Eutanasia per l’ONU?
Rifondare l'ONU? Sembra di sì. Infatti, nelle attuali condizioni del nondo non sarebbe più sufficiente una semplice riforma dell'ONU, auspicata da molti, ormai da tempo.
Sono troppe le inefficienze, le incongruenze e le contraddizioni che si sono accumulate nella storia dell'ONU, e che ne hanno quasi vanificato il ruolo.
A partire dal diritto di veto sulle sue decisioni, attribuito, fin dagli accordi di Yalta nel 1945, a cinque Stati.
Ma molte disfunzioni riguardano anche la struttura, l'organizzazione interna, l'amministrazione finanziaria e il metodo di lavoro dell'ONU.
Fino al fatto, incredibile, che, per un malinteso principio di rotazione, alla presidenza di consigli o commissioni dell'ONU come quella dei diritti umani e quella per gli aiuti umanitari, possono accedere, come avviene in questo periodo, regimi liberticidi e totalitari come Iran e Cina.
Non è forse il caso di parlare di una autoeutanasia dell'ONU, se consideriamo i principi sanciti nella Dichiarazione Universale del 1948?
Non si tratta quindi di riformare questo o quell'altro meccanismo dell'ONU, questa o quell'altra procedura o funzionalità; oppure questo o quell'altro tipo di organizzazione, di settori o di organi.
Si tratta piuttosto di una vera rifondazione delll'ONU. Quello che l'umanità sta attraversando sembra proprio il momento giusto per ripensare la struttura e l'identità stessa cell'ONU. Per immaginare magari un Parlamento mondiale di popoli liberi.
La singolare, ma, a quanto sembra, non isolata proposta, offerta recentemente al dibattito, dal filosofo Bernard-Henri Lévy, sul settimanale Le Point, sembra andare in tale direzione.
Certo, potremmo comprendere meglio, anche da semplici cittadini, la validità, la portata e l'urgenza di una proposta del genere, se ci ponessimo in una prospettiva storica e in un'ottica cosmopolita nell'approccio alle piccole o grandi, questioni che ci riguardano tutti. Infatti, oggi, dopo le esperienze che Stati e popoli stanno vivendo, dovremmo essere più in grado di capire, scriveva Ulrich Beck, che la preoccupazione per il tutto, non è solo una delle opzioni che abbiamo di fronte oggi, ma una ineludibile condizione umana attuale, se siamo davvero interessati al futuro dell'umanità, al nostro futuro.
Probabilmente, sostiene Bernard-Henri Levy, oggi, abbiamo davanti solo due vie: o rifondare l'organizzazione delle nazioni unite dal pavimento al soffitto, ripensando le procedure che oggi portano a tante situazioni grottesche e rivoltanti, o prendere atto di uno stato di ""morte cerebrale" dell'ONU.
Perché attendere ancora? Del resto, esise già un modello di comunità di popoli liberi, un orizzonte tracciato.
Infatti, l'UE, l'Unione Europea, tra le entità politiche internazionali, ha intrapeso pur tra le lentezze iniziali, questa strada. Solo l'UE, infatti, tra le entità politiche internazionali, limita, per costituzione, l'adesione alla Unione solo ai Paesi che garantiscono la libertà, i diritti umani fondamentali e lo stato di diritto.
Mentre l'ONU attuale, pur avendo alle spalle l'eloquente Dichiarazione Universale del 1948, su questo punto è ancora colpevolmente inadempiente e pericolosamente ambigua.
La situazione oggi è aggravata però non solo dalla corsa verso regimi autoritari o dittatoriali da parte di molti Stati nel mondo; ma anche dal fatto che i regimi e gli Stati-guida, in quella corsa, come Cina, Iran, Russia, sostengono esplicitamente una sorta di relativismo culturale riguardo alle questioni della libertà, della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani.
Nella varietà degli Stati del mondo, ci sono Stati e regimi che il filosofo John Rawls (Il diritto dei popoli) considera appartenenti alla categoria degli "Stati fuorilegge": cioè quelli che non rispettano i diritti umani e sono aggressivi nei confronti degli altri popoli, destabilizzando con il loro comportamento Popoli, Stati e comunità di popoli.
L’idea che popoli così diversi possano partecipare allo stesso Contratto internazionale, deve essere considerata vana, pensa Rawls: poiché non avrebbero nessun interesse e nessuna intenzione di cooperare per un futuro di libertà, di diritti condivisi e di pace.
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