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Diplomazia all’italiana: bombe sulla Libia, pasticcio sulla Palestina

Per avere un'idea del perché l'Italia sia ai margini del panorama internazionale, basta dare un'occhiata a questi due esempi.

Il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militareil generale Giuseppe Bernardis, in un libro intitolato "Missione Libia 2011. Il contributo dell'Aeronautica Militare", svela che i bombardamenti dei caccia italiani sulla Libia sono stati tenuti nascosti per motivi politici. Ora, che i nostri caccia abbiamo colpito il suolo libico non è mai stato un mistero - benché il governo Berlusconi abbia sempre ufficialmente smentito -, ma a distanza di un anno, il generale Bernardis rivela pubblicamente i numeri della missione:

Negli oltre sette mesi di guerra in Libia, dal 19 marzo al 31 ottobre 2011, "è stata fatta un'attività intensissima - racconta - che è stata tenuta per lo più nascosta al padrone vero dell'Aeronautica Militare, che sono gli italiani, per questioni politiche, per esigenze particolari. C'erano dei motivi di opportunità, ci veniva detto, e noi chiaramente non abbiamo voluto rompere questo tabù che ci era stato imposto. Questo è il motivo per cui questo volume esce solo adesso, un anno dopo".
Oggi dunque apprendiamo che velivoli italiani hanno condotto in sette mesi circa 1.900 sortite, per un totale di più di 7.300 ore di volo. Le missioni di bombardamento vero e proprio - autorizzate dal governo Berlusconi il 26 aprile, la prima venne effettuata il 28 nell'area di Misurata - sono state 456, solo considerando quelle di "attacco al suolo contro obiettivi predeterminati" (310) e quelle di "neutralizzazione delle difese aeree nemiche" (146), senza contare gli "attacchi a obiettivi di opportunità", il cui numero è stato minore.
...
Parlando a braccio, il generale è però meno diplomatico e attribuisce questa carenza di informazione ad una precisa volontà politica di "non dire quello che si faceva". "A volte per questioni di politica interna - ha detto Bernardis - si impedisce al Paese di svolgere al meglio il suo ruolo di politica estera e questo non è possibile: non si voleva che si parlasse di questa missione perché c'era una situazione critica di politica interna".

E sempre dei motivi di opportunità imposero al governo di richiedere con insistenza che le operazioni belliche fossero condotte sotto l'ombrello della NATO, causando un duro confronto diplomatico con la Francia, contraria a conferire il mandato all'Alleanza Atlantica. Allora Berlusconi dichiarò di aver ottenuto un successo diplomatico; in realtà si trattò di un copione già visto: il classico ricorso al "vincolo esterno" con cui i vari governi sono soliti annunciare al pubblico le cose politicamente impresentabili. Con la differenza che invece del solito "ce lo chiede l'Europa", l'esecutivo disse: "ce lo chiede la NATO". E poco importava che fossimo stati noi (perdonate il bisticcio di parole) a chiedere di chiedercelo.

Altro capitolo: la Palestina. L'Italia, che dapprima aveva annunciato di astenersi, alla fine ha votato per il sì.
Secondo Europa, la scoperta di un'autonomia forte italiana nell'arena internazionale sta diventando un tratto distintivo di questo governo:

L’Italia, se vuole essere una nazione credibile sul piano economico, e con la quale dunque fare business, deve dimostrare di avere un alto profilo politico riconosciuto. Non più paese “minore” e quasi sotto tutela americana – a distanza di ventitré anni dalla caduta del Muro! – ma attore forte e autonomo, nazione-cerniera tra due sponde del Mediterraneo, come si addice alla sua posizione geografica e alla sua storia. Monti è apparso consapevole, fin dall’inizio del suo mandato, dello stretto nesso che deve esserci tra capacità di fare politica sul piano internazionale, crescita dello status dell’Italia e della sua credibilità, e possibilità di uscire dalla crisi economica, restando nel club delle potenze mondiali.
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In questo quadro va visto il sì italiano all’innalzamento dello status della Palestina all’Onu. Va visto come innanzitutto una prova di forte soggettività italiana, che in molti non si aspettavano. In passato si sono mitizzate le posizioni mediterranee dei Moro, degli Andreotti e dei Craxi, ma nessuno prima di questo governo aveva “osato” tanto, smarcandosi apertamente da Washington e da Tel Aviv. E questo non è avvenuto in ossequio a una scelta “filoaraba”, come sarebbe apparso evidente in passato, ma in virtù di una capacità nuova di usare pienamente la propria forza politica e diplomatica su tutti i fronti, sapendo anche dire no a richieste irricevibili di amici e alleati storici.

Peccato che, per essere credibili, bisogna essere innanzitutto coerenti. Una qualità di cui il nostro Paese sembra non disporre.

Lettera 43 svela questo retroscena:

Poteva essere il momento del riscatto per il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi di Sant'Agata. E, invece, il modo rocambolesco con cui l'Italia ha annunciato sul palcoscenico internazionale il suo sì all'ingresso della Palestina come Stato osservatore alle Nazioni unite è stata la dimostrazione dell'estrema debolezza del suo mandato.
LA POSIZIONE DELL'ASTENSIONE. Il nobile bergamasco, arrivato al ministero nel novembre del 2011 dopo la caduta del governo di Silvio Berlusconi, sosteneva la posizione ambigua dell'astensione, discostando Roma dalla linea non ufficiale dell'Unione europea. Una scelta diplomaticamente debole e strategicamente miope.
Dopo anni di discredito internazionale, infatti, l'Italia sta cercando di guadagnare peso a Bruxelles. E proprio il Medio Oriente trasformato dalla Primavera araba offre l'occasione di cambiare rotta, ottenendo importanti ritorni sul piano geopolitico.
SCAVALCATO DA MONTI. La posizione del ministro era perdente in partenza e ha lasciato poche strade al premier Mario Monti e al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La soluzione – necessaria – è stata presa senza grosse remore: Monti ha chiamato Tel Aviv per annunciare il sì, dopo che lo stesso ambasciatore israeliano a Roma aveva ottenuto tutt'altre rassicurazioni.
Pur nel linguaggio felpato della diplomazia, la lettura è univoca: la Farnesina è stata scavalcata e l'autorevolezza del ministero messa in discussione di fronte al mondo.

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