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Home page > Tempo Libero > Cinema > Dogman di Matteo Garrone

Dogman di Matteo Garrone

Può essere banale dirlo ma se un film, questo Dogman di Matteo Garrone ad esempio, tiene incollati alla poltrona per i suoi 102 minuti, coinvolge al punto che uscendo dal cinema si resta un quarto d'ora ancora dentro la vicenda cupa e violenta o ci si bea di non vivere in una periferia di città e di sentimenti come quella che s'è vista, può voler dire che il film è di successo, o almeno che ha raggiunto il suo scopo. Sarà stata la sceneggiatura, sarà il montaggio o l'ambientazione corrispondente alla crudezza della storia, sarà per via di chi l'ha interpretato o della guida del regista. I luoghi – Baia Domizia, Castelvolturno - sono gli stessi di Indivisibili, la cupezza o la marginalità delle condizioni di vita ricordano questo film ed anche Non essere cattivo.

Non è un caso che Marcello Fonte (Marcello, dogman e dogsitter nella recitazione) abbia avuto la Palma a Cannes 2018 per la migliore interpretazione da protagonista; avrebbe meritato un riconoscimento anche il “cattivo” Edoardo Pesce, che ha così bene impersonato lo svitato ex-pugile Simone, il “corpo malato” – da estinguere o almeno appartare – in una comunità che non sta già tanto bene di suo. Il primo è invece un “borghese piccolo piccolo”, separato dalla moglie ma che si prende tanta cura e tanto amore dà alla sua bambina, che sa il modo migliore per fare la toletta ai cani nel suo negozio. In “un pomeriggio di un giorno da cani”, ma l'epilogo si svolge una notte e si esaurisce all'alba, Marcello si ribella a tutto questo. Era sempre vessato da quella creatura violenta, Simone, ne era complice suo malgrado, pur essendone l'unico quasi-amico o che gli usa qualche premura, di fatto un piccolo uomo succube del grosso ragazzone e che si fa un anno di prigione in vece sua.

La realtà però ha superato l'immaginazione: Garrone si è liberamente ispirato ad un fatto di cronaca nera accaduto trent'anni fa, “er canaro della Magliana” Pietro De Negri si liberò dell'ex-pugile Giancarlo Ricci seviziandolo e uccidendolo. Nel film Marcello lo convince ad entrare in una grossa gabbia di cani, ve lo chiude per poi torturarlo e trascinarne il cadavere fuori, in un'alba grigia in cui – incredulo o fuori di sé - vorrebbe mostrare agli altri di aver debellato quel corpo estraneo alla comunità. I cani del negozio hanno assistito dalle loro gabbie silenziosi e forse stralunati, perfino teneri, “all'esplosione della bestialità umana...e la vendetta sarebbe meglio chiamarla liberazione” (parole di Garrone), “e han ragione di pensare che le bestie siamo noi” (ma questo è Celentano).

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