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Da Garibaldi agli Schützen: come (non) funziona il volontariato militare in Italia

Innanzitutto una premessa: pur essendo lombardo di nascita e origine (mio padre è di ascendenza valtellinese, mia madre era mantovana) mi onoro sempre di essere considerato noneso; forse perché mio nonno materno mi ha lasciato la casa a Malosco, in Val di Non; o forse perché sin da bambino coi miei genitori e mia sorella ci trascorrevo le vacanze; o, infine, perché sentivo dentro di me qualcosa che mi ha sempre attratto più di quanto non ci si possa attendere. Sta di fatto che, da quando mi ci sono trasferito (anzi, addirittura da prima), è cresciuto in me l'interesse epr tutto ciò che considero la mia terra e la mia gente più di quanto non lo siano mai stati al Lombardia e i lombardi.

Una delle cose che, tuttavia, non ho mai condiviso della mia terra d'adozione è la presenza degli Schütze, vale a dire i franchi tiratori tirolesi che sin dalla promulgazione del Landlibell (1511) hanno costituito il nerbo della difesa territoriale del Tirolo storico (compreso, quindi, l'odierno Trentino-Alto Adige), e ciò non perché io sia il tradizionale italiano ipernazionalista per cui tutto ciò che rappresenta il contrario di quei principi, valori e ideali che mi sono stati trasmessi (e nei quali, in buona misura, mi riconosco) deve essere decisamente rifiutato e/o respinto e tutti coloro che sono nemici e traditori (non necessariamente in quest'ordine, né tantomeno contemporaneamente) del nostro Paese e del popolo debbono essere combattutti e - quando non eliminati fisicamente - espulsi oltre i nostri confini, quanto per il fatto che al di là dall'essere (o venire considerati) come anacronismo essi non tengono, a mio personale giudizio (ma non solo), affatto conto che i tempi sono decisamente cambiati in tutti i sensi.

Precisiamo: non che io non comprenda come esse continuino a consederarci degli invasori e occupanti, ma non bisogna dimenticare come che la responsabilità di ciò non dipende affatto da noi [che peraltro apparteniamo alle generazioni successive a quelle che invasero ed occuparono queste terre col consenso della Conferenza di Versailles e del successivo Trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919)], quanto da tutto un insieme di circostanze più volte ricordate nei miei precedenti articoli.

Oltre a ciò, quello che gli Schützen rifiutano ostinatamente di comprendere è che un loro eventuale impiego operativo entro i nostri confini (nei quali rientrano Trentino e Sudtirolo) è da considerarsi estremamente difficile, per non dire sistematicamente impossibile, non essendo affatto prevista la difesa civile territoriale, vale a dire la formazione di gruppi di civili armati in sostituzione delle forze armate (segnatamente l'esercito) specie quando queste siano impegnate in operazioni oltre confine (comunque fuori del territorio nazionale) o in manovre su vasta scala in difesa della Patria contro tutti i nemici interni ed esterni.

A dire il vero esistono dei precedenti in merito analoghi a quello degli stessi Schützen, in primo luogo la cosiddetta "Guardia Nazionale Italiana", nella quale vennero fatti confluire tanto gli ex-garibaldini quanto i già appartenenti ai vari corpi volontari costituiti nei vecchi Stati Preunitari spesso in sostituzione dei vecchi eserciti in via di dissoluzione a partire dalla Seconda Guerra per l'Indipendenza (1859); si ebbe addirittura il caso degli eserciti dei Ducati di Parma e Modena che seguirono le rispettive dinastie (Borboni-Parma e Asburgo-Lorena-Este) al servizio degli austriaci e che, anche dopo il loro scioglimento (Padova, 1863), non rientrarono più in Patria, né confluirono mai (se non in singoli casi, comunque in numero assai esiguo) nel neocostituito Esercito Italiano.

Sin da principio essa si dimostrò più che altro una vera millanteria, e pure nella lotta contro il Grande Brigantaggio Meridionale (quello, per inciso, che ebbe il suo campione nel supercelebrato Carmine Crocco) non ne uscì tanto bene, tanto da essere definitivamente sciolta nel 1876.

A dire il vero, vi fu sin da principio una vasta corrente di pensiero che sosteneva come il nuovo esercito nazionale doveva sorgere e svilupparsi (perlomeno per i primi anni o decenni) su base esclusivamente volontaria e professionale, creando in tal modo non soltanto organizzazione, disciplina e spirito di corpo, ma contribuendo pure alla nascita di quella identità nazionale e coscienza civile che si sarebbero poi diffuse pure a livello di società civile, fornendo pure quelle motivazioni indispensabili affinché gli stessi militari trovassero la spinta ideale al combattimento.

In sintesi le cose stavano più o meno così: a fronte di poco più di 20 milioni di abitanti (dai nuovi confini restavano fuori, al momento, Mantovano, Veneto e Friuli, Trentino-Alto Adige, Venezia Giulia, Istria, Dalmazia e la quasi totalità del Lazio con Roma) si sarebbe creato, entro i primi cinque anni (1861-65), un primo nucleo della capacità operativa di perlomeno 100.000 effettivi; al termine di detto periodo si sarebbe proceduto al congedo di un primo scaglione di circa 4.000 effettivi, ciascuno dei quali potenzialmente in grado di reclutare (anche non ufficialmente, semplicemente facendo promozione) dai 5 ai 10 effettivi, per complessivi 30mila nuove reclute.

Ciò, naturalmente, sul piano meramente teorico, anche perché considerando coloro che - terminato il servizio - avrebbero (per quanto possibile) ripresa la primitiva occupazione o, quando ciò non fosse stato, fossero emigrati o, in alternativa, non fossero rientrati in servizio nell'esercito o nelle altre forze armate o di polizia ecc., le nuove leve sarebbero state, alla fine, assai meno del previsto; si aggiunga a questo che prima che di congedare gli originari 100mila sarebbe trascorsa (conflitti ed eventi militari vari permettendo, con relativa sequela di caduti, dispersi, feriti, prigionieri e via di questo passo) perlomeno una trentina d'anni, se non di più, limitando di fatto il continuo rinnovamento dei ranghi e degli individui; i costi sarebbero infine progressivamente lievitati vuoi perché un esercito di soli volontari professionisti ha senso se viene ripetutamente (anche se non continuamente) impegnato in guerra o quantomeno in operazioni ad alto livello (anche di sicurezza ed ordine pubblico in appoggio alle forze di polizia e/o assimilate) e fornito di armi e mezzi adeguati all'evolversi dei temi e delle operazioni in cui viene impegnato, senza peraltor la sicurezza che gli elementi reclutati, inquadrati ed impiegati si dimostrino in effetti sempre all'altezza dei compiti e della situazione, per cui sul lungo o lunghissimo periodo esso sarebbe diventato (come in parte è stato e continua ad essere) solo ed unicamente un elemento di deterrenza e pressione politico-ideologico nelle mani di quei ceti dominanti che sin dagli albori del nostro Risorgimento (se non addirittura prima) hanno in qualche modo gestito la cosa pubblica nel nostro Paese (basti ricordare i Fatti del 1898, ma anche gli eventi che hanno contraddistinta - e in alcuni casi continuano a contraddistinguere - la nostra Storia recente) che non una forza di difesa e protezione del territorio nazionale e del popolo contro tutti i nemici e le velleità d'aggressione interne ed ancor più esterne.

Possiamo dunque tranquillamente affermare che l'introduzione ed il consolidamento della leva (o coscrizione) obbligatoria si è, sotto questo profilo, dimostrata molto più utile e indispensabile perché da un lato ha consentito di selezionare gli elementi più idonei allo svolgimento del servizio militare limitandone al contempo la durata (ed abbattendone pure i costi), dall'altro ha però generato un notevole scontento anche perché - se in linea di principio non doveva fare distinzioni di alcun genere - ha di fatto imposto lo svolgimento del servizio militare soprattutto alle fasce sociali più deboli, dato che - a meno di non rivestire funzioni di comando o, comunque, di un certo livello - chi apparteneva (e tuttora apparitene) ai ceti agiati rifiutava e rifiuta "di mescolarsi col popolaccio vile!" (come dire: non mischiamo l'oro al ferro, anche se a conti fatti sin dall'antichità esiste, in tal senso, un pregevole e raffinato artigianato di alta classe) anche per non togliere forze al motore dell'economia, del governo e dell'amministrazione statale e periferico-territoriale (salvo poi a dimostrare di essere ancor più militaristi e guerrafondai degli stessi militari!).

Tolto questo, le uniche esperienze in merito quanto a difesa civile territoriale furono, dopo la già ricordata esperienza (sostanzialmente negativa) della Guardia Nazionale, innanzitutto gli Arditi, cioè formazioni volontarie militarizzate, o presunte tali (perlopiù il peggio di quanto si trovasse su piazza),che operavano soprattutto in mezzo e dietro le linee nemiche quale sostegno o in preparazione delle operazioni militari vere e proprie (tra i comandanti ricordiamo Gabriele d'Annunzio, Italo Balbo, Cesare Maria de Vecchi, tutti personaggi che ebbero poi in qualche modo a che fare col Fascismo); la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), melgio nota come Milizia Fascista (più semplicemente "Milizia"), che avrebbe dovuto essere il corrispettivo italiano dell'Armata Rossa o delle Waffen-SS (si veda il mio articolo "Il modello di Mussolini? Stalin!"); le formazioni partigiane organizzate nel Corpo dei Volontari per la Libertà, che all'indomani del 25 Luglio e dell'8 Settembre sostituirono più o meno validamente, soprattutto nel Nord e Centro Italia (comunque oltre la cosiddetta Linea Gotica), le disciolte Regie Forze Armate in parte confluite nel Corpo Italiano di Liberazione che operava a fianco degli Alleati (non citiamo le Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, peraltro tuttora riconosciute, al pari della stessa R.S.I., non solo dagli Alleati, ma neppure dagli organismi internazionali, il che toglie legittimità non soltanto ai loro ex-membri, ma pure a quanti vorrebbero parificarle ai partigiani stessi), e che verso la fine della Seconda guerra Mondiale furono considerati come parte delle stesse Forze Armate italiane non soltanto perché lottavano contro le forze nazifasciste, ma anche perché pur non avendo, nella maggior parte dei casi, prestato giuramento di fedeltà al Re, si erano si da principio dichiarate fedeli alla Patria e al popolo, e dato che, come sappiamo, sino a tutta la prima metà del 1946 il nostro Paese era e restava comunque una Monarchia, tale giuramento si estendeva di fatto a quest'ultima, per cui - a parità di condizione di partenza - chi sbandato o disertore era entrato nelle formazioni partigiane veniva considerato - se non un militare vero e proprio - quantomeno un combattente per la Patria, mentre chi era entrato tra i repubblichini (così furno chiamati gli ultimi fascisti) era in ogni caso bollato come traditore e collaborazionista pure se continuava ad indossare una regolamentare uniforme militare (se è vero che l'abito non fa il monaco, l'uniforme non fa il soldato, anche se si tratta, in fondo, di mere disquisizioni giuridiche, seppure di parte).

Concludiamo con alcune chiavi di lettura, certo profondamente diverse, ma che presentano tra loro più analogie che differenze.

Innanzitutto che l'abolizione della ferma obbligatoria ("leva" o "coscrizione") e la relativa sostituzione col servizio militare volontario aveva un duplice scopo:

- creare un esercito di militari professionisti a ferma prolungata in grado, una volta terminato il servizio, di reinserirsi nella vita civile apportandovi una maggiore professionalità in campo lavorativo e contribuendo, in tal modo, ad un maggiore progresso pure in campo economico-produttivo e nei servizi. Era, in effetti, intenzione soprattutto degli ultimi Governi Berlusconi inquadrare tutti i vari gruppi paramilitari che caratterizzano, tra le altre cose, una buona parte del tifo (specie calcistico), ma dato che questi avrebbero accettato di arruolarsi solo ed unicamente se si fosse o fosse stata ricostutita la Milizia Fascista (od un'organizzazione analoga) e non avendo intenzione di servire uno Stato ed un ordinamento che nonriconoscono e in cui, a conti fatti, non si sono mai riconosciuti né si riconosceranno mai, tenendo conto che l'arruolamento volontario è, di fatto, sostanzialmente divenuta la scappatoia contro la disoccupazione e/o la sottooccupazione giovanile e che chi è interessato a simili categorie spesso e volentieri non è tuttora allineato su posizioni di destra o perlomeno assimilabili, ecco che, respinta non solo dalla porta, ma sinanco dalla balconata, l'anima sinistrorsa della società civile (e, a conti fatti, delle stesse forze Armate), rientra, ancora una volta, non solo dalla finestra, ma pure dalle fondamenta e persino dalla canna fumaria (!);

- riaffermare il principio che al pari del Paese anche le Forze Armate devono obbligatoriamente essere schierate a destra, dato che l'Italia è stata concepita come uno Stato di destra (vale a dire essenzialmente moderato e conservatore), ma la cui anima più profonda è da sempre orientata al centro o, ancor più, a sinistra, dato che - come s'è detto sopra - a svolgere il servizio militare sono da sempre chiamate le categorie sociali più deboli e disagiate, che certo non sono mai state (né lo saranno del tutto in futuro) allineate sulle posizioni degli stessi ceti dominanti (v.s.).

A questo aggiungiamo che gli Schützen debbono smettere la loro secolare guerra di logoramento contro il nostro Paese, il nostro Governo ed anche contro il popolo italiano in generale, tutt'ora etichettato come fascista (dimenticando che più che sostenerlo gli italiani il Fascismo l'hanno subito quanto - se non più - degli stessi sudtirolesi, e comunque se noi siamo fascisti, che ne dicono loro della foto, peraltro pubblicata in numerose opere di certo non uttte di parte, in cui il gauleiter tedesco Franz Hofer stringe la mano all'obmann degli Schützen?), perché da questo punto di vista essi non cederanno mai, avendo pagate a caro prezzo le conquiste della Prima Guerra Mondiale e dimenticando che l'Austria ha persi entrambi i Conflitti Mondiali (il primo come impero d'Austri-Ungheria, il secondo come parte del Terzo Reich Tedesco), mentre seppure sconfitti nell'Ultima Guerra noi abbiamo più o meno continuato ad esistere nella forma originaria, per cui la continuità sotto questo profilo è stata comunque in ogni caso assicurata, e ad ogni buon conto i trattati internazionali (a quelli già citati aggiungiamo l'Accordo Degasperi-Grüber del 1946) riconoscono al nostro Paese il legittimo possesso del Trentino-Alto Adige perlomeno sino a quendo esso rimarrà nel novero delle democrazie liberali (qualora ciò non fosse più, se ne potrà ridiscutere). Se, dunque, gli Schützen e chi li sostiene voglion realmente la separazione dallo Stato Italiano debbono recarsi in sede euorpea ed internazionale e chiedere che simili trattati (peraltro ormai obsoleti anche come principi ispiratori) vengano, appunto, riesaminati e, eventualmente, abrogati, consentendo in aprticolare alla comunità germanica di chiedere la riannessione all'Austria o, in alternativa, alla Germania o ad altro Paese di etnia, lingua, cultura e tradizioni germaniche, anche se francamente nella prospettiva di una progressiva unificazione europea che si vuole non soltanto economica, ma anche politica e non solo, tenendo pure conto della globalizzazione, lo stesso concetto di "Heimat" è ormai decisamente superato.

Concludo affermando che ho da sempre una grande ammirazione per Andreas Hofer in quanto combattente per la libertà, ma debbo al contempo sottolineare di non averen mai condivise le idee e la visione del mondo; mi è, in effetti, risultato estremamente faticoso comprendere come un uomo come lui, che oltretutto svolgeva un'attività (quella di oste e di mercante di cavalli) che lo metteva in contatto col mondo, per cui avrebbe dovute assimilarne le novità e i mutamenti, fosse decisamente refrattario a questi ultimi e sia andato, infine, a combattere a fianco di quanti si oppnevano a queste stesse novità e mutamenti (certo violenti, ma comunque storicamente inevitabili, e ad ogni modo conseguenza di quell'Illuminismo che aveva sino allora contraddistinta la stessa politica interna ed internazionale degli Asburgo, di cui Hofer si dichiarò sino alla morte strenuo sostenitore), tantopiù che - malgrado le apparenze - Hofer e Garibaldi avevano molte più cose in comune di quanto non sembri (entrambi erano sostanzialmente dei borghesi, entrambi furono sempre in qualche modo oppositori dei francesi, entrambi lottarono per la libertà dei propri popoli e dei rispettivi Paesi, benché alla fine Hofer abbia pagato con la vita senza riuscire a realizzare i suoi obiettivi, cosa che fu invece possibile - sempre in qualche modo - a Garibaldi, che per sua fortuna morì nel proprio letto).

Spero a questo punto che i miei conterranei (perché tali li ho sempre considerati e li riterrò sempre) non me ne vogliano, anche perché in questo scritto non vi è alcuna intenzione polemica e/o di parte, ma solo una lucida disanima storica che tende, anzi, a far comprendere come tutte le frizioni e discordie esistenti ed esistite vengano finalmente superate una volta per sempre.

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