Boko Haram: la “resa” di Shekau non è la fine
Dopo la "resa" del leader di Boko Haram Abubakar Shekau, il futuro della Nigeria di fronte alla minaccia jihadista rimane incerta.
Il video - apparso il 23 Marzo scorso - sarebbe infatti di dubbia origine. A destare sospetto negli analisti è la minore qualità audiovisiva rispetto ai precedenti proclama del gruppo, unita all'atteggiamento dimesso di Shekau, altrimenti noto per la sua teatrale retorica.
Yan St-Pierre (del Modern Security Consulting Group intervistato da Newsweek) ha giudicato il video autentico e teso ad incoraggiare i membri del gruppo terroristico; di diversa opinione è Ronald Sandee, un ex analista dell'intelligence militare tedesca, che ritiene il video un approssimativo copia-e-incolla.
Lo scopo - secondo Sandee - sarebbe dunque quello di influenzare i seguaci di Boko Haram, spingendoli verso la resa. Un punto di vista condiviso da Darren Kew, esperto di conflitti internazionali, che - intervistato da AgoraVox - ha ipotizzato che il video possa essere stato creato dall'esercito stesso: “In questi due anni” ha spiegato “l'esercito nigeriano ha già divulgato disinformazione di questo stampo, e in più occasioni. È quindi certamente possibile che questo video arrivi da qualche elemento interno all'esercito, il cui intento sarebbe quello di dimostrare l'imminente vittoria, oltre a quello di dividere Boko Haram”.
Le ipotesi al vaglio sono dunque molte, da quella che sostiene appunto che si possa trattare di una mossa propagandistica dell'esercito, alla possibilità che si tratti invece di un regolamento di conti all'interno della leadership di Boko Haram, già divisa sembra sulla scelta di colpire i campi per sfollati nel nordest del paese e per via dell'accusa mossa al gruppo di usare le studentesse rapite a Chibok come kamikaze.
Se si guarda però agli eventi che si sono susseguiti nei giorni successivi al rilascio del video emerge qualche spunto utile a capire cosa stia esattamente succedendo all'interno di Boko Haram. Come prevedibile, gli attacchi non si sono infatti fermati. Un'imboscata avrebbe avuto luogo nei pressi di Lassa già pochi giorni dopo la pubblicazione del video, seguita da un attacco vicino Diffa (Niger) che avrebbe causato la morte di sei soldati. Boko Haram non ha finito di colpire, e a ha dunque fatto seguire agli attacchi un ulteriore comunicato in cui l'ipotesi di una resa viene respinta in maniera perentoria. Stavolta però a parlare è un uomo dall'identità sconosciuta, mentre di Shekau non sembra esservi traccia.
Questi fatti portano dunque a escludere che l'attività di Boko Haram sia destinata a cessare troppo presto. L'analisi offerta da Kew è la seguente: “nell'ultimo anno, l'insurrezione è diventata più mirata e più propriamente terroristica, con l'uso di kamikaze e attacchi improvvisi piuttosto che un'insurrezione aperta e tesa all'annessione di parte del territorio”. Nonostante la volontà del presidente Buhari, spiega Kew, “il numero di vittime è diminuito, ma resta comunque molto alto”. Un dato non sorprendente: si calcola infatti che nel 2014 Boko Haram abbia mietuto più vittime persino dello Stato Islamico. Lo scontro militare con l'esercito nigeriano e la Multinational Joint Task Force (MNJTF) istituita dall'Unione Africana sembra dunque lontano dall'essersi concluso.
Ad oggi, Boko Haram sconta una fusione con lo Stato Islamico malriuscita e mal digerita da una parte della leadership. Inoltre, l'offensiva portata avanti da Buhari e dalla MNJTF sembra aver causato una vera e propria emorragia all'interno del gruppo tra membri uccisi – 300 in una sola operazione – o catturati – 800 nel mese di marzo. Dati che sono frutto di dichiarazioni dell'esercito e vanno dunque trattati criticamente, ma comunque numeri considerevoli accompagnati da catture eccellenti come quella di Khalid al-Barnawi o quelle di Abdulmumini Abdullahi e Ali Audu. La recente richiesta di cinquanta milioni di dollari di riscatto per le studentesse rapite due anni fa sarebbe dunque un modo per far cassa e sopravvivere. Questo, mentre il governo nigeriano sconta una serie di sfide significative: una crisi alimentare profonda, la rinnovata campagna secessionista in Biafra, le violenze commesse dai mandriani Fulani e infine il basso prezzo del petrolio. La minaccia di Boko Haram è dunque tutt'altro che scomparsa.
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