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Home page > Tempo Libero > Cinema > È stata la mano di dio

È stata la mano di dio

E' stata la mano di dio, un dio qualsiasi, pagano, più utile alla nostra vita e alla nostra memoria di paese italiano, a regalarci un regista come Sorrentino, gli sia dolce il prossimo Oscar al miglior film internazionale che confermerebbe il suo precedente e tutti gli altri premi già raccolti in una vita ancor giovane di 50enne. 

Questo è tra i suoi film quello più direttamente autobiografico, è lui stesso il ragazzo protagonista e sognatore che osserva tanto, che da grande vuol fare il regista andandosene a Roma, dopo aver tratto dalla sua Napoli la maggior parte delle storie, dei modi e dei personaggi: figure quasi mitologiche, a volte mostruose, esagerate, sicuramente irridenti o irrise dalla realtà che le circonda. “Oneste a livello interiore” dice Servillo/Schisa, l'amato papà del ragazzo e con lui spettatore o autore di scherzi atroci a danno della varia umanità che vive o sopravvive, magari aspettando di fare la comparsa per un film di Fellini o altri registi che da quella città sempre hanno tratto figure e dicerie. Sarebbe per la massa ignota un passettino verso la notorietà.

A questa varia umanità, a questa città, si avvicina ad inizio film dal mare il rumore assordante del rotore di un elicottero, che sembra voglia perlustrarla, ma poi quel fragore si trasforma in silenzio e ci dà una panoramica semovente della città, la Napoli chiacchierona e i suoi abitanti con le loro vite variegate. Sorrentino ci trascina nel suo “brodo caldo”, nella vita delle persone, ci intrattiene, ci affascina o sorprende. Non può non far parte del suo racconto il monachiello che predice una gravidanza alla zia Patrizia - destinataria dei sogni di amplessi del 17enne Fabietto - una giovane moglie bella, libera e disallineata da internare - e come non pensare, per similitudine, alla “santa” suor Maria 104enne che saliva la “scala santa” a Roma, o al santone che distribuiva botulino a 700€ al colpo ne La grande bellezza. Eppoi la (apparente) pazza di questo film, con la pelliccia in estate, libera di “vafangulizzare” e lanciare improperi nostrani agli irriverenti. E la baronessa che col pretesto del pipistrello da cacciare si assume il compito di iniziare al sesso Fabietto, che per eccitarsi introducendosi nella stagionata “superfessa” baronile (o spaccatura?) pensa alle fattezze di zia Patrizia.

Dice il regista che dalla tristezza per la morte dei suoi genitori nella casa di Roccaraso, avvenuta ad opera del monossido di carbonio, reso più drammatico dal non poter vedere il corpo dei suoi, spera di aver fatto un'opera che diverta. Lui evitò la gita per via di un incontro Empoli-Napoli impreziosito dalla presenza di Maradona. Era stato proprio il suo papà, impiegato del Banco di Napoli, ad annunciargli che il mito era stato ingaggiato con una fidejussione di 13 miliardi di lire concessa al presidente della squadra partenopea Ferlaino, notoriamente a corto di denaro. Evviva!!!, altra occasione di festa collettiva o miracolo, come la liquefazione del sangue di San Gennaro.

Il regista-sceneggiatore fà chiedere a Fabietto, dal dissacrante e provocatorio critico di recitazione nel finale, che devi far cinema solo se A tieni na cosa da raccontare?, che il cinema è preferibile a certe realtà, quando la vita vera non è molto bella.

Ma in fondo la vita è sogno, il cinema è sogno, ergo la vita è un film. Pieno di suggestioni come i film di Sorrentino. E, lo canta Pino Daniele in coda, Napule è mille culure.

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