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Dopo le elezioni il diluvio. Oppure no

Che ora la poltrona scomoda sia quella dei Cinquestelle è ovvio.

D'altra parte un anno di governo sta lì a dimostrare che lo era anche prima: Salvini dettava l’agenda, guidava il governo e ogni Ministero che gli capitasse a tiro e, nonostante avesse la metà dei parlamentari, cresceva nei sondaggi giorno dopo giorno. Quindi la poltrona doveva bruciare già da tempo le nobili terga dei Pentastellati, solo che ora ne abbiamo la conferma ufficiale sancita dal risultato delle urne.

Lui ha raddoppiato il voto e loro l’hanno dimezzato. Dura lex sed lex. Ma con questo non si deve dimenticare che le elezioni europee non sono quelle italiane, e che quindi i deputati nel nostro parlamento sono esattamente quelli decisi dal voto del 4 marzo.

Cambiano però i rapporti di forza e l’assetto psicologico dei due leader contrapposti: uno vola con il pensiero sulle ali dorate, l’altro si sente sulla graticola: del governo (dove vorrebbe reclamare pari dignità di comando, sapendo che non lo può più fare), degli elettori (che l’hanno mandato in massa a quel paese nel più classico dei VaffaDay), dei compagni di movimento (che mugugnano poco, come da prassi consolidata dove si è usi a obbedir tacendo, ma che ovviamente fra sé e sé mugugnano un sacco e quando il rumore si fa forte comincia a sentirsi anche da fuori) e magari anche sulla graticola dei datori di lavoro della Casaleggio & Co.

Ora cosa farà Gigino il Sorridente? Potrà fare davvero poco: se si impunta, rivendicando la propria identità con l’astiosa acredine di chi di identità ne ha poca, rischia di trovarsi con il governo abbattuto da un diktat del capo leghista e buttato in mutande in una campagna elettorale di merda, sangue e lacrime, con poche cartucce e armi spuntate.

Se non si impunta abbastanza si trova sotto processo nel giro di poco dalla fronda interna al Movimento che, come dimostrò la diatriba velenosa Lombardi-Raggi a Roma, può essere davvero cattiva. E rischiare perciò la fine molto prematura della sua folgorante carriera politica: chi si piglierebbe più un dimaio defenestrato?

Ma nemmeno la poltrona di Matteo Salvini è davvero così comoda come si potrebbe dedurre dalla vittoria travolgente. È anche lui lacerato dalla tentazione di mandare a gambe all’aria gli alleati di governo e andare a nuove elezioni, confidando in un nuovo successo grigio-nero con (forse) qualche sfumatura di azzurro berlusconiano, in modo da liberarsi dalle spese “inutili” (dal punto di vista del suo elettorato di riferimento) volute dai grillini e invise a rigoristi dello spread, salvando così i suoi temi preferiti (flat tax in testa) senza far saltare del tutto l’economia del paese.

Però è molto attirato anche dall’idea di tenere buoni i Cinquestelle, sotto l’ala del governo e quindi sotto controllo, dandogli qualche innocuo contentuccio – tanto anche loro sanno che non possono tirare la corda o si rompe tutto – per tenerli lontani da un possibile campo avverso, tentati dall'idea di mettersi a fare l'opposizione, dove ora vivacchia, solitario e sperduto, il solo Partito Democratico che ha sì arrestato l’emorragia da esito fatale, ma non ha certo imboccato la via della guarigione dal renzismo (o dell'antirenzismo, a scelta). In sintesi, è - come sempre - in mezzo al guado.

E questa è la terza poltrona scomoda: il trepido Zingaretti ancora non ha spiccicato una parola di contenuto, limitandosi a un modesto intervento di sostegno che impedisse alla casa di crollare in millemila rottami. Oltre ad aver fermato, come si è detto, l’emorragia non si può certo dire che abbia impostato ancora niente di minimamente credibile per il futuro.

Il che non è strano: se accenna a una possibile liaison con i 5stelle, nel per ora vano tentativo di spaccare l’asse giallo-verde e di attirarli a sé per costruire un'opposizione numericamente sensata, rischia di trovarsi il partito lacerato dai renziani nel giro di poco. Ed è una lacerazione che non osa affrontare perché di rumors sulle velleità indipendentiste di Renzi se ne sono sentiti tanti (confermati dal suo commento freddino sul risultato elettorale).

D’altra parte se non accenna ad alleanze future, almeno ipotetiche, si trova senza alcuna proposta strategica da giocarsi, se non quella di stare sulla sedia appoggiata alla parete sapendo di essere il più insignificante della sala e destinato quindi a fare da comparsa per il resto della sua infelice vita da zitella.

Poi c’è anche la poltrona-fantasma, quella appunto di Matteo Renzi, ex (?) deus ex machina del Partito Democratico, che non si vede ma c’è, che c’è ma non si vede e di cui però si sa che, in Parlamento ha forze cospicue e compatte. Cosa starà tramando non si sa, ma non è tipo da stare fermo senza tramare, quindi qualcosa starà tramando: aspetta l’occasione buona per dire a Zingaretti di “stare sereno” e, immediatamente dopo, riprendersi il partito o forse sta progettando davvero un partito tutto suo? 

Un partito nuovo, creato a sua immagine e somiglianza, capace di pescare voti e simpatie nell’elettorato democratico, dove i suoi supporters non sono pochi - soprattutto nell’ex area margheritina e democristiana - ma capace anche di attirare quello sperduto mondo liberal e liberale, dell'intelligencija illuminista cui non dispiace affatto un’idea di grandeur à la Macron, che Renzi sperava di costruire, fiero del suo 40%, prima dell’esito sciagurato (per lui) del referendum costituzionale del 2016.

Un progetto capace anche, d'altra parte, di pescare voti nell’area tuttora berlusconiana, ma già pronta a fare le valige in odio al volgare descamisado leghista. Tutto sommato un bacino elettorale che può tranquillamente valere un 10-12% dell’elettorato e che può anche contare, se non gli va a pestare i calli toccandogli i diritti civili, anche su quel 2/4% di poco domabili radicali. Un'area che potrebbe avere un senso nel momento in cui i bollori polarizzati cominceranno a stufare e il clangore delle armature che cozzano avrà davvero rotto le scatole alla buona borghesia produttiva.

Ma anche un'area che Calenda, con il suo progetto di partito liberaldemocratico, gli potrebbe soffiare bruciandolo sul tempo. E Calenda non è tipo da sottomettersi facilmente; un ostacolo serio per l'ego ipertrofico e debordante dell'ex rottamatore simil-rottamato.

L’ultima poltrona scottante è, per motivi facili da capire, composta da tante seggioline, una più scalcagnata e scomoda dell’altra, che da sole si staccano i bracciolini pur di poterli dare in testa alla seggiolina accanto, reclamando a gran voce di essere l’unica seggiolina “giusta” dell’intero panorama politico mondiale.

L’estrema sinistra – forse avevate capito che parlavo di loro – che tra ammucchiamenti deflagranti e convergenze divergenti ha reso impossibile capire a chiunque, benché animato da intenzioni serie, chi sta con chi e chi sta contro chi e se l’alleanza di oggi arriverà a domani o, ancor prima di essere un accordo, è già diventata un disaccordo così viscerale da pensare che l’odio fra l’uno e l’altro superi di gran lunga il vecchio odio di classe o quello antifascista.

Alessandro Gilioli su L’Espresso http://espresso.repubblica.it/attua... ha declamato il de profundis (di nuovo) con parole che non lasciano spazio a fraintendimenti: “suicidio politico della sinistra radicale” per sostanziale incapacità di comunicare con il mondo. Sembra un film dal titolo inquietante, tipo “Ritratto di una schizofrenica”.

Dopo il flop delle politiche 2018, lo straflop delle europee (ampiamente preannunciato da più parti, ma non visto solo da chi vive la realtà come se fosse unicamente il riflesso di proprie convinzioni predigerite) dovrebbe sancire una volta per tutte la conclusione (non si sa se tragica, penosa o solo farsesca) di quel ciclo iniziato 51 anni fa con ben altre speranze e proseguito tra pochi alti e tanti bassi fino al collasso della bertinottiana lista Arcobaleno nel 2008. Da lì in poi oltre dieci anni (!) di vita da zombie e un susseguirsi di ripetute, ridicole pantomime di una vecchia recita parrocchiale, declamate con l'alterigia di un attore shakespeariano del Globe.

Si spera che le tante legittime istanze e bellissime utopie che il socialismo ha regalato al mondo vengano prima o poi raccolte e rilanciate con ben altra intelligenza e fantasia da qualcuno che, ci auguriamo, non abbia mai avuto, non abbia e giuri di non avere in futuro, nulla a che fare con questi residuati bellici di un’altra epoca. Amen.

In conclusione la situazione è troppo liquida per ipotizzare qualcosa, chiunque si agiti sulla sua poltrona, poco o tanto che sia, smuove tutti gli altri in modo non prevedibile; ma qualcosa ovviamente sta per succedere perché questo è un equilibrio instabile.

E il paese attende; attende il mondo economico produttivo e finanziario, che teme uno spread fuori controllo, attende il mondo dei giovani senza lavoro e quello dei non più giovani precari da una vita. Attende il mondo dei lavoratori che sa bene quanto un'altra crisi potrebbe spazzare via il posto di lavoro e stravolgere le loro vite. Attendono le donne che vedono profilarsi all'orizzonte l'ombra scura di un neocattolicesimo tradizionalista, reazionario e intollerante e attendono i figli italianissimi di immigrati che si sentono a rischio in un paese che è il loro, ma che non li riconosce. Attendono i migranti sbarcati in un paese ostile, che li criminalizza a prescindere, anche se non hanno fatto niente di male, nonostante portino in dote gioventù e voglia di costruirsi una vita degna di essere vissuta (cioè ricchezza anche per il paese che ottusamente non gli permette di avere le carte in regola per lavorare).

Tutti attendono quello che accadrà a breve; cosa non si sa. Forse il diluvio o forse no. Nel dubbio portate l'ombrello o costruite un'arca. Una volta funzionò.

Foto: Presidenza della Repubblica/Wikipedia

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