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Festival di Locarno. E’ il giorno di Maresco (con un occhio alla Le Besco)

Il regista siciliano Franco Maresco, questa volta all’opera senza il sodale Ciprì, porta a Locarno oggi 11 agosto, in prima mondiale, il suo "Io sono Tony Scott". La storia del più grande clarinettista del mondo, fuori concorso al festival. Nel concorso, invece, è stato il turno di "Bas-fonds", film senza filtro della francese Le Besco.

La vicenda narrata da Maresco è quella di Anthony Joseph Sciacca, siciliano d’America e mitico jazzista col clarinetto scomparso nel 2007, la cui parabola discendente iniziò quando, alla fine degli anni 60, si trasferì in Italia, paese che rimase refrattario al suo grande talento; la stessa parabola si era già conclusa con l’oblìo, prima ancora che con la morte. Tony Scott rappresenta nel film un personaggio-metafora della morte dell’arte nel nostro paese.  

Nel concorso internazionale, invece, è stata la volta di Bas-fonds, crudo lungometraggio della esile e incantata Isild Le Besco, già evanescente protagonista - come attrice però -  nel film d’apertura del festival, Au fond des bois. Altrettanto eterea la regista dev’essere risultata ai presenti in conferenza stampa, dove anche le domande meglio servite le procuravano disorientamento e afasìa. Quindi due sono le cose: o il film non l’ha diretto lei; oppure questa ragazza è dotata di un grande istinto cinematografico e lo è a sua completa insaputa. Perché il film, in effetti, è ben fatto e ha qualcosa da dire.

La giovane lesbica Magalie, sua sorella Marie-Steph e la sua amante Barbara, vivono insieme in una casa in disfacimento ai margini della città e fuori da ogni realtà, se si esclude una televisione perennemente ardente e generosa di gemiti e di scene porno. Le urla di Magalie, leader maschilizzata, violenta e alcolizzata della banda, costituiscono la costante sonora di un’esistenza quotidiana quasi primitiva. Gli interni dell’appartamento sono talmente degradati e luridi - una specie di rappresentazione domestica dell’inferno - che la vista si rilassa, durante la proiezione, davanti ai cambi d’ambiente e di scena.

Nel cuore della messa in scena dello squallore di quel ménage à trois, la regista inserisce più volte, nel corso della narrazione, quasi degli inserti: una voce fuori campo recita versi, anzi salmi della bibbia, mentre la macchina indugia su banchi di nuvole, su ruscelli trasparenti e su cipressi al vento. Sembra una inconscia preghiera di salvezza, una supplica latente per ottenere redenzione, una richiesta d’amore che sale al cielo dal più isolato dei bassifondi. E se le vie di una paradossale grazia sono infinite, talvolta sono anche oblique e violente. E in effetti nel film c’è una svolta segnata da un episodio chiave, un fatto di sangue che, in modi differenti, gradualmente ma inesorabilmente, cambierà la vita a tutt’e tre.

Ancora una volta quest’anno, il cinema di Locarno si affaccia, senza manierismi e senza stereotipi, sulla vita degli altri. Gli altri per eccellenza, i marginali. E se, ad esempio, nel caso di Pietro dell’italiano Gaglianone, il marginale era un giovane sottoproletario perso nel traffico e nel malessere diffuso della periferia torinese, in Bas-fonds le marginali sono queste tre giovani donne senza nessuno, tre solitudini che non si compensano ma si sommano; “ragazze non cresciute e non educate”, come spiega Le Besco, persone senza amore attorno, prima ancora che lesbiche o devianti. Non c’è sociologia nel film, piuttosto uno sguardo poetico e impietoso sulla vita delle creature dei bassifondi francesi.

L’assenza di qualsiasi pur minuscola rete di relazioni intorno al gruppo, la mancanza nelle scene all’esterno di altre presenze umane, sottolineano l’estremo isolamento di Magalie e le altre. Il film è dominato, almeno per i primi tre quarti, dalla loro esclusiva presenza. La domanda che ti salta in mente, alla fine, è: ma tutti gli altri, dov’erano?

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