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Cronache da Locarno 6// L’Articolo 12 contro la fabbrica della sorveglianza

A Locarno, dove il Festival del film sta per chiudere il suo cerchio, è stato proiettato il film in concorso Luz nas trevas – A volta do bandido da Luz Vermelha (Luce nella tenebra – Il ritorno del bandito dalla luce rossa) dei brasiliani Helena Ignez e Icaro C. Martins.

L’argentino Juan Manuel Biaiñ presenta invece il suo Article 12 – Waiking up in a survellaince society (Articolo 12 – Svegliarsi in una società sotto sorveglianza) all’interno della “Settimana della critica”.

Luz nas trevas si presenta come il sequel di O Bandido da Luz Vermelha (Il bandito dalla Luce Rossa), opera del ’68 anch’essa in proiezione oggi 12/8 a Locarno. Con questo film, che il regista presentò come “un western del terzo mondo”, l’allora giovanissimo Rogério Sganzerla fece scoccare la scintilla che innescò il cosiddetto movimento del Cinema Marginal, sotto la cui ispirazione un gruppo di registi brasiliani iniziò a produrre film ad alto potenziale sociologico e a basso costo. Quei registi presero a impiegare come attori la gente di strada, le stesse persone di cui le loro storie narravano, denunciando l’emarginazione e la povertà che regnavano nel loro paese.

Ma non c’è traccia, in Luz nas trevas, di quella novità estetica e politica che animava il cinema marginale o dei marginali, soprattutto perchè le gesta criminose del nuovo protagonista, soprannominato Tudo o Nada (Tutto o Niente) e figlio d’arte del bandito fascinoso di Sganzerla, si svolgono in un Brasile anonimo, di cui non si intravede nemmeno l’umore sociale e politico. Il Brasile di Luz nas trevas serve solo da contesto ai seriali crimini del figlio e alla fuga del padre, in fase di bilancio esistenziale, dalla lunga detenzione. Così che, contrariamente alle aspirazioni dei registi che rivendicano per il loro film “la continuità della luminosità”, la luce rossa si è spenta. E quel che ne rimane, data la sceneggiatura debole e molto scontata, è un film di genere.

Article 12Waiking up in a survellaince society di Biaiñ invece è un docu-fim che somiglia ad un saggio di letteratura socio-politica. E pazienza se persino il Foglio.it, prendendo strumentalmente “lucciole per lanterne”, elogia il lungometraggio come un film contro le intercettazioni, trascinando per la collottola un’opera di ben altre ambizioni nella melma delle squallide vicende governative e parlamentari italiane.

Spazziamo via i malintesi: Article 12, spiacenti, non è un film sulle intercettazioni ai telefoni dei corrotti e dei criminali (italiani), uno dei pochi strumenti di controllo che una democrazia dovrebbe considerare legittimi. È invece un film che, a partire dall’Articolo 12 della Dichiarazione universale dei diritti umani, quello in cui si pone il diritto ad una vita privata, conduce uno studio sul concetto di “privacy”, in tutte le sue declinazioni e e i suoi risvolti contemporanei: nella politica, nel traffico, nelle banche, nei negozi, nell’informazione, nella rete.

Il tema viene problematizzato con una serie di interviste “pesanti”: al linguista e critico mass-mediologico Noam Chomsky, all’attivista dei diritti umani Simon Davis, alla sociologa Kate Gilmore, all’hacker Emmanuel Goldstein, al musicista Brian Eno.

Dal film emerge che il diritto ad una sfera privata è preliminare e indispensabile per l’esercizio di tutti gli altri diritti. Quell’articolo12 non sancisce altro se non la famosa libertà individuale di Locke, filosofo precursore dell’idea liberale di stato, per cui unico motivo di esistere dell’autorità statuale è la difesa strenua delle libertà personali dei suoi cittadini. Le stesse libertà che oggi sono minacciate proprio da quei governi che con una mano si professano liberali e con l’altra costruiscono -attraverso le leggi, i media e il consumo- una gabbia di controllo sui pensieri e sui comportamenti delle persone, allo scopo di orientarne il consenso. Sicurezza in cambio di privacy, questa è l’offerta indeclinabile che i governi occidentali fanno alla loro gente.

Il film individua così il perverso meccanismo attraverso il quale sono i cittadini stessi ad incoraggiare lo stato a esercitare sempre più controllo. Di fronte alla precarietà incombente della vita quotidiana, infatti, la paura delle persone, su cui i media soffiano a pieni polmoni, diventa il cavallo di Troia con cui il potere si intrufola nei confini idealmente inviolabili eppure ripetutamente violati delle loro vite.

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