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Debito pubblico e crescita economica. La chiave è nel Mezzogiorno

Nel dicembre scorso l'ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, intervenendo ad un convegno, ha riproposto il ricorso ad un' imposta patrimoniale.
 
"L'Italia dice di non aver bisogno di essere garantita, ed è vero perché ha un alto risparmio pubblico ed un basso debito privato. Cosa vuol dire? Che in qualche modo l'Italia è in grado di pagarsi il debito, c'è liquidità. E perché non comincia a ripagarlo, visto che ha tutto questo risparmio privato e così poco debito privato? L'Istat ha detto che il nostro debito totale ammonta a circa 30.000 euro per italiano. Non è così gigantesco. Un terzo di questo debito abbattuto metterebbe l'Italia in una zona di assoluta sicurezza. Potrebbe arrivare a circa l'80 per cento del Pil. Un terzo significa, probabilmente, imporre ad un terzo degli italiani, teoricamente, di pagare un terzo dei 30.000. E' così spaventoso spalmare, tra chi ha di più rispetto a chi ha di meno, 10.000 euro per risolvere un problema che così grave?"
 
La proposta presta il fianco a numerose critiche. Si tratterebbe di una misura incostituzionale, andando a colpire il risparmio. Mentre la Costituzione impone alla Repubblica non solo di tutelarlo, ma di incoraggiarlo (art.47).
 
Una eventuale imposta patrimoniale contribuirebbe, inoltre, a creare un clima sfavorevole all' emersione delle fonti di reddito, dei redditi e dei risparmi stessi. Ma soprattutto tale proposta sembra derivare dalla errata convinzione che un incremento della spesa pubblica, ora precluso dall' ingente ammontare del debito, rappresenti la soluzione migliore per rimettere in moto lo sviluppo.
 
In una recentissima lettera al Corriere della Sera il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, pressato dai noti eventi, suggerisce una prospettiva alternativa.
 
Berlusconi delinea "un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani".
 
Dichiara inoltre: "Prima di mettere sui ceti medi un’imposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, un’imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta".
 
Il programma prospettato va nella direzione giusta, puntando ad un aumento della produzione di ricchezza vero, non ad una redistribuzione inefficiente della ricchezza già esistente, mascherata da crescita. Ma richiede ulteriori coraggiosi sviluppi.
 
Il grosso problema dell' Italia è costituito dal suo Mezzogiorno. Lì la spesa pubblica è di peggiore qualità e più improduttiva. Ma soprattutto lì, in proporzione, il contributo alla produzione nazionale dei giovani, delle donne e delle imprese è minore. Un forte aumento della base impositiva meridionale determinerebbe una svolta virtuosa del debito pubblico nazionale.
 
Pare ragionevole prevedere che una rigorosa repressione della criminalità organizzata associata ad ampie ed intense misure di liberalizzazione e defiscalizzazione possano mettere finalmente in moto un processo di sviluppo sano e duraturo.
 
Ma l' intervento deve essere coraggioso, mirato e capace di incidere sui tanti fattori rilevanti. Non si deve esitare a sganciare completamente gli accordi sindacali aziendali dai contratti collettivi nazionali, prevedendo anche la possibilità di retribuzioni più basse.
 
Gli incentivi fiscali devono essere applicati agli investimenti privilegiando la riduzione delle imposte sui redditi da nuovo lavoro e da nuove imprese. Si deve cioè premiare non ogni iniziativa, ma le iniziative imprenditoriali realmente vitali e capaci di produrre lavoro e ricchezza.
 
Particolarmente importante è incentivare l' accesso al lavoro e all' impresa di giovani e donne. Obiettivo da raggiungere senza nuova spesa pubblica, ma agendo particolarmente sulle clausole contrattuali e sulle retribuzioni di ingresso.
 
Si tratta di assumere un atteggiamento spregiudicato, che fronteggi con il massimo realismo le nuove difficoltà create dalla globalizzazione. Consapevoli che un aumento delle retribuzioni potrà arrivare esclusivamente da un incremento della produttività delle imprese e dell' efficienza del sistema, da un più alto livello di innovazione e da un aumento della qualità dei prodotti e dei servizi.
 
E' una terapia dura, capace di produrre molte legittime resistenze. Sappiamo inoltre quanto i politici in democrazia sono preoccupati di ottenere consensi, senza i quali non si governa. Ma sono le circostanze stesse ad imporre lungimiranza e medicine amare.
 
 
 
 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.186) 2 febbraio 2011 18:38
    • Non si deve esitare a sganciare completamente gli accordi sindacali aziendali dai contratti collettivi nazionali, prevedendo anche la possibilità di retribuzioni più basse.
    In questo modo, alla fine chi ci rimette di più, è sempre quello che ha di meno!
    Non mi sembra granchè.
  • Di geronimo54 (---.---.---.12) 2 febbraio 2011 21:29
    geronimo54

    Non si capisce perché le medicine amare debbano ingoiarle sempre gli stessi!Tu dici che quanto preannunciato dal nostro (purtroppo) presidente del consiglio va nella direzione giusta, ma quale insuperabile ostacolo rappresenta l’art.41 della Costituzione? Forse perché dispone che l’iniziativa privata (che è libera) non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana? o perché prevede che la legge determini i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali? Francamente non mi sembra una palla al piede per nessun imprenditore serio.
    Per quello che riguarda poi l’affermazione che il problema dell’Italia sia il mezzogiorno, io ribalterei i termini: non sarà, per caso, che il problema del mezzogiorno sia l’Italia? Quello che tu dici è vero, che cioè lì la spesa è di peggiore qualità e più improduttiva, ma io ti domando: perchè lo stato per il meridione fa meno e quel meno lo fa anche peggio? Forse perché da 150 anni si cerca di fare del mezzogiorno solo un mercato dove vendere le merci prodotte al nord.
    Si è preferito, negli anni, elargire pensioni di invalidità (utilizzandole nel voto di scambio e portando ad una crescita della spesa pubblica), magari "indennizzare", purché quelle regioni se ne stessero buone e non realizzassero quello che era nelle loro potenzialità. Non è un caso se gli anni in cui è cresciuta di più l’economia meridionale sono quelli successivi alla chiusura della Cassa per il Mezzogiorno. Ma la "svolta virtuosa" non può venire dalle liberalizzazioni e, meno che mai, dalla defiscalizzazione per la quale manca la copertura finanziaria.
    Non credo che quello che tu auspichi per il meridione sia realizzabile da questo governo in cui c’è una parte politica che rema solo verso il suo porto e, se ti ha scandalizzato la proposta di Giuliano Amato su una imposta patrimoniale, ti consiglio di leggerti la bozza sul federalismo fiscale che è in discussione in questi giorni: potresti scoprire per esempio come ci si appresta a dare, per il tramite dei comuni, un ulteriore colpo ad imprenditori ed artigiani.

    Quel signore che aveva promesso che non avrebbe mai messo le mani nelle tasche degli italiani, in questi ultimi due anni ha già fatto lievitare la pressione fiscale a livelli da record.... E non è finita qui!

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