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E sulla legge elettorale Alfano ha ucciso Berlusconi


Il Segretario designato, il delfino, l’erede. In due parole, Angelino Alfano. Non è passato neppure un anno da quando, dopo il disastro delle Amministrative in cui il PdL riuscì a perdere perfino Milano e a lasciare alla sinistra Napoli dopo il decennio degli orrori jervoliniani, Silvio Berlusconi in persona unse il capo del giovane ministro della Giustizia. Subito Angelino fece capire di essere il nuovo, di voler svecchiare il vecchio partito stalinista altrimenti detto della Libertà. Andava da Vespa con l’iPad, sfogliava la Costituzione sull’iPhone.

Tecnologico, aperto ai social network, parlava di congressi e primarie. Ma la vecchia guardia non è morta, e anzi, da dietro le quinte si è mossa in maniera ancora più deleteria. I Verdini e i La Russa, i Bondi e i Cicchitto non si sono messi da parte. Gli arnesi della vecchia politica hanno resistito al lungo inverno, e dalle segrete stanze comandano ancora. E così a rimetterci è stato pure Angelino, che in questi mesi ha fatto di tutto per far capire al mondo che politicamente non vale niente. Meno di zero.

Ieri, con il vertice della nuova maggioranza, la Triplice Intesa (o Santa Alleanza) formata dal trittico dei miracoli Bersani-Casini-Alfano, è stata certificata definitivamente ed eternamente la morte del ventennio berlusconiano. Sepolto il maggioritario, ucciso il principio che i governi se li scelgono gli elettori prima del voto, e non dopo. Alfano è riuscito nell’impresa di far resuscitare gli anni bui e tragici della Democrazia Cristiana, responsabile dello sfascio in cui si trova il paese.

Ora, grazie all’accordo firmato ieri, andremo alle urne senza sapere chi ci governerà, chi sarà il candidato premier, quali sono le coalizioni in campo. Molto più semplicemente, una volta resi noti i risultati elettorali, assisteremo a vertici notturni e segreti (in stile carbonaro e/o massone) nei sotterranei di qualche palazzo romano.

E magari saremo aggiornati sulla composizione del governo da qualche twitter di Casini o da sporadici pizzini inviati da chissà chi. Magari uno va a votare il Pd, pensando che poi Bersani diventi premier in caso di vittoria, e infine si trova a Palazzo Chigi Buttiglione. In nome dell’unità nazionale e di altre stupidaggini simili.

Alfano, leader del più grande partito italiano si è piegato, come un cagnolino, al leader dell’Udc, che evidentemente aveva da tempo capito la pochezza politica dell’Angelino ridente. Casini ha fatto bingo, e lo sa. Ora sarà lui, con lo scudo crociato redivivo, a tessere trame e intrighi, a essere sempre al centro della partita. E’ ovvio che nessuno potrà più sognare di governare senza le Binetti e i Volontè, senza le padelle di Gabriella Carlucci e le perle di saggezza di Buttiglione.

E la colpa di tutto questo è del delfino designato e incoronato, di colui che avrebbe dovuto combattere la buona battaglia per la modernizzazione di questo Paese, per salvarne l’assetto bipolare, e che invece si è consegnato agli avversari di un’intera era politica.

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