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Dieci anni dopo Genova, parlando del movimento dei movimenti

Ieri era il 20 luglio. E' stato un giorno normale ma anche particolare questo 20 Luglio, normale perché è una giornata di luglio come tante altre e particolare perché ricorreva il decennale della morte di Carlo Giuliani. L'intento delle mie parole non è quello di entrare nel merito della sua morte ma di parlare dello stato del movimento dei movimenti. Per essere più preciso vorrei parlare dello stato delle persone nel movimento dei movimenti.

Eravamo andati a Genova (o meglio eravate, purtroppo io ero molto giovane, ho scoperto solo anni dopo cosa era successo esattamente e che significato aveva la sfida dei movimenti ai grandi della Terra) seguendo un filo rosso lungo la Storia che opponeva sempre due istanze sociali, gli oppressori e gli oppressi. Nel testo dei WuMing, “Dalle moltitudini d'Europa in marcia contro l'Impero e verso Genova (19-21 luglio 2001)“, che è un esempio molto ben fatto di "mitopoiesi" (riproduzione del mito), questa lettura della storia è diretta ed efficace come un pugno nello stomaco. Il mito in sé è la “narrazione prima”, o se volete la “narrazione ultima”, ovvero la narrazione che contiene in sé l'essenza del progredire stesso dell'umanità, una sorta di narrazione fondante.

I WuMing succesivamente si sono quasi "pentiti” di avere cercato la mitopoiesi e quindi avere artificialmente riprodotto il mito (voglio fare anche notare che ieri i WuMing hanno deciso di far sciopero). Io di certo non gliene faccio una colpa, il movimento nel suo insieme era giovane, pieno di speranze, incazzato ma anche molto naif e forse un po' sprovveduto perché non aveva tutte le visioni di lungo periodo necessarie per attuare una politica funzionale e funzionante contro il modello neo-liberista.

In questi dieci anni però sono successe molte cose, forse addirittura troppe. Perdonatemi se non entro in lunghi elenchi di eventi storici più o meno significativi perché non voglio fare torto a nessuno. Il motto dei new-global a partire dai Seattle e arrivando poi anche a Genova era “un altro mondo è possibile”, non uso il termine noglobal perché essenzialmente non mi appartiene; perché non sono un localista xenofobo e razzista che non vuole contaminarsi con le altre culture e tradizioni. La contaminazione culturale è una costante nella storia dell'Umanità e non vedo perchè proprio oggi che potrebbe rivelarsi meno difficile e più civile dovrei dichiararmi contrario.

Esattamente su questo punto arriva la parola “newglobal” ovvero “nuova globalizzazione” cioè la consapevolezza che il colonialismo culturale, economico e dell'immaginario, che le nostre ricche (materialmente) società occidentali hanno prodotto e riprodotto in varie parti del mondo, era profondamente iniquo, gerarchico, violento e antiecologico (intendo qui la biodiversità delle culture umane con le loro ricchezze e le loro povertà).

Noi - e dico noi perché c'entriamo tutti in questa cosa, essendo noi stessi veicoli di questa data cultura - abbiamo, a volte, donato dei benefici in alcune zone del mondo, ma spesso e volentieri abbiamo promesso la nostra ricchezza per poi portare solo la nostra povertà. Abbiamo sostanzialmente prodotto illusioni che sono poi sfociate in frustrazione e sfruttamento.

Per questo era nato il movimento newglobal, non per dire no alla globalizzazione, che come tutti sappiamo è un fenomeno pressoché inevitabile, ma per dire che questo processo doveva avere come centro l'uomo e la sua unicità, quindi la sua irriducibilità ad un “general equivalent” come il denaro (leggi profitto) che pretende di essere la misura di ogni cosa. L'Uomo (intendo qui la razza umana) non si può misurare col denaro, e chi pensa di poterlo fare non solo sbaglia, ma non si prende sul serio come Uomo ed è miserabile perchè ha fallito in pieno il suo compito: essere Uomo con l'altro Uomo, perché l'Uomo non può essere un mezzo ma solo un fine (che si realizza poi nell'Umanità tutta).

In questi dieci anni molte cose hanno messo in secondo piano il movimento, penso soprattutto all'11 Settembre ed alla svolta securitaria di Stati Uniti ed Europa. Quel determinato sentimento che percepiva e percepisce le ingiustizie come schiaffo all'intera Umanità non si è però addormentato, ma ha continuato a lavorare silente e a testa bassa nelle sue varie cellule locali, mantenendo rapporti e costruendo una rete (importante qui è anche stato il ruolo svolto dai nuovi media, quelli “user generated”) che in vari momenti è stata determinante nel ritrovare una via comune che permettesse di agire sinergicamente, come in una sorta di “ipermovimento”, invece di disperdersi in maniera settaria.

Guardando a questo movimento dei movimenti si può notare che è cresciuto e si è arrichito di persone ed esperienze che dieci anni fa non avrebbero mai potuto né voluto farne parte; queste persone ora sentono che è l'unica cosa giusta da fare. Tutto questo avviene soprattutto perché il modello criticato (il capitalismo) ha mostrato, insieme a quelli che ne riproducono il modello, il suo lato peggiore: ovvero l'inesistenza di altro dal profitto. Questo modello ha dimostrato che le popolazioni, gli ambienti vitali, i saperi, le tradizioni sono per lui semplici mezzi. C'è qualcuno (la Lega Nord, ad esempio) che ha fatto della difesa di questi elementi la sua bandiera, esattamente come hanno fatto i fascismi: dichiarano la propria identità come protettrice degli interessi del popolo contro il nemico invasore e poi svendono anima e principi al capitale nelle sue varie declinazioni.

L'amarezza e la delusione della caduta di un sistema che sembrava potesse arrichirci tutti è chiara ogni giorno di più, ed ogni giorno nuove persone reclamano nuovamente la propria libertà perché sono stufe di delegare ad altri scelte che sono capaci di prendere da sole. La libertà comporta responsabilità, esattamente come i diritti comportano dei doveri. Il nostro compito è quello di lottare per la libertà e per i diritti, essendo innanzitutto consapevoli del fatto che questi non hanno un prezzo, ma di certo non sono gratuiti, perché ci vincolano agli altri. Ma questo vincolo è il più bello che esista, perché è un atto della volontà di stare insieme agli altri. E' un convivere in maniera giusta e solidale, ognuno con la propria individualità all'interno di una collettività. Perché, parafrasando Gilbert Simondon, “il processo di invididuazione è un risultato dell'interazione piuttosto che la sua premessa”.

Questo vuol dire che possiamo essere individui solo nel momento in cui ci mettiamo in relazione con gli altri e non prima della relazione stessa. L'individualità è il risultato di un processo e non la sua premessa. Tutto questo oggi mi è chiaro, e noto che sta diventando chiaro ogni giorno sempre a più persone, la paura è scomparsa e la consapevolezza della propria forza sta arrivando. Maggiore è la relazione con gli altri, maggiore è l'individuazione personale. E il bello di tutto questo è la spontaneità con cui sta succedendo.

Oggi forse piangiamo i nostri morti, ma devo dire che le mie sono lacrime di gioia e c'è un sorriso ad accompagnarmi. Non sogno vendetta né rivalsa, la mia vita è un'interazione creativa col prossimo (con chiunque) che vuole essere positiva. Il tempo delle lamentele è finito, ora bisogna agire con tutta la buona volontà che abbiamo, in tutti gli ambiti specifici delle nostre vite.

Riprendo Nietzsche, aggiungendo un pensiero mio: "Quanto manca alla vetta?"; " Tu sali e non pensarci! " e tutto questo fallo con gioia e determinazione, senza avere paura perché sia davanti che dietro di te c'è qualcuno che sta facendo lo stesso.

La resistenza, da difesa, deve trasformarsi in atto creativo. Altrimenti è inutile e fine a sé stessa. Continuiamo a lottare, perché la lotta è un gioco divertente per definizione. Ma è il gioco dei bambini, vale a dire la cosa più seria del mondo.

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