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Demagogia e semplificazioni: le idee (scarse) degli indignados

Saranno anche indignati e controcorrente, ma se si esclude un manipolo di violenti che vanno considerati solo criminali senza idee, il resto del movimento di protesta di sabato a Roma lascia molto a desiderare sul piano delle proposte e dei contenuti

Diceva Ingrao (non certo un pericoloso reazionario) che “la protesta non basta”

Aveva ampiamente ragione, soprattutto se la qualità della proposta fa acqua da tutte le parti. 

Analizziamo dunque tre principali argomenti del "programma" degli indignados di casa nostra, oltre una cinquantina di sigle tra liceali, studenti universitari, partiti della sinistra radicale e associazioni di ambientalisti: 

1) IL DEFAULT SELETTIVO: Secondo gli indignati il pagamento del debito pubblico e l'obbligo del pareggio di bilancio (che sta per essere inserito in Costituzione) sono dogmi da eliminare. La sospensione del pagamento riguarderebbe solo la parte considerata “illegittima”, cioè contratta dallo Stato con il sistema finanziario “speculativo” di banche, assicurazioni e fondi di investimento, che sarebbero i veri responsabili della crisi economica mondiale. 
 
La parte detenuta dalle famiglie sarebbe invece “salva”. 
Il movimento cita come spunto il presidente dell'Ecuador Rafael Correa, che dopo il suo insediamento dal 2007 ha deciso di sospendere il rimborso dei titoli in scadenza nel 2012 e nel 2030. Un altro esempio illustre e “virtuoso” è quello dell'Argentina, che ha rinegoziato il proprio debito a condizioni migliori riprendendo un percorso di graduale crescita. 
L'ultimo caso è l'Islanda
Il default “pilotato” avrebbe dunque lo scopo di danneggiare il sistema bancario e finanziario per spostare le risorse da investire in beni comuni e sociali. 

CONTRO: E' una proposta assolutamente demagogica, perché la sola ipotesi (equivalente a quella della Grecia) azzererebbe la credibilità dell'Italia sui mercati internazionali e provocherebbe il collasso dell'intero sistema bancario e finanziario, con tragiche ripercussioni sulla situazione economica generale. 

2) FUORI DALL'EURO: Il default programmato dell'Italia avrebbe come logica ed inevitabile conseguenza l'uscita ufficiale dalla Moneta Unica. Questa sarebbe la base per riprogrammare l'impostazione economica e finanziaria della Ue e rilanciare una Unione politica più democratica e fondata sulla partecipazione dei popoli (in maniera coerente con la richiesta di una parte del movimento di un referendum sull'Europa). 
 
A chi fa notare che l'uscita dall'euro comporterebbe una svalutazione della moneta ed il crollo vertiginoso del potere di acquisto dei salari viene ricordato che, al contrario, è stata proprio l'introduzione della moneta unica dieci anni a ridurre il potere di acquisto delle famiglie
 
Uscire dall'euro significherebbe anche smarcarsi dall'autorità della Bce, che insieme all'Fmi vorrebbe scaricare sui cittadini il peso del debito

CONTRO: Sono incalcolabili i danni che graverebbero sull'Italia nel caso di un ritorno alla lira, saremmo al pari della Grecia, destinati ad un lungo e inesorabile declino e finiremmo vittime della speculazione finanziaria del resto del mondo
 
Inoltre si dimentica facilmente che l'euro ha garantito all'Italia un risparmio decisivo sugli interessi del debito
 
Far parte della Unione Europea ha permesso inoltre al nostro paese di ricevere nel corso degli anni cospicui e solidi finanziamenti per importanti progetti di sviluppo infrastrutturali nel Mezzogiorno e nel resto della penisola

3) UN FRENO ALLA FINANZA: La tassazione sulle rendite finanziarie, sotto forma di una rielaborazione della Tobin Tax è oggetto delle attenzioni riformiste del movimento degli indignati. Nulla di nuovo sotto il sole: persino il governo di centro-destra ha rispolverato la proposta di introdurre una sorta di patrimoniale per far cassa, e l'ultima manovra finanziaria di agosto ha aumentato la tassazione sulle plusvalenze di fondi comuni, titoli azionari e obbligazioni bancarie dal 12,5% al 20%, affiancandola ad un pesante incremento del bollo sul dossier titoli al di sopra dei 50.000 euro (penalizzando di fatto migliaia di risparmiatori e creando una concorrenza iniqua con i titoli di stato, la cui aliquota al 12,5% è rimasta invariata). 
 
CONTRO: L'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie soffoca ancora di più una Borsa che in un anno ha perso quasi il 24% e spinge i più lesti a spostare gli investimenti in paesi dove la fiscalità è più conveniente e meno ossessiva. 
 
L'Italia ha bisogno di aziende più solide in grado di ricapitalizzarsi e reinvestire gli utili, di banche più liquide che non stringano i rubinetti del credito e restino al servizio di imprese e famiglie in difficoltà. 
 
L'idea di ritornare all'economia del baratto o di trasformarci nell'unico paese occidentale senza le banche e la finanza (che deve essere regolata e migliorata, non certo smantellata) è semplicemente ridicolo e fuori dal mondo, come gran parte delle idee degli indignati che non getteranno pietre o estintori ma le sparano grosse comunque. 

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