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Elezioni | L’astensione dal voto, motivata, lucida e consapevole

In questi giorni di fine legislatura si sentono i discorsi di fine anno e legislatura delle alte cariche dello Stato e dei politici, ed in essi l’esortazione a noi “italiani qualunque” a votare alle prossime imminenti elezioni.

Mi sono chiesto quindi perché dovrei dare corso a queste "alte" sollecitazioni e votare. Perché dovrei mettere il mio segno in una scheda scegliendo un candidato ed un partito per il governo del Paese quando l’accesso alla politica e ad ogni istituzione alta o bassa della Repubblica da decenni, a me come ad ogni cittadino periferico e non integrato è stato di fatto negato?  

Non solo: negati pure alla normale cittadinanza, quella esente da protezioni politiche o di lobby, sono stati tutti o quasi i diritti sociali ed economici fondamentali scritti nella Costituzione.

Come la maggioranza degli italiani non vivo nella capitale e con le grandi istituzioni e poteri presenti in essa non ho avuto rapporti diretti; diversamente con quelle e quelli locali i contatti sono stati molteplici, non fosse altro che per le mille pratiche da suddito adempiente necessarie per la non semplice vita di tutti i giorni.

Attive ed efficienti sono state queste istituzioni allorché si è trattato di esigere tributi, tasse ed adempimenti vari, ugualmente attente e sollecitamente rispondenti alle pressioni - ben visibili nello sfruttamento insensato del territorio - dei gruppi di interesse; invece chiuse, ostinatamente sbarrate, ogniqualvolta si è trattato di recepire ben motivate istanze o necessità legate alle condizioni di vita della famiglia, del quartiere, della comunità nel suo complesso, e, prima ancora, alla salute, sicurezza e sostanziale dignità del cittadino. 

Non una sola volta si è risposto da parte dei rappresentanti politici ad una semplice circostanziata domanda di carattere politico-sociale tanto per ciò che è esterno quanto interno al palazzo, nemmeno con i classici vuoti adempimenti formali. Altroché innovazione, digitalizzazione, comunicazione e accesso; si sono persi in queste amministrazioni persino i tradizionali formalismi; non si sa nemmeno più cosa sia e a che serva uno scritto protocollato, tanto meno se con lo stesso si chieda ascolto, audizione su temi di interesse collettivo.

L’arroganza autoreferenziale, l’assenza ingiustificata (e voluta) dal dialogo con il cittadino, da parte anche del più basso degli eletti, degli organismi elettivi nel loro complesso e analogamente di quelli burocratici apicali è divenuta unica cronica prassi. D’altro canto, salvo casi estremi, non una volta si è visto il rappresentante dello Stato a livello locale andare a verificare il tasso di legalità e di democraticità costituzionale dell’apparato di governo locale; non una volta si sono viste controllate, e se possibile cassate, le estemporanee, spesso assurde politiche messe in atto da chi, sulla base di una supposta legittimazione elettorale, in sostanza ha catturato le istituzioni di prossimità con l’animo di possederle, ad esclusione di ogni altro cittadino che fuori dal palazzo dopo la tornata elettorale sia rimasto.

Vista da un seggio alto, dalla capitale, la politica con le relative articolazioni costituzionali italiane la si può immaginare con un certo architettonico aspetto, ma vista dal basso è tutt'altra cosa. Le istituzioni, laddove si trovano nelle periferie di questo Paese, si presentano arroccate, sorde, distaccate, burocratizzate, irrazionali, inefficaci, il più delle volte clientelari rispetto alle nomenclature dl luogo, tutto ciò a volere essere generosi nella valutazione.

Quanto ai diritti fondamentali, ed al rispetto degli stessi, soprassediamo, l’elenco delle non attuazioni è noto, non è esercizio retorico dire che in questi ultimi decenni non se ne è vista la sostanziale, anche minima, applicazione; a partire dal diritto al lavoro ed alla dignità sociale che paiono essere sempre di più garantiti ad una ristretta minoranza di cittadini ben collegati a ceti politici, finanziari, economici, religiosi, sicuramente non riconosciuti per studi, impegno o meriti.

Lo Stato ovunque si presenta, in questo senso non è laico, tanto meno imparziale, quanto invece familistico, elitario, castale; non diversamente il sistema partitico sottostante che allo Stato- apparato e imprenditore conferisce per scambio o appartenenza il personale, non solo politico.

Perché dunque esercitare sporadicamente il primo tra i diritti politici, quando medio tempore, tra un’elezione e l’altra, sia politica che amministrativa, il potere pubblico si barrica, ed una casta sempre più avulsa, spesso del tutto inconsapevole dei principi istitutivi della Repubblica, di cosa sia nella sostanza l’interesse pubblico ed i principi generali di buona amministrazione, avvantaggiandosi della legittimazione elettorale di una moltitudine di inconsapevoli sudditi telespettatori, mobilitati al voto su basi propagandistiche, sfruttando la martellante, strumentale ed asservita macchina mediatica generalista, in realtà un unico, uniformato, aziendale cartello.

Il voto non solo esprime l’adesione dell’elettore ad una proposta politica, ad un programma, ma, cosa mai sufficientemente spiegata, legittima degli individui - il più delle volte incapaci e non qualificati - cooptati da alcune élites decisamente poco etiche a disporre senza vincoli e sostanziali controlli delle risorse della comunità e conseguentemente delle condizioni di vita e sopravvivenza di ciascuno.

Ed allora quali garanzie offre oggi il nostro ordinamento affinché chi viene eletto non sia il rappresentante di interessi molto particolari e privati e non abusi, con la consueta distaccata arroganza, di questa sua posizione per trarne vantaggi personali? Quali istituti di reale controllo sociale e legale (soprattutto in sede locale) sono stati previsti affinché il triste spettacolo di corruzione, clientelismo, familismo, collusione che ogni giorno possiamo vedere venga fatto cessare?

Restando alla politica vista dal basso e da “fuori Roma”, possiamo dire che quando potremo vedere un consigliere comunale fortemente ripreso da un prefetto per le costanti assenze in termini di doveri di rappresentanza o un sindaco essere chiamato a rispondere personalmente per gli inadempimenti della amministrazione “comandata”, per carenze democratiche, così come per omissioni rispetto alle sempre più precarie condizioni di vita, sanitarie e di sicurezza in cui in le comunità locali spesso versano, allora potremmo dire che il voto conta e serve per cambiare in meglio le cose, mantenere condizioni minime di qualità della vita nonché la democrazia repubblicana, una forma di governo del Paese che pare essere poco compresa dagli attuali ceti dirigenti e sempre meno praticata.

Nel frattempo chi scrive, stanco di legittimare persone di poca sostanza e scarso senso dello Stato, nonché totalmente inconsapevoli delle funzioni e vincoli della rappresentanza politica, si asterrà più che consapevolmente e con lucidità dal voto.

MB

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