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Dal tiranno del Golfo gioielli sporchi di sangue ai reali inglesi

Quando i membri della famiglia reale inglese si recano in visita nelle monarchie del Golfo ne ripartono più ricchi. I monarchi dell’area, che devono alla Corona britannica l’origine stessa del loro potere, consegnato loro dopo la de-colonizzazione, li colmano di regali preziosi.

In particolare, essendo uomini generosi e galanti, regalano gioielli costosissimi alle signore, anche se non disdegnano la consegna di preziosi orologi e altre amenità ai maschi della famiglia reale.

Regali sporchi di sangue e pagati con le risorse pubbliche, delle quali dispongono senza alcun controllo o ritegno, e che finiscono esentasse nei patrimoni personali dei mebri della corte britannica che, a differenza dei membri dell’esecutivo, non hanno l’obbligo di denunciarli pubblicamente e di versare alle casse dello stato il loro controvalore, qualora vogliano conservarli.

È accaduto anche di recente con la vista del principe Edward e della sua consorte Sophie, contessa di Wessex (nella foto), in Bahrain, durante la quale hanno ricevuto due set di preziosi gioielli, un orologio, una penna preziosa e altre cosucce. Doni del sovrano e del primo ministro Khalifa bin Salman al Khalifa, l’unico primo ministro che il paese abbia mai avuto, bersaglio principale delle proteste scoppiate nel paese, anche per la rampante e plateale corruzione del suo governo, che dal 2000 ha pure aumentato di cinquanta volte l’appannaggio della famiglia reale. Il primo ministro si è già dimesso sei (o sette) volte, una anche poche settimane fa, ma è ancora lì.

Un’usanza tipica di quei paesi, nel 2007 ad esempio la duchessa di Cornovaglia ricevette gioelli valutati due milioni di sterline dal sovrano saudita, e che alla luce della sanguinosa repressione in Bahrein rende regali del genere ancora più imbarazzanti e moralmente ingiustificabili.

Una repressione che nel piccolo regno ha provocato una cinquantina di omicidi e l’arresto e la tortura di altre tremila persone, oltre a quelli che hanno perso il lavoro per aver simpatizzato con la protesta e ai medici condannati a lunghe pene detentive per aver curato i feriti che affuivano negli ospedali, giungendo persino a demolire il monumento-simbolo del paese perché “profanato” dalla presenza dei dimostranti. Una repressione operata ricorrendo all’aiuto di truppe saudite e poliziotti degli emirati vicini.

Ma la popolazione non demorde e il regime neppure, ha finito i gas lacrimogeni di fabbricazione americana, poi quelli brasiliani e ora ne usa di anonimi, per evitare polemiche ai fornitori. E li usa con grande abbondanza, mentre la polizia usa anche le molotov contro le case e i beni dei quartieri meno schierati con il re.

Il quale, sommerso dalle critiche provenienti dai paesi anglosassoni, ha istitituito una commissione d’inchiesta idipendente che ha sostanzialmente confermato tutto sotto l’eufemismo di “uso eccessio della forza”. Poi ha continuato come se nulla fosse nella sanguinosa repressione, anche se aveva annunciato un cambiamento di registro che nessuno ha visto.

Se ad alcuni occidentali è andata bene così, come a Bernie Ecclestone che dopo essere stato costretto ad annullare il gran premio di F1 del 2011, ora teme per quello del 2012, altri proprio non ci stanno.

È il caso dell’ex-ministro per l’Europa britannico, Denis MacShane, che ha invitato pubblicamente il principe e la sua consorte a mettere all’asta i gioelli e i regali ricevuti e a devolvere il ricavato alle vittime della repressione. La famiglia reale però non sembra proprio dell’idea, tanto che Buckingham Palace si è rifiutato di fornire qualsiasi dettaglio sui doni. La contessa peraltro in passato aveva destato scandalo perché ripresa a proporre i suoi buoni uffici in cambio di denaro a quello che credeva uno sceicco e invece era un giornalista.

Che la situazione in Bahrain sia inammissibile è evidente, lo dice il Dipartimento di Stato americano e lo dicono attivisti, associazioni umanitarie e i pochi giornalisti ammessi, come il povero Khristof del New York Times, inondato di minacce di morte e di stupro dagli impiegati del re e dai fedeli della monarchia schierati su Twitter a difesa del regime.

Nessuna reazione invece da paerte del governo italiano, l’indifferenza di Frattini per le sofferenze dei popoli governati da dittatori amici è anche la cifra del nuovo ministro degli Esteri Giulio Terzi.

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