Dove sono finiti i rifiuti tossici della Campania? Nei cibi che mangiamo
Ci hanno raccontato che i rifiuti non ci sono più nelle strade della Campania. Ci hanno detto che era tutto finito. Un anno dopo siamo andati ad osservare e abbiamo scoperto balle piene di rifiuti urbani e rifiuti tossici galleggiare nell’acqua. Abbiamo visto la spazzatura delle discariche riversarsi nei canali e nei fiumiciattoli dei campi adiacenti.
In quei campi si coltivano l’olio, il grano e i pomodori che finiscono quotidianamente sulle tavole di milioni di italiani.
Lo smaltimento di rifiuti tossici mescolati alla spazzatura normale è stato reso possibile grazie ad un decreto legge della Presidenza del Consiglio.
Napoli, Italia - 2009. L’emergenza nascosta.
Qui l’intero fotoreportage.
È il 18 Luglio 2008, a Napoli fa caldo. Molto caldo. La città è ancora in stato di shock: da sei mesi la capitale del sud è asserragliata dai rifiuti.
L’origine della crisi è datata 1994 quando per la prima volta fu istituito il Commissariato per l’emergenza Rifiuti in Campania. Da allora si sono succeduti undici commissari straordinari, due Presidenti di Regione, cinque Presidenti del Consiglio e un fiume di denaro pubblico.
E’ il 18 Luglio, nel Palazzo della Prefettura di Napoli Silvio Berlusconi presiede l’undicesimo Consiglio dei Ministri. Sono passati 58 giorni dal suo insediamento eppure il Premier, accompagnato dal nuovo Commissario all’emergenza rifiuti Guido Bertolaso - che aveva già ricoperto lo stesso incarico dal 10 Ottobre 2006 al 6 Luglio 2007 –, dalla Ministra Prestigiacomo e dal Ministro La Russa, entra trionfante in conferenza stampa. Tutti i giornalisti accreditati, con l’esclusione di soli due – un giornalista de Il Napoli e uno del Manifesto -, si levano in piedi per applaudire al “miracolo”: la "munnezza" non c’è più.
Il Presidente del Consiglio è gongolante e annuncia che “abbiamo concluso prima del termine previsto per fine luglio”.
A quel punto la domanda sarebbe stata d’obbligo: "Presidente dove sono finite le 52mila tonnellate che inondavano le discariche di Napoli?" "Dove sono finite le due mila tonnellate di rifiuti pericolosi che, per sua stessa ammissione, erano in strada e necessitavano trattamenti particolari?"
La domanda ce la siamo posta noi, siamo andati nelle discariche di Chiaiano e Ferrandelle e abbiamo ripreso in mano le decretazioni d’urgenza.
Abbiamo scoperto che i rifiuti tossici sono smaltiti insieme ai rifiuti normali grazie alla decretazione d’urgenza e le ecoballe che le contengono si stanno degradando accanto a terreni coltivati.
Quali sostanze corrispondono ai suddetti codici?
CER 19.01.11: Ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose
CER 19.01.13: Ceneri leggere, contenenti sostanze pericolose
CER 19.02.05: Fanghi prodotti da trattamenti chimico-fisici, contenenti sostanze pericolose
CER 19.12.11: Altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose
In sostanza con il decreto si è autorizzata la possibilità per tutte le aziende campane che operano nel settore metallurgico, delle ceramiche, del legno e della concia di smaltire i propri rifiuti nei normali cassonetti.
Le aziende conciarie sono, spesso, diretta emanazione dei clan della camorra, soprattutto dell’Alleanza di Secondigliano. La camorra ringrazia.
Il decreto consente, inoltre, alle aziende che operano nell’edilizia – settore portante dell’economia cammorristica – di smaltire i residui nelle discariche pubbliche. La camorra ringrazia.
Ci troviamo, quindi, dinanzi ad una deregoulation che ha favorito l’attività dei clan e mettendoli al riparo anche dal reato di smaltimento illegale dei rifiuti.
Il territorio campano è, per l’ennessima volta, violentato. Ferito a morte dagli stessi politici che gridano alla tutela della cittadinanza.
Ma dove sono finiti quei rifiuti? L’emergenza è davvero finita?
Un anno dopo siamo andati in una delle discariche individuate attraverso la decretazione d’urgenza: Ferrandelle. Il Governo ha individuato sette siti campani atti allo smaltimento dei rifiuti: uno a Napoli (Chiaiano), uno a Salerno (Serre), tre in provincia d’Avellino (Sant’Arcangelo Trimonte, Savignano Irpino e Andretta) e due in provincia di Caserta (Ferrandelle e Cava Mastroianni). La discarica di Ferrandelle/Santa Maria la Fossa è la più grande ed quella destinata ad accogliere la maggior parte dei rifiuti. Proprio qui, nella più grande centro di produzione agricola della Campania, in un territorio già martoriato dai casalesi, il governo decide di scaricare i rifiuti che nessuno vuole più.
La prima tappa è una piccola discarica ai bordi della strada provinciale, una discarica che era lì prima dell’emergenza rifiuti e che ora è completamente piena. Ci fermiamo accanto a degli immigrati del Burkina Faso che raccolgono frutta in un campo confinante. Chiediamo cosa stanno raccogliendo, cosa ci fanno lì. Dopo i primi minuti il nostro interlocutore si scioglie e ci dice: “Sono stato licenziato. Al nord facevo l’operaio. Poi è arrivata la crisi e mi sono ritrovato senza lavoro”. Ci fermiamo a lungo, li guardiamo ripetere i movimenti, sempre uguali, al ritmo di musica: “E’ bella, è la musica del nostro paese". Scattiamo qualche foto e dopo esserci salutati ripartiamo con una musica più "local
Vista da qui, quella piccola discarica sembra perfetta, non un bottiglia di plastica fuori posto, non un foglio che vola via. Il campo dove lavora il nostro amico non sembra a rischio. Sono le angolature che le telecamere e le macchine fotografiche prediligono. Ma per capire l’emergenza rifiuti bisogna andare un po’ più in là: a Ferrandelle/Santa Maria la Fossa.
Alla discarica si giunge agevolmente ma se si vuole vederla più da vicino basta percorrere stradine di campagna a piedi o in macchina per trovarsi a pochi metri dai rifiuti.
Giunti a Santa Maria la Fossa ci incamminiamo verso l’entrata principale. Siamo subito avvicinati da due uomini senza segni di riconoscimento che ci “invitano” ad andare prima che arrivino i “mlari”. Nessuno dei tre campani presenti in macchina capisce cosa ci volessero dire, poi si accende la lampadina nelle nostre teste: “i militari”. Gettiamo un occhio fuori e non vediamo macchine della polizia o dei carabinieri arrivare, ma capiamo che forse è meglio cambiare "punto d’osservazione". La decretazione d’urgenza ha stabilito che le discariche sono siti di interesse strategico militare, chi entra rischia una reclusione fino a cinque anni.
Aggiriamo la discarica e ci troviamo a pochi metri dalle recinzioni. Davanti a noi, accanto ai cartelli che ci informano che quella montagna di rfiuti è un sito militare, cumuli di eternit e spazzatura abbandonati illegalmente.
E per completare la visione, tra l’eternit illegale e la munnezza legalizzata corre un fiumiciattolo che porta acqua alle coltivazioni intorno. Mentre scattiamo le foto si avvicina un agricoltore della zona, gli chiediamo cosa coltivi, lui ci spiega che si tratta d’olio e fieramente ci dice che è anche usato dalle grandi imprese, ma appena finisce di risponderci vede la macchina fotografica che cercavamo di nascondere e ci dà le spalle scomparendo tra le piante.
Olio misto ad eternit e fanghi chimici pronto per essere imbottigliato e mangiato dagli italiani.
Pensiamo di aver visto tutto e invece decidiamo di proseguire alle spalle della discarica di Ferrandelle. Santa Maria la Fossa e Ferrandelle sono separate da meno di 500 metri. Come il Vesuvio e il monte Somma, così, queste due sommità di spazzatura si guardano da vicino, si scrutano.
Un via vai di camion ci incuriosisce e notiamo che stanno costruendo una strada che dovrà congiungere la due “montagne”. Vorremmo vedere i piani originali e capire se era previsto che le due aree fossero riunite in un unico sito ma quando chiediamo i documenti ci viene risposto che "è un sito d’interesse militare".
Decidiamo di incamminarci ancora di pìù, passando attravero campi di pomodori e canali di irrigazione. Giunti più vicini la scoperta più sconvolgente: cumuli di ecoballe lasciati a marcire al sole. Fa caldo, molto caldo. La puzza è fortissima. Si propaga, si attacca alle narici, entra nei polmoni e non se ne va.
Notiamo una delle vasche di raccolta rifiuti completamente piena d’acqua con un canale di scolo che riversa nel terreno e i rifiuti che galleggiano nell’acqua.
Guardiamo questi enormi cumuli di ecoballe completamente aperte, con la spazzatura in bella mostra che fuoriesce e cade nell’acqua. Quelle ecoballe non potranno mai essere bruciate dall’inceneritore di Acerra – altra opera completata tra squilli di tromba e annunci ma sulla quale restano molti dubbi – e saranno abbandonate lì per anni fino a essere riassorbite dal terreno.
Guardando tutta quell’acqua mi sono ricordato che è circa un mese che non piove, ma l’acqua è ancora tutta lì. Mi chiedo cosa succederà a ottobre e novembre quando le piogge torrenziali paralizzano il Sud.
L’acqua è scesa nel terreno come si può notare dall’angolo in basso a sinistra e non si è ancora riassorbita.
Ecco dov’è finita l’emergenza rifiuti: nelle campagne, nei cibi, con l’aggiunta legale di sostanze tossiche.
Le 52.000 tonnellate sono tutte qui. Come una montagna maleodorante e nociva. Ma sono, anche, disperse lungo le strade dei paesi di provincia, nei luoghi in cui gli occhi delle telecamere hanno poca voglia di arrivare.
Chi ne parlerà? Quale giornalista? Quelli che erano a Napoli ad applaudire al miracolo?
Così mentre rientriamo avvistiamo un fuoco, uno dei tanti. Decidiamo di sterzare un’ultima volta e correre dietro la colonna di fumo. Le persone cercano di spegnerlo, chiediamo chi è stato ad appiccare il fuoco. Nessuno parla. Tutti in silenzio, muti davanti a cumuli di eternit che bruciano, con i bambini fermi a guardare lo spettacolo delle fiamme. Bambini che non sanno, non capiscono che i loro polmoni si riempiono di sostanze cancerogene. Chiedo se hanno chiamato i vigili: nessuna risposta.
Facciamo le ultime foto, sta calando il sole, andiamo via… Ho visto tanto. Troppo. In un anno ho visto Chiaiano e Ferrandelle, i cumuli di munnezza e il puzzo delle discariche. Mi sento preso in giro, come davanti a un trucco di David Copperfield che pretende di essere vero. Un trucco di magia che ci hanno raccontato essere verità.
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