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Elle, di Paul Verhoeven

Un anonimo insulso e compassato broker bancario, giovane e prestante, dotato di una bella moglie “tutta casa (letto non si sa) e chiesa”, indossa occasionalmente un passamontagna e si lancia addosso ad una preda femminile prescelta: gli è necessaria la violenza per eccitarsi, irrompere a casa della vittima, colpirla ferirla e infine possederla, con qualche successiva comunicazione che arriva alla donna via computer. Violento ma vuol comunicare un po’. Questa volta la preda è la distinta signora single che abita nella villa di fronte, proprietaria di un’azienda popolata di giovani creativi che costruisce e vende programmi di feroci giochi visuali elettronici: è proprio quella giusta, non sa l’aggressore di aver trovato una che forse lo aspettava, dotata della giusta dose di perversione che anima il finto superman. Impone ad esempio ai suoi creativi di conferire all’immagine femminile di un videogioco, vittima di un mostro, le giuste convulsioni orgasmiche.

Il film è cominciato al buio, con le sole urla di lei, dapprima di terrore ma che poi sembrano diventare di piacere, o convulsioni orgasmiche, e il sangue, l’annichilimento del dopo stupro, lo sguardo perso della signora per terra che … si rialza decisa e raccoglie sbrigativa gli oggetti rotti sparsi sul pavimento dopo l’assalto.

Determinata e apparentemente non scossa, sembra dalle immagini successive non aver risentito dei fattacci, saranno più d’uno, al punto da suscitarle molta curiosità su chi sia lo stupratore, ne è affascinata. Guida la sua impresa, giostra i suoi rapporti come normalmente, col suo ex-marito, con l’amante, marito della sua migliore amica e socia in azienda, una con cui potrebbe intessere una relazione che si promisero da ragazze. Nessuna denuncia alla polizia, tesserà la sua rete fino a individuare l’aggressore mascherato, scrutando i vari possibili sospettati.

La forza, o la perversione, di questa magnifica donna matura deriva forse dai geni ereditati dal suo papà killer, o dall’aver visto lo scempio di 27 corpi fatto dal padre molti anni prima, il famoso criminale George Leblanc, uno che Elle non ha più voluto vedere e del quale ha ancora paura. Lei fu involontaria protagonista di quei crimini, la sua foto di bambina in mutandine, dopo l’incendio della casa operato da papà, apparve sui giornali del tempo: forse per via di quella notorietà non voluta, sarà stata oggetto di attenzioni di vari psicopatici. Avrebbe voluto finalmente andarlo a trovare in prigione, giusto perché la madre morente – altro personaggio strano – glielo ha raccomandato; lei, Michelle, avrebbe voluto fargli un discorso in 9 punti e… sputargli in faccia.

Due ore di film inquietanti, crudeli, ma che consentono risate controllate, un quasi poliziesco che non si può annoverare in nessuna delle tipologie canoniche, tratto dal libro “Oh …” di Philippe Djian del 2013, libro recensito da qualcuno come “storia di uno stupro addomesticato”. La locandina pubblicitaria parla di “dialoghi taglienti e scene memorabili”, con la (super)-protagonista “capace di rendere credibile l’incredibile”: tutto vero, soprattutto i dialoghi taglienti e le risposte sempre pronte, fin troppo. Un set ubriacante popolato di personaggi, perfino un gatto grigio anaffettivo e inquietante anch’esso, colpi di scena a volontà e qualche slegatura o licenza di vagare dell’interessante regista Paul Verhoeven. E’ finita dirà alla fine Michelle, se ne è liberata, del resto è giusto che anche le più cupe evasioni finiscano e comunque la vergogna non è un sentimento così forte da impedirci di fare di tutto, la nostra protagonista ha idee molto chiare. Si sentirà ringraziare dalla moglie del bancario-superman che passa a miglior vita: la fede sostiene la bella vedova, che comunque ringrazia la vicina per aver dato, a quell’anima tormentata di suo marito, ciò di cui aveva bisogno. Le donne guidano, i maschietti qui sono dei manovrati comprimari, sono le donne a ordire le trame, ma soprattutto lei, la stellare, fredda e perversa Isabelle Huppert.

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