Deficenti (senza -i-) si diventa: ecco come!

Mi pare che nel nostro paese la scuola sia argomento ancora più universale del calcio e persino accenda di più gli animi.
È giusto così del resto, infatti tutti siamo passati attraverso la scuola, tutti abbiamo ricordi più o meno belli di quegli anni fondamentali, perché in quegli anni ci siamo formati una visione del mondo e abbiamo sviluppato delle capacità critiche (più o meno) che ci hanno fatto crescere in un modo piuttosto che in un altro.
Centrale è stata la figura degli insegnanti. Col tempo i più severi, quelli che allora capivamo meno, ci sono parsi i più bravi perché, pretendendo da noi il massimo, ci hanno dato di più.
La scuola e in essa gli insegnanti sono un tassello determinante per la società, lo vado ripetendo come “voce di uno che grida nel deserto” da tempo, lo andiamo ripetendo in molti, tutti inascoltati.
Per questo qualche giorno fa, ascoltando un discorso di Obama, il presidente degli USA, ho avuto un soprassalto e l’irrefrenabile voglia di salire su un aereo (io che ho paura di volare) per andare lì, nella scuola in cui Obama stava tenendo un discorso. Il presidente infatti ha parlato della crisi, dei tagli che riguarderanno tutti i settori, ma non la formazione e la ricerca, non la scuola.
E’ andato oltre ha anche delineato i tipi di sapere che saranno fondamentali nel futuro (e che sono sempre stati fondamentali fin dalla notte dei tempi), cioè: matematica, problem solving e pensiero critico.
A quel punto mi sono accasciata pensando non solo alla scuola (che non è un’isola) ma alla società italiana. Problem solving? Innanzi tutto chi lo sa tradurre? Pensiero critico? Osteggiato fin dalla nascita, perché il maledetto si ostina a sopravvivere. Matematica, matematica, matematica? Ma siamo pazzi? I nuovi indirizzi prevedono la matematica leggera, che ci fa volare via lontano… Nel frattempo la riforma appena può abolisce anche il latino, zavorra pesante d’un tempo glorioso che fu.
Dopo il discorso di Obama ho cercato di riprendermi, ma la mazzata è giunta il 17 febbraio. La notizia è pazzesca. Una professoressa palermitana di lettere a un alunno, che aveva dato del gay al compagno creandogli un bel po’ di problemi, aveva fatto scrivere per 100 volte io sono deficiente…
L’allievo, dimostrando di essere maturo per quel genere di esercizio, aveva sempre scritto io sono deficente… e lo era poverello quanto meno deficeva di una –i-.
Ma il padre, che deficeva di molto altro, ha insultato la professoressa e l’ha citata in giudizio. Il processo è finito con una condanna... per la professoressa (ora in pensione). Le hanno comminato un mese di reclusione (pena sospesa). E dunque: cosa avrà imparato il fanciullo? Che può traumatizzare i compagni e che può portare in tribunale e in carcere i professori. E il padre? Il padre mi fa pena perché, se il figlio cresce così, passerà la sua vecchiaia in un ricovero dei più miserandi. E i giudici? La legge è legge capisco, ma aumentare addirittura la pena richiesta dai pm? Avranno avuto a scuola esperienze drammatiche.
E dunque propongo per tutti una sorta di richiamo non alle armi ma tra i banchi di scuola: una settimana davanti a classi di 34/35 ragazzini scalmanati e alla fine un colloquio coi genitori.
Non so quanti potrebbero poi dire: “Sono sopravvissuto!”.
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