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DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato: al cinema, il 25, 26 e 27 ottobre, il docufilm sul celebre cantautore

Presentato in anteprima come evento speciale nella sezione Fuori Concorso della 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato” è il film documentario diretto da Roberta Lena, prodotto da Intersuoni, Nuvole Production e Nexo Digital, in arrivo nei cinema italiani solo il 25, 26, 27 ottobre.

Il film si basa sul concerto/spettacolo del concept-album di Fabrizio De André che il figlio Cristiano – apprezzato sullo stesso palco sia dal pubblico che dal padre Fabrizio – ha sapientemente riarrangiato e portato in tour con grande successo per due anni. 

Alla base di “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato”, ci sono musica, documenti inediti e la partecipazione esclusiva di Cristiano De André, Dori Ghezzi e Filippo De André. La regista Roberta Lena (già autrice dello spettacolo/concerto) indaga, attraverso la memoria di Cristiano, il suo rapporto col padre, fornendoci uno sguardo diverso sul grande cantautore e una visione contemporanea di un’opera che rappresenta un’eredità artistica e politica per ognuno di noi. 

Cristiano De André ha riproposto al pubblico italiano, in un Tour durato due anni, il concept album “Storia di un impiegato”, capolavoro quanto mai attuale di De André, scritto nel 1973 con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani. Il film di Roberta Lena è un percorso musicale e visivo attraverso quei concerti dal vivo, repertori di lotte sociali, memorie storiche, familiari e filmati inediti. Un intreccio di storie dove aspirazioni e aneliti di libertà dell’impiegato, convivono con quelli della vita personale e musicale di Cristiano in un discorso sul nostro contemporaneo. La Sardegna, più che uno sfondo, è luogo del cuore dove emergono i ricordi del passato e le voci del presente. Una sorta di biografia, attraverso il rapporto speciale tra padre e figlio, del loro comune sentire fino ad arrivare a un riconoscimento simbiotico. Con Cristiano De André, Dori Ghezzi, Filippo De André. 

 

“Quando, nel 2018, mi è stata affidata la regia dell’opera rock "Storia di un impiegato", mi sono resa conto della potenza e della contemporaneità delle parole contenute nell’album. La storia è una metafora della società di allora, ma che sembra un monito al rimanere umani, valido e necessario ancora nella nostra epoca. Nelle gesta dell’impiegato, ho ritrovato la parabola di una generazione e un monito per quelle future in un destino umano che si ripete; la violenza come arma inutile e goffa e la necessità, ancora oggi, di invocare una giustizia sociale in nome di quell’umanità di cui, spesso, ci riempiamo la bocca, qui declinata in parole sapienti, utili a focalizzare concetti di cui riappropriarci. Nella parabola narrativa del personaggio principale, che ho, spesso, mescolato metaforicamente alla vita di Cristiano, sono compresi conflitti e risoluzioni del carattere umano in cui tutti possiamo riconoscerci. La contemporaneità degli eventi storici in corso, durante la messa in scena, mi confermava, inoltre, l’estrema urgenza di riproporre, in forma visiva anche per un pubblico cinematografico, le parole del grande poeta. Cristiano De André è l’erede di questo patrimonio e, in questo passaggio di testimone, uno dei temi principali del docufilm, è insito quel rapporto padre/figlio, in cui ognuno può specchiarsi. In una narrazione cinematografica, potevo mostrare, inoltre, cosa significa essere figli di un genio, una domanda che stimola la curiosità dei fans, ma non solo. Nel racconto stesso di "Storia di un impiegato", già si celano le interazioni tra la vita privata del nostro protagonista (Cristiano) e la sua famiglia (La canzone del padre) il tutto inserito in un discorso sociale più ampio (La mia ora di libertà)”, spiega la regista del docufilm.

La storia è quella di un impiegato che, nel ‘68, dopo aver ascoltato un canto del Maggio Francese, sente il desiderio di ribellarsi, ma quando ne prende coscienza, ormai è troppo tardi, si è escluso da solo. Nei sogni, esplode la sua esigenza di libertà, ma dopo il primo, un ballo in maschera dove, in un atto di estremo individualismo, fa esplodere tutti i suoi archetipi culturali compreso il padre. Il giudice non lo condanna, bensì̀ lo fa entrare a far parte del gioco del potere. Gli viene offerto proprio quel posto che era stato del padre, dentro al quale, però, si ritrova ben presto in una spirale di dissoluzione. Il senso di riscatto con cui si risveglia lo porta a compiere un atto estremo, facendogli provare l’esperienza fallimentare della violenza, in un gesto che lo rende addirittura ridicolo: invece del parlamento, fa esplodere un’edicola di giornali. Lo sbattono, comunque in galera, dove con un ricordo d’amore mette a nudo alcune sue frustrazioni individuali. È proprio in carcere che arriva la presa di coscienza del bisogno di una lotta comune a testimoniare un IO che diventa NOI. 

 

Fabrizio De André è stato un artista di grande coerenza, coerenza che ha mantenuto per tutta la vita e che si riflette nelle sue opere sempre attuali. Il suo gesto artistico coincideva con quello politico. Era convinto che gli scrittori, i poeti, i cantautori dovessero essere un anticorpo degli aspetti negativi della società. Cosa direbbe del mondo che stiamo vivendo e dei movimenti di oggi? Per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti. Tutto è già contenuto nelle parole di Storia di un impiegato e nell’intera sua opera. Ne è un esempio anche La domenica delle salme, composta anni dopo con Mauro Pagani, dove dice: “Voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo. A tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade eravamo gli ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile perché avevamo un cannone nel cortile […] La domenica delle salme gli addetti alla nostalgia accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia”. Nonostante ciò, Fabrizio non rinunciò mai alla speranza augurandoci: “e, poi, ad un tratto, l’amore scoppiò dappertutto”.

Cristiano è il prolungamento artistico di Fabrizio, consacrato quando il padre gli commissionò l’arrangiamento di Le acciughe fanno il pallone, inserito nell’album Anime salve scritto con Ivano Fossati, accompagnando, poi, il padre nell’omonimo tour del 1997 e nel successivo Mi innamoravo di tutto. Sarà Cristiano stesso a raccontarci l’evoluzione dei suoni dell’LP Storia di un impiegato che, per lui, sono memoria e futuro. Suoni che diventano tappe nel viaggio di un rapporto complicato tra padre e figlio attraverso ricordi, immagini e luoghi di famiglia. Le gioie, le assenze, la durezza e pignoleria quasi autolesionista del padre verso le proprie creazioni che, inevitabilmente, ha condizionato tutti, la fatica di Cristiano a trovare una sua identità nonostante la natura gli abbia fornito gli stessi strumenti vocali e la stessa necessità di musica, fino all’accettazione di sé, al punto di poter, oggi, far rifiorire quel bagaglio tanto necessario all’umanità, facendolo suo senza più conflittualità, ma come missione. “Abbiamo fatto un passo indietro rispetto agli anni 70; allora, era viva quella speranza che non c’è più. E dominava la bellezza: la grande musica, la poesia, ormai relegata in una nicchia proprio come la letteratura alta che succhiava il midollo alla vita. La gente stava meglio in quegli anni, perché senz’arte non si può vivere: è il pane per la nostra anima” .(Cristiano De André).

 

Produzione artistica e arrangiamenti: Cristiano De André / Stefano Melone.

Dopo l’anteprima veneziana, “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato” sarà distribuito al cinema da Nexo Digital solo il 25, 26, 27 ottobre in collaborazione con i Media Partner Radio Capital, MYMovies.it e Rockol.it

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