come vedremo per il ritorno.

Se non si rischia la polmonite per il freddo, inoltre, si viaggia quasi esclusivamente su mezzi scomodi e pericolanti, in cui è successo anche di avere incidenti con seri rischi per l’incolumità dei passeggeri. E’ successo spesso di non aver neanche la possibilità di ripassare (noi, studenti sfaticati, come svelato genialmente dal Ministro dell’Istruzione) poiché le sistematiche vibrazioni del mezzo rendevano impossibile anche mettere a fuoco il testo. Comunque, bene o male si giunge al luogo di studio designato.

Caschi e protezioni

Il pericolo però non finisce arrivati a scuola. Sorvolerò sull’effettiva qualità delle lezioni per due motivi: il primo è che comunque posso ritenermi tra i pochi fortunati ad aver avuto sempre esperienze per lo meno accettabili, se non positive al riguardo; il secondo è che si tratta di casi talmente legati alla particolare situazione che non si può parlare in termini di genericità. Ciononostante si può benissimo parlare, se non delle persone, dei luoghi che ci vengono messi a disposizione. Luoghi spesso e volentieri pericolosi, o comunque difficilmente a norma di legge, o attrezzati per un approccio che vada oltre lo studio per l’interrogazione, non solo per la gestione locale ma anche perché un popolo ignorante è un popolo comandabile e spendere poche risorse in questo campo non fa comodo a pochi. Non credo di dover portare esempi di come una cattiva gestione delle scuole ha portato a disastri, essi risiedono nelle cicatrici nel cuore di ogni genitore che seppellisce il figlio...

Il ritorno

Come anticipato c’è ben di peggio che un ritardo di dieci minuti (che comunque si sente aggirandosi attorno agli zero gradi). Può succedere che allegramente l’adorata Cotral (Compagnia Trasporti Laziali), per un guasto ad un autobus sospenda la corsa, così da lasciare a piedi ragazzi anche di soli quattordici anni. Perché non si sporge denuncia per una corsa, anche se sei alle due di pomeriggio sotto il sole di Giugno, perché sotto le intemperie non hai voglia di litigare con un dipendente di call center in condizioni peggiori di te. Sì, sembrerà strano ma anche un diciottenne le capisce certe cose. Di nuovo si è abbandonati in balia delle condizioni del tempo. L’unica soluzione è attendere un autobus che passerà tra un’ora, un’ora e mezza.

No, non ho il corso ma ci vado perché ho l’esame, cristo!

Ma non sempre si ritorna con gli altri, spesso bisogna affrontare i Corsi di recupero.
Corsi di recupero, un nome che basta a spargere il terrore nelle aule. Eppure assume un diverso suono, sì sgradevole per due ore di attenzione in più da spremere dal cervello dopo altre sei di scuola, ma anche piacevole perché, al quinto anno di Liceo, sai che non puoi sbagliare, perché è forse l’anno più importante della tua carriera scolastica (e il più intenso).

Naturalmente a chi, pur non essendo costretto, si ferma per partecipare ai corsi, anche se stanco, anche se con nello stomaco solo un pezzo di pizza, non si presenta una strada spianata, bensì ostacoli su ostacoli. Se hai la fortuna, come me, di avere professori che ti accolgono ai corsi perché fondamentalmente gli interessa come andrai all’esame per qualcosa di più della figura che faranno, come tornare? All’alternativa di chi ha la fortuna di poter contare su una macchina si contrappone solo una scelta: i mezzi pubblici. Questo sì che dovrebbe far tremare, confronto ai corsi di recupero, perlomeno in Italia.

Mettiamo conto che uno studente X debba recarsi dalla stazione di Passo Corese (provincia di Rieti) al paese di residenza, Fiano Romano (provincia di Roma). Se avrete la pazienza di controllare su internet potrete appurare che si tratta di paesi a non più di dieci chilometri di distanza, volendo esagerare. Beh, questo ipotetico studente dovrebbe attendere, per un corso normalmente organizzato dalle 14 alle 16, circa un’ora e mezza. Fin qui niente di insolito, se di normalità si può parlare quando due paesi a pochi chilometri sono collegati solo da un autobus ogni due ore il pomeriggio e due soli per tutta la mattinata. Ma sorvoliamo.

Non si può però sorvolare su un aspetto. Immaginate voi di trovarvi a pochi gradi per un’ora e mezza, voi come bambini e anziani (in questo almeno l’Italia non discrimina), in una stazione dove la pensilina neanche copre tutte le piazzole, e di trovare la porta dell’atrio della piccola stazione chiusa. Nessuno all’interno, nessun posto dove sostare un minuto, eccetto una panchina metallica (quindi gelida) a cui manca un’asta e sulla quale sedersi significa rischiare di franare a terra con lei...

Conclusione

Cosa succederebbe se voi foste questo ignoto studente X? O se foste la ragazza che ha ricevuto in testa una trave di metallo staccatasi all’interno dell’autobus rischiando il trauma cranico?

Provo a dirvi cosa viene in mente a me, starà a voi dire quanto sia simile al vostro, di pensiero.Mi viene in mente che di tanti discorsi sugli studenti che non hanno voglia di fare nulla rimane solo irridente cenere, quando torni a casa alle sei di pomeriggio, dopo il freddo, sei ore di scuola e due di corso, perché tenti di costruire qualcosa per il tuo futuro.

Mi viene in mente che se un ragazzo decide di fare qualcosa di anche vagamente simile al proprio dovere, lo fa praticamente a suo rischio e pericolo, quasi remasse contro lo Stato invece di garantire nel suo piccolo un miglioramento. Rischia l’incolumità andando a scuola, al suo interno e quando torna a casa. Poi, superato l’esame di maturità gli restano due scelte, quella di andare a lavorare in nero rischiando qui davvero la vita o di continuare con l’Università per cominciare a fare la gavetta a trent’anni, ed avere la sicurezza economica forse a cinquanta, e i figli a sessanta.

Naturalmente non esiste nulla di impossibile, e se davvero si vuole arrivare ad uno scopo, in qualche modo ci si può riuscire. Solo credo che chiunque prenda la scuola con la giusta serietà, senza diventare maniaci dello studio ma nemmeno usandola come mercato per lo spaccio, si senta offeso nella sua dignità quando davvero bisogna avere coraggio a sapere, e nonostante tutto si viene anche irrisi per bieche ragioni di politica.

In un sistema disvaloriale in cui "l’ignoranza è forza" la vera ribellione sembra voler conservare il nostro piccolo spazio di dignità e il nostro diritto ad una visione critica di ciò che ci circonda, anche se la pressione di mass media, economia e politica ti stritola per spremere anche l’ultimo respiro di volontà.

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